21 febbraio 2019 15:24

Vicino a uno dei tanti passaggi di frontiera tra l’Irlanda del Nord e la repubblica d’Irlanda, una scavatrice gialla serve da monumento in memoria degli sforzi fatti dalle comunità locali per mantenere aperte le strade durante i troubles, la cosiddetta guerra a bassa intensità in Irlanda del Nord.

Soprannominata border buster è stata acquistata con una colletta dagli abitanti del luogo per tremila sterline, nel 1992. È stata usata per sfidare l’esercito britannico che chiudeva o distruggeva le strade secondarie e incanalava il traffico lungo posti di blocco militari, rimasti attivi sulle strade principali finché nel 1998 un accordo di pace ha messo praticamente fine a trent’anni di violenza.

La scavatrice, che oggi poggia su un piedistallo ed è accompagnata da una targa, mostra perché la frontiera da cinquecento chilometri sia così importante nel dibattito sulla Brexit, e quale resistenza potrebbe incontrare la reintroduzione di qualunque tipo di controllo tra l’Irlanda del Nord britannica e la repubblica d’Irlanda, che fa parte dell’Ue.

“Era diventato uno scontro di volontà”, racconta Dessie McManus, 56 anni, ricordando come “uomini, donne e bambini” trascorressero le loro domeniche rimuovendo barriere di cemento o riempendo le buche, solo per rendere nuovamente accessibili le strade che usavano per andare al lavoro, in chiesa o per fare acquisti. “Ci siamo sempre sentiti dalla parte del giusto”.

Oggi che quel confine è aperto, Londra, Dublino e Bruxelles vogliono evitare il ripristino dei controlli doganali per merci e persone una volta che il Regno Unito avrà lasciato l’Unione europea. Ma non sono in grado di trovare un modo per garantire un “backstop”, che eviterebbe il ripristino di un confine vero e proprio, mentre il Regno Unito si sta avviando a uscire dall’unione il 29 marzo senza un accordo.

Gli abitanti non accetteranno interferenze in una normalità che danno per acquisita da vent’anni

Anche se la polizia su entrambi i lati teme che i posti di blocco potrebbero diventare un obiettivo per gruppi d’irriducibili, contrari all’accordo di pace, la prima scintilla dei disordini potrebbe anche arrivare dagli abitanti del luogo. McManus, un allevatore di bovini di Kinawley, nel Nord, che vive a sei minuti di auto dal paese irlandese di Swanlinbar, dice che gli abitanti non accetteranno interferenze in una normalità che danno per acquisita da vent’anni. “Nessuno accetta l’idea che ritornino i posti di blocco. Le persone sono contrarie”, spiega McManus, il quale, ricordando la storia di questa provincia, teme che una simile resistenza possa poi ingigantirsi e finire fuori controllo in brevissimo tempo.

Ricordi vivi
La violenza settaria che ha portato alla morte di 3.600 persone fu in parte frutto di una simile escalation cinquant’anni fa, quando le truppe britanniche furono inviate nella città di Londonderry per reprimere i disordini legati a una campagna per i diritti civili lanciata dalla minoranza cattolica.

Belfast ha assistito a un preoccupante ritorno della violenza tra i nazionalisti cattolici, favorevoli a un’Irlanda unita, e i lealisti protestanti filobritannici, quando è stata interrotta, nel 2012, la centenaria tradizione di far sventolare la bandiera britannica sul municipio cittadino. “Si teme che una eventuale manifestazione pacifica sia sfruttata da chi vuole attizzare la violenza e le tensioni”, spiega Katy Hayward, docente di sociologia alla Queen’s University di Belfast. “Solo tenendo presente questi sentimenti si può comprendere il processo di pace: persone con prospettive diverse hanno davvero trovato una loro dimensione in Irlanda del Nord e di conseguenza le violenze sono diminuite”.

Le economie del nord e del sud, inoltre, sono molto più interconnesse, e anche per questo un ritorno dei confini potrebbe essere dannoso, sottolinea Damian McGenity del gruppo di protesta Border communities against Brexit (comunità di frontiera contro la Brexit).

Secondo InterTradeIreland, l’associazione creata in seguito agli accordi di pace del 1998, da quando sono stati aboliti i posti di frontiera il commercio transfrontaliero è cresciuto a una media del 4 per cento annuo. “Le proteste saranno immediate”, osserva McGenity, 45 anni, direttore dell’ufficio postale e agricoltore a tempo parziale della cittadina nordirlandese di Jonesborough, raggiungibile più facilmente in auto dall’aeroporto di Dublino, nella Repubblica d’Irlanda, che da quello di Belfast. “Si è parlato molto del ritorno della violenza. Ma la questione riguarda semmai chi si sposta in auto o in camion e che potrebbe perdere la pazienza con un garda (poliziotto) o un ufficiale delle dogane, magari facendo a pugni. Da lì nascerebbero polemiche sul fatto che i garda hanno bisogno di maggiore protezione. E da lì scoppierebbero ovunque problemi gravi”.

Per i vicini di McGenity che vivono lungo il confine orientale tra Armagh e Louth, il ricordo di come dai casotti dei doganieri si sia passati a una delle aree più militarizzate d’Europa occidentale è molto concreto, ed è inconcepibile il ritorno di un qualunque tipo di confine reale.

“Sappiamo bene a cosa dovremmo tornare, e quali sono i pericoli. Basta una piccola scintilla, come la reintroduzione di una manifestazione concreta della frontiera”, sostiene Declan Fearon, 61 anni, presidente del vicino club di sport gaelici Dromintee. “La cosa ci preoccupa molto e non vogliamo neanche pensare alla prospettiva di dover lasciare una simile eredità ai nostri nipoti”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it