“È come il dream team della destra israeliana”. Così il Jerusalem Post commenta le nomine fatte dal presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump per la sua nuova amministrazione, che s’insedierà il prossimo 20 gennaio. Tra i funzionari scelti per vari incarichi di rilievo ci sono ferventi sostenitori di Israele, alcuni dei quali hanno legami con gli esponenti della destra estremista nel paese e sono favorevoli alle politiche più controverse del suo governo, come la prosecuzione della guerra nella Striscia di Gaza e i passi verso l’annessione della Cisgiordania.

Bisogna ancora aspettare la conferma del senato, ma già diversi osservatori hanno espresso preoccupazione. Le posizioni intransigenti di questi politici nei confronti dell’Iran e la loro scarsa considerazione per gli equilibri regionali fanno temere un aumento delle tensioni che potrebbe sconvolgere ancora di più il Medio Oriente, se non portare all’esplosione di una guerra totale.

Per avere una visione d’insieme sui fedelissimi scelti da Donald Trump per il suo secondo mandato si può leggere l’articolo di Alessio Marchionna tratto dalla newsletter Americana.

Tra le nomine più inquietanti c’è senza dubbio quella di Steven Witkoff, scelto come inviato speciale per il Medio Oriente. Del tutto privo di esperienza diplomatica, Witkoff, 67 anni, probabilmente ha tra le sue competenze principali quella di giocare a golf con Trump. Viene da una famiglia ebrea del Bronx e ha costruito un impero immobiliare del valore stimato di 500 milioni di dollari. Delle sue posizioni geopolitiche sulla regione, dei suoi programmi e della sua visione si sa poco o nulla.

Di certo è molto vicino anche a Jared Kushner, genero ed ex consulente di Trump, artefice degli accordi di Abramo – che nel 2020 hanno portato al riavvicinamento tra Israele e alcuni paesi arabi – e rampollo di una famiglia di immobiliaristi ebrei del New Jersey. Witkoff è noto soprattutto per aver definito un “momento spirituale” il discorso tenuto dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu al congresso degli Stati Uniti lo scorso luglio. In un intervento sul social network X lo stesso mese ha chiarito: “Sotto la presidenza di Donald Trump il Medio Oriente ha conosciuto livelli storici di pace e stabilità. La forza ha permesso di prevenire i conflitti. I finanziamenti all’Iran sono stati interrotti, impedendo così il sostegno iraniano al terrorismo mondiale”.

A dare man forte a Witkoff ci sarà Mike Huckabee, il nuovo ambasciatore degli Stati Uniti in Israele. Ex pastore battista di 69 anni, è la prima persona non ebrea e senza esperienza diplomatica a ricoprire l’incarico in più di quarant’anni. Sostiene di aver fatto più di cento viaggi in Israele dal 1973 a oggi. Dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 ha guidato nel paese una missione di leader spirituali evangelici, durante la quale ha affermato: “Sono venuto qui per dire forte e chiaro che gli evangelici stanno dalla parte di Israele”. Secondo Forward, il giornale della comunità ebraica statunitense, l’influenza di Huckabee rafforzerà i legami tra Netanyahu e la comunità evangelica degli Stati Uniti, che negli ultimi anni il primo ministro israeliano ha favorito rispetto agli ebrei americani.

In un’intervista radiofonica dopo la sua nomina, Huckabee ha detto che durante il secondo mandato di Trump Israele potrebbe ricevere il via libera per annettere la Cisgiordania occupata. D’altra parte aveva chiarito la sua posizione già varie volte in passato: nel 2008 (“In realtà i palestinesi non esistono”), nel 2016 (“La Cisgiordania è parte integrante d’Israele”) e nel 2017 (“La Cisgiordania non esiste. Ci sono la Giudea e la Samaria. E non esistono le colonie. Sono comunità, sono quartieri, sono città. Non esiste l’occupazione”). Huckabee ha ribadito queste idee la settimana scorsa durante un evento organizzato negli Stati Uniti dal titolo “Build Israel great again” (Ricostruire la grandezza d’Israele). Il ministro israeliano delle finanze Bezalel Smotrich, di estrema destra, ha assicurato su X che Huckabee è “un sostenitore del processo di colonizzazione” e che con lui “rafforzeremo la sicurezza d’Israele e il nostro controllo su tutti gli spazi”.

Anche la nuova ambasciatrice degli Stati Uniti all’Onu, Elise Stefanik, ha avuto modo di chiarire le sue posizioni. All’inizio di novembre ha rilasciato un comunicato stampa a sostegno dell’approvazione in Israele di una legge che vieta le attività dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati palestinesi ed è fondamentale per la distribuzione degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Stefanik sostiene che l’Unrwa “instilla odio antisemita nei palestinesi, ospita armi per i terroristi e ruba l’aiuto che dovrebbe distribuire”. La sua popolarità nella comunità filoisraeliana è cresciuta nel dicembre del 2023, quando si è scagliata contro i rettori delle università della Pennsylvania, di Harvard e dell’Mit, colpevoli ai suoi occhi di aver favorito l’antisemitismo nei loro campus.

Le nomine fatte da Trump per i ministeri e le agenzie governative non sono da meno. Come segretario di stato, cioè responsabile della politica estera, ha scelto Marco Rubio, che dopo il suo quarto viaggio in Israele lo scorso maggio ha scritto in una nota stampa ufficiale del senato: “I nemici di Israele sono anche i nostri nemici. Il regime iraniano e i suoi alleati – Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano, gli huthi nello Yemen e una moltitudine di gruppi in Siria e Iraq – cercano la distruzione di Israele come parte di un piano in più fasi per dominare il Medio Oriente e destabilizzare l’occidente. Lo stato ebraico è in prima linea in questo conflitto”.

In un video di novembre del 2023 Rubio aveva già chiarito il concetto dicendo: “Voglio che Israele distrugga ogni elemento di Hamas”, aggiungendo che per quanto riguarda le vittime civili “Hamas è completamente da incolpare”. Inoltre ha paragonato l’offensiva israeliana su Rafah, contro la quale si era espressa l’amministrazione di Joe Biden, alla caccia degli alleati ad Adolf Hitler durante la seconda guerra mondiale. Per quanto riguarda i rapporti con l’Iran, Rubio si è schierato a favore del ripristino di sanzioni severe per indebolire “le reti terroristiche” di Teheran e impedirgli di acquisire armi nucleari.

Come segretario della difesa, cioè capo del Pentagono, è stato nominato Pete Hegseth, che ha garantito una copertura favorevole a Israele sull’emittente di destra Fox News, di cui è conduttore. In passato aveva già precisato che il servizio nell’esercito degli Stati Uniti l’ha reso sostenitore di Israele. Durante un’intervista con Netanyahu a marzo ha dichiarato: “Israele ha bisogno del nostro sostegno” e in una serie di tre puntate per Fox Nation intitolata “Battaglia in terra santa: Israele in guerra” ha ribadito: “Non c’è dubbio che questa è una battaglia che Israele deve portare a termine”.

Sull’Iran ha una posizione molto dura e già nel 2020 su Fox News aveva invocato un’azione militare statunitense: “Non voglio l’occupazione né una guerra infinita. Ma l’Iran è in guerra con noi da quarant’anni. O lo fermiamo ora o aspettiamo, torniamo al tavolo e lo lasciamo tergiversare mentre cerca di continuare a sviluppare le capacità per fare esattamente quello che ha detto di voler fare”. E ha lodato l’impegno di Israele nel contrastare gli iraniani: “Israele ha già fatto molte cose in segreto per respingerli, uccidendo, hackerando le loro strutture, danneggiando le loro centrifughe”.

Anche Mike Waltz, scelto come consulente per la sicurezza nazionale, è favorevole all’azione dura contro Teheran e già prima della guerra a Gaza aveva detto che gli Stati Uniti avrebbero dovuto consentire a Israele di colpire il programma nucleare iraniano. Secondo lui “l’Iran continuerà a fomentare disordini perché vuole distruggere Israele. Fare una concessione dopo l’altra a Teheran è proprio quello che destabilizza la situazione”. Waltz ha più volte criticato la politica estera dell’amministrazione Biden, definita “della concessione e del caos”. A settembre ha detto su Fox News che un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e la liberazione degli ostaggi israeliani non porteranno alla fine del conflitto. Ha invece elogiato le azioni di Israele per eliminare la leadership di Hamas.

Tra le altre nomine degne di nota ci sono il direttore della Cia John Ratcliffe, che ha accusato la vicepresidente Kamala Harris di promuovere una “falsa narrazione” in base alla quale Israele uccide palestinesi innocenti a Gaza; Stephen Miller, consulente per la sicurezza nazionale che nel 2017 ha architettato il bando nei confronti degli immigrati provenienti da alcuni paesi musulmani; e Kristi Noem, segretaria per la sicurezza nazionale, che come governatrice del South Dakota ha firmato una legge per rendere obbligatoria durante le indagini su casi di presunta discriminazione la discussa definizione di antisemitismo proposta dall’International holocaust remembrance alliance (Ihra).

Insomma non c’è da stupirsi che le scelte di Trump abbiano fatto la gioia dell’estrema destra israeliana. Smotrich ha addirittura previsto pubblicamente che il 2025 sarà l’anno in cui Israele conquisterà la “sovranità” sulla Cisgiordania. In un editoriale Haaretz avverte però che c’è poco da rallegrarsi e che le nomine “dovrebbero preoccupare tutti quelli che hanno a cuore il futuro d’Israele”. Sostenere l’annessione e gli insediamenti significa infatti accelerare “il conto alla rovescia verso la fine di Israele come stato democratico”.

Il direttore di Middle East Eye David Hearst lancia l’allarme invece sul fatto che le persone scelte da Trump possano spingere il Medio Oriente sull’orlo del caos, consentendo a Israele di realizzare i suoi piani nella regione: annettere Gaza e la Cisgiordania, cacciare Hezbollah dal sud del Libano e indebolire le reti di alleanze iraniane colpendole in Siria e in Iraq. “Non posso dire quanto di questi piani vedrà la luce né se sarà così”, scrive Hearst. Quello che è certo però è che negli ultimi tredici mesi il mondo arabo è cambiato in modo irreversibile: “La squadra di Trump non sta tornando allo stesso campo di gioco in cui si era divertita nel 2017”.

Questo testo è tratto dalla newsletter Mediorientale.

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