30 dicembre 2019 13:30

Napoleone disse, parlando della guerra: “La strategia è l’arte di usare il tempo e lo spazio”. La sua frase può essere riferita alle relazioni internazionali in cui la geopolitica connette la geografia con la strategia.

Geopolitica non significa determinismo geografico. Rappresenta piuttosto un esercizio di esplorazione, di identificazione di tendenze che i politici devono tenere in considerazione e di analisi dei rischi e delle opportunità con l’obiettivo di massimizzare le opportunità per avere i migliori risultati possibili. Nel relazionarsi a un’Africa geopoliticamente consapevole, sia in quanto attore collettivo sia in quanto insieme di stati sovrani, i politici e i cittadini dovranno conoscere bene gli elementi chiave, le tendenze e le dinamiche in atto e le loro implicazioni ai fini dell’efficacia strategica.

Mentre il 2019 si avvia alla conclusione, vale la pena ricordare una serie di sviluppi e tendenze strategiche che fanno luce non solo sul posizionamento geografico dell’Africa in quanto attore sempre più geostrategico nell’arena globale, ma anche sulla possibile gamma di scelte strategiche che plasmeranno il coinvolgimento del continente nella politica internazionale. La valutazione di tendenze e sviluppi rappresenta un punto di partenza per formulare percorsi politici positivi, fondati su una comprensione dei fattori politici, economici, sociali, tecnologici, legali e ambientali interconnessi che attraversano contesti locali e globali.

Crescita continua
La crescita economica dell’Africa continua a puntare verso l’alto: per il 2019 si prevede una crescita del prodotto interno lordo (pil) del 4 per cento, rispetto al 3,5 per cento del 2018 e al 2,1 per cento del 2016. Escludendo le grandi economie di Angola, Nigeria e Sudafrica, che hanno una crescita media del 2,5 per cento, metà delle economie con la crescita più rapida del mondo si trova sul continente, con un tasso medio di crescita del 5 per cento in un quinquennio, più alto della media globale che si ferma al 3,6 per cento. Tra questi paesi ci sono il Burkina Faso, la Tanzania, l’Uganda, il Kenya, il Senegal, il Benin, il Ghana e la Costa d’Avorio.

Tuttavia le prospettive positive di crescita sono attenuate dai rischi, e in particolare dai crescenti livelli di indebitamento da parte dei governi e dalle preoccupazioni sulla sostenibilità di questo indebitamento. Quattordici paesi sono considerati in emergenza debitoria o a rischio di emergenza debitoria. L’aumento dei livelli di indebitamento deriva dal declino della lavorazione delle materie prime, da un lampante divario nei finanziamenti alle infrastrutture e nell’aumento delle allocazioni di bilancio per la sicurezza in paesi colpiti da minacce terroristiche.

L’accumulo di debiti solleva interrogativi sulla loro sostenibilità, in particolare con le fonti di debito commerciale come gli eurobond o i prestiti cinesi, con effetti sulle azioni politiche relative alla riscossione delle imposte e ai meccanismi di attenuazione dei rischi come la finanza mista e le partnership pubblico-privato.

L’area di libero scambio è una realtà
L’accordo che istituisce l’area continentale di libero scambio africana è entrato in vigore il 30 maggio, con un totale di 24 paesi che hanno depositato per quella data i loro strumenti di ratifica. L’accordo è approdato sul mercato il 7 luglio, accompagnato da molte aspettative circa il suo impatto economico, con la possibilità di accrescere gli scambi intra-africani del 25 per cento – o per volumi compresi tra i 50 e i 70 miliardi di dollari – entro il 2040.

Nonostante le lodevoli prospettive per il commercio e gli investimenti, perché l’accordo passi dalle ambizioni alla realtà restano da risolvere alcune questioni spinose: configurare gli auspicati accordi nazionali tra tutti i paesi, appianare i problemi relativi alle svariate normative sull’origine, al ritardo nell’introduzione di misure continentali per la facilitazione del commercio e alle differenze di coinvolgimento di governi, imprese africane e cittadini.

Un anno pieno di elezioni
Nel 2019 in più di venti paesi africani si sono tenute elezioni presidenziali, parlamentari o amministrative. Nel complesso i commentatori hanno sottolineato l’arretramento della democrazia, segnata dalla manipolazione del processo elettorale, dalla repressione delle forze di opposizione e dal restringimento dello spazio civico con la progressiva limitazione delle libertà politiche e civili.

Presidenti in carica continuano a restare attaccati al potere convocando elezioni ma indebolendo gradualmente le istituzioni democratiche e schiacciando senza pietà l’opposizione. Il declino della democrazia, e in particolare la compromissione dell’integrità elettorale, rappresentano una tendenza preoccupante e i cittadini dovrebbero richiedere con maggiore forza un miglioramento nel governo, nella pratica democratica e nella leadership.

Cresce il potere della società civile
Le rivolte in Algeria e in Sudan, sfociate nella cacciata di Omar al Bashir il 1 aprile e di Abdelaziz Bouteflika il 2 aprile, evidenziano il potenziale rivoluzionario della determinazione dei cittadini a opporsi alla “sindrome dell’uomo forte africano” e a un autoritarismo che va avanti da decenni. Dagli anni settanta le rivolte non violente in Africa hanno avuto il più alto tasso di successo al mondo, contribuendo a rovesciare dittatori in una rivolta di massa su tre tra quelle esplose in tutto il mondo.

Il successo relativo della forza popolare africana può essere attribuito alla lunga storia di resistenza contro il dominio coloniale, all’utilizzo strategico dei social media per incentivare la mobilitazione e raggiungere più persone, allo sforzo di tradurre tutte le istanze in una causa politica unitaria in grado di trascendere classe, età e identità e al ruolo fondamentale delle donne nel guidare e organizzare le proteste.

Tuttavia le rivolte in Algeria e in Sudan indicano anche il lato più caotico delle rivoluzioni in Africa, a volte minate dall’influenza di tentacolari leader stranieri: la difficoltà di mantenere alto in tutti i partecipanti alla rivolta lo slancio rivoluzionario per un tempo indefinito, il fattore militare e la debolezza delle strutture funzionali a facilitare una transizione indolore dall’autorità militare a quella civile.

Cresce il coinvolgimento straniero
Gli sviluppi dell’ultimo decennio indicano un brusco aumento dell’interesse verso l’Africa di potenze straniere che hanno chiesto a gran voce un rafforzamento dei legami diplomatici, strategici e commerciali. Per esempio tra il 2010 e il 2016 in Africa sono stati aperte più di 320 tra ambasciate e consolati. In testa alla classifica c’è la Turchia, con 26 missioni in tutto.

Anche i commerci e gli investimenti sono esplosi nel continente e la Cina mantiene la sua posizione di dominio in quanto principale partner commerciale in Africa, con un raggio d’azione sempre più ampio che include anche partner non tradizionali come Singapore, la Turchia e l’Indonesia.

Il rinnovato interesse e la rivalità geopolitica tra potenze globali e regionali sul continente indicano l’importanza geostrategica dell’Africa in quanto luogo chiave delle complesse interazioni di interessi, politiche di potere ed espansione delle varie sfere di influenza. Il semplice numero di vertici che hanno al centro l’Africa e organizzati fuori del continente nel corso del 2019, tra i quali il Forum per la cooperazione Cina-Africa, la Conferenza internazionale di Tokyo per lo sviluppo africano e il vertice Russia-Africa, hanno implicazioni di vasta portata nell’ambito degli accordi diplomatici e sulla sicurezza relativi ai partenariati globali dell’Africa.

Questi partenariati esterni hanno a loro volta un impatto sull’agire africano e sul modo in cui gli attori africani esercitano tale agire nell’arena globale.

Dinamiche di conflitto fluttuanti
Le tendenze nei conflitti e negli eventi violenti nel 2019 indicano un aumento del numero di attori coinvolti nel conflitti e la natura transnazionale di minacce e vulnerabilità. Dati e analisi mettono in evidenza la proliferazione di gruppi ribelli ed estremisti, legami più forti tra il crimine organizzato transnazionale e gli estremisti violenti in Africa e Medio Oriente e l’aumento della frequenza e della portata di disordini e proteste.

Gli attacchi di gruppi militanti affiliati al gruppo Stato islamico (Is) nella provincia di Cabo Delgado, nel nord del Mozambico, hanno sollevato i timori circa la presenza dell’Is in nuovi territori nei quali ha ottenuto la fedeltà di gruppi militanti locali.

La morte di cinque soldati dipendenti dell’azienda militare privata legata al Cremlino, Wagner group, a seguito di un’imboscata nel distretto di Muidumbe, a Cabo Delgado, ha sollevato interrogativi sul ruolo dei mercenari in Africa e sull’effetto della loro presenza nel settore della sicurezza nel continente. Anche la Lg6, un’azienda militare privata di proprietà dell’americano Erik Prince, fondatore di Blackwater, risulta in corsa per aggiudicarsi un progetto sull’intelligence militare e la sicurezza nel Mozambico settentrionale che andrà avanti fino al 2023 con un costo di 750 milioni di dollari.

I mercenari sono impiegati anche in altri paesi africani, tra cui la Repubblica Centrafricana, la Repubblica Democratica del Congo, il Ciad, il Niger, il Gabon e la Libia. Portano avanti una serie di attività descritte di volta in volta come addestramento militare e alla sicurezza, manutenzione dei sistemi di armi e protezione del personale.

La natura in evoluzione del conflitto sta inoltre trasformando lo spazio di battaglia africano con l’uso più frequente di droni a lungo raggio in luoghi come la Libia. Le oltre 900 missioni condotte da droni in Libia dallo scorso aprile preludono a un emergente spazio di battaglia in Africa che richiederà adattabilità tattica e strategica oltre che politiche pragmatiche in sintonia con le realtà sul campo.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito sul settimanale sudafricano Mail & Guardian.

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