18 febbraio 2022 13:35

Questo articolo è stato pubblicato il 26 luglio 2019 sul numero 1317 di Internazionale.

Quando Catherine Jacobson ha sentito parlare per la prima volta delle proprietà curative della canapa, o cannabis, era sul punto di impazzire. Ben, il figlio di tre anni, soffriva di epilessia da quando aveva tre mesi a causa della polimicrogiria, una malformazione della corteccia cerebrale. Nel corso degli anni Jacobson e suo marito Aaron avevano provato almeno sedici farmaci diversi, ma nessuno aveva prodotto benefici duraturi. Erano costretti ad accettare la terribile possibilità che il figlio – le cui capacità cognitive non hanno mai superato quelle di un bambino di un anno – continuasse ad avere crisi epilettiche finché il peggioramento dei danni cerebrali ne avrebbe causato la morte. All’inizio del 2012, quando è venuta a sapere della cannabis durante una conferenza dell’Epilepsy therapy project, Jacobson è tornata a sperare. Il convegno era diverso dagli altri a cui aveva partecipato, che di solito erano rivolti ai ricercatori e non erano incentrati su come aiutare i pazienti. L’obiettivo, in questo caso, era mettere nuove terapie a disposizione delle persone il più rapidamente possibile. I partecipanti non erano solo scienziati e dipendenti dell’industria farmaceutica, ma anche familiari di persone affette da epilessia.

Il suggerimento è arrivato a Jacobson da un certo Jason David, durante una chiacchierata fatta per caso davanti a una delle sale del convegno. David non era un oratore e non era neanche molto interessato alle conferenze. La sua famiglia aveva vissuto un’odissea, e lui era stato vicino a perdere la fiducia nella medicina tradizionale. Ma sosteneva di aver curato le crisi del figlio con un estratto della cannabis, e stava cercando di raccontarlo a chiunque fosse disposto ad ascoltare.

L’idea di provare l’estratto di cannabis gli era venuta dopo aver scoperto che il governo federale deteneva un brevetto sul cannabidiolo, una molecola derivata dalla canapa, comunemente chiamata Cbd. A differenza della più nota molecola, chiamata Thc, il Cbd non ha proprietà psicoattive. Ma alla fine degli anni novanta, gli scienziati del National institute of health, un’agenzia del dipartimento della salute statunitense, scoprirono che poteva avere effetti curativi importanti. In provetta, la molecola proteggeva i neuroni dallo stress ossidativo, un processo di danneggiamento che si verifica in molti disturbi neurologici, compresa l’epilessia.

Jacobson aveva un dottorato di ricerca in neuroscienze. Dopo aver conosciuto David e letto i pochi studi pubblicati sul Cbd, ha cambiato l’argomento del suo postdottorato e si è messa a studiare il gruppo di genitori che curavano i figli con estratti di cannabis. In realtà si stava preparando a farne parte. Ad attirare la sua attenzione è stata soprattutto una ricerca condotta nel 1980 da alcuni scienziati brasiliani su sedici pazienti epilettici. Otto erano stati trattati con il Cbd, l’altra metà con pillole di zucchero. Nella metà dei pazienti che avevano preso il Cbd le crisi erano scomparse quasi completamente e in altri tre casi erano diminuite di intensità. Nel gruppo trattato con il placebo solo un paziente era migliorato.

Gli antiepilettici in commercio fino ad allora – nessuno dei quali aveva aiutato Ben – prendevano di mira solo certi canali ionici e certi recettori sulla superficie dei neuroni, sempre gli stessi. Il Cbd agiva seguendo percorsi diversi, ma ancora piuttosto misteriosi. Jacobson pensava che, se fosse riuscita a trovare un estratto di Cbd adatto avrebbe potuto avere un nuovo tipo di farmaco per Ben. Gli altri farmaci sperimentali di cui aveva sentito parlare alle conferenze sull’epilessia erano in fase di sviluppo e per questo non ancora approvati dalla Food and drug administration (Fda), l’agenzia statunitense che regola i prodotti alimentari e farmaceutici. Insomma non erano disponibili. Ma la cannabis terapeutica era legale in California dal 1996, quindi teoricamente il Cbd era subito accessibile.

Minaccia costante
Sono passati sette anni, e il cannabidiolo è dovunque. Siamo bombardati da una stupefacente varietà di prodotti contenenti Cbd: birre, gomme da masticare, cioccolata e caramelle, lozioni da strofinare sulle articolazioni doloranti, oli, supposte vaginali “lenitive”. Di recente Cvs e Wal-green, due delle maggiori catene di supermercati degli Stati Uniti, hanno annunciato che venderanno prodotti a base di Cbd in alcuni stati. Jason David ha aperto un’attività che vende un estratto di cannabis che ha chiamato Jayden’s Juice, dal nome di suo figlio.

Le crisi di Ben potevano arrivare in qualsiasi momento. Il bambino era ad alto rischio di morte improvvisa e inattesa per epilessia

Molti di questi prodotti danno indicazioni generiche su quello che il Cbd può fare, anche perché la Fda vieta le affermazioni mediche non dimostrate. Ma su internet le promesse abbondano: decine di articoli e testimonianze sostengono che il Cbd sia in grado di curare non solo l’epilessia ma anche l’ansia, il dolore, l’insonnia, il morbo di Crohn, l’artrite e persino l’irascibilità. Questa strana situazione è il frutto della convergenza di diversi fattori. Oggi le ricerche serie, anche se non definitive, sul Cbd abbondano e attirano l’interesse di molti scienziati. Le norme che regolamentano la cannabis e i suoi componenti chimici sono diventate meno severe. E gli aneddoti emersi da quello che Elizabeth Thiele, un’epilettologa di Harvard, definisce il movimento “vernacolare” della cannabis, hanno caricato emotivamente i meriti attribuiti al Cbd. Vista l’esplosione di prodotti derivati, oggi sembra quasi assurdo che, nel 2012, dopo aver deciso di trattare Ben con il Cbd, Jacobson non riuscisse a trovarlo. Alcuni genitori usavano tecniche improvvisate per trattare i figli epilettici: tinture, burro alla cannabis con cui poi cucinavano prodotti da forno, supposte alla cannabis. Alcuni sostenevano di avere risultati positivi. Nel corso degli anni Jacobson ha fatto testare in laboratorio molti di questi prodotti: quasi sempre contenevano pochissimo Cbd e troppo Thc, che oltre a essere psicotropo, secondo i dati a disposizione non è efficace contro le crisi epilettiche.

Jacobson paragona la vita della sua famiglia a quella di chi convive con una minaccia terroristica. Le crisi di Ben potevano arrivare in qualsiasi momento. Il bambino era ad alto rischio di quella che gli epilettologi chiamano Sudep, morte improvvisa e inattesa per epilessia. “Avrei fatto qualunque cosa per salvare Ben”, mi racconta. E così un giorno del 2012 si è ritrovata a guidare il suo suv nero verso un fatiscente quartiere di Oakland, in California, per comprare un chilo di cannabis ad alto contenuto di Cbd.

Uomini e piante
Nei primi anni sessanta Raphael Mechoulam, un chimico israeliano nato in Bulgaria, si fece una semplice domanda: come fa la cannabis a sballarti? La biochimica delle principali molecole psicoattive di altre droghe ricreative, come la cocaina e l’oppio, era già conosciuta. Ma gli scienziati non sapevano come funzionasse la cannabis. Mechoulam è stato il primo scienziato a mappare la struttura chimica del cannabidiolo e del Thc. Vent’anni dopo Allyn Howlett, una scienziata che all’epoca lavorava alla Saint Louis university medical school, usò un equivalente radioattivo del Thc per capire in che parte del cervello andassero a finire i cannabinoidi. Scoprì quelli che in seguito avrebbe chiamato recettori CB1 e che poi sono stati individuati anche nei reni, nei polmoni e nel fegato. Anche i globuli bianchi del sistema immunitario, dell’intestino e della milza hanno recettori dei cannabinoidi, ma di un altro tipo, i CB2.

Esiste una lunga storia di scienziati che hanno acquisito conoscenze sulla fisiologia umana studiando l’interazione delle piante con il nostro corpo. I fiori di papavero e l’oppio che se ne ricava hanno portato alla scoperta dei recettori innati per gli oppioidi che contribuiscono a regolare il dolore, le reazioni allo stress e altro. La nicotina, uno stimolante presente nel tabacco e usato per molto tempo dai nativi americani, ha permesso agli scienziati di scoprire l’esistenza dei recettori nicotinici, che influenzano l’eccitazione neuronale. Perché le piante producono molecole che sembrano concepite per manipolare i circuiti biochimici umani è un mistero. Potrebbe essere una sorta di coincidenza molecolare. Molte piante, compresa la cannabis, potrebbero produrre queste molecole per difendersi da altri organismi: la moderna agricoltura industriale usa un’intera classe di pesticidi basata sulla nicotina – i neonicotinoidi – e pensata per respingere gli insetti eccitando il loro sistema nervoso.

Una serra della KannaSwiss, che coltiva cannabis con alto contenuto di Cbd. Marzo 2017. (Fabrice Coffrini, Afp)

Anche i cannabinoidi hanno proprietà antibatteriche, antimicotiche e insetticide. La loro capacità di legarsi ai nostri recettori potrebbe essere il risultato di milioni di anni di guerra biochimica diretta contro aspiranti erbivori: insetti e altre creature che hanno gli stessi percorsi di segnalazione biochimica degli umani. Se le piante prendono di mira i recettori di cannabinoidi di altri organismi per proteggersi, ne consegue che quei segnali, che i recettori si sono evoluti per ricevere, devono essere di importanza vitale per la salute fisiologica di quegli animali. Altrimenti perché interferire con loro?

Mechoulam concluse che il nostro corpo deve produrre i suoi cannabinoidi, molecole endogene che, come gli oppioidi che vengono naturalmente prodotti dal nostro corpo, interagiscono con i recettori di cannabinoidi in tutto il corpo.

La rete di recettori e trasmettitori cannabinoidi descritta da Howlett e Mechoulam è oggi conosciuta come sistema endocannabinoide. È fondamentale per la regolazione omeostatica, cioè il modo in cui il corpo conserva la sua condizione di normalità e come la recupera. Se una persona è ferita, per esempio, gli endocannabinoidi aumentano, probabilmente per risolvere l’infiammazione e altri segnali di danno associati alla ferita. Aumentano anche dopo un intenso esercizio fisico, un altro fattore di stress, e alcuni scienziati hanno sostenuto che sono loro, e non le più note endorfine, a procurare quella sensazione di euforia che segue l’attività fisica.

Storia millenaria
Gli endocannabinoidi contribuiscono, tra le altre cose, a regolare l’attività immunitaria, l’appetito e la formazione dei ricordi. “Forse nessun altro sistema di segnalazione scoperto negli ultimi quindici anni ha creato tante aspettative per lo sviluppo di nuovi farmaci”, scriveva nel 2008 Vincenzo Di Marzo, un ricercatore che studia gli endocannabinoidi al Consiglio nazionale delle ricerche di Pozzuoli, sulla rivista Nature Reviews Drug Discovery. Ma concretizzare questo valore terapeutico si è rivelato più complicato del previsto.

Quando gli scienziati dell’azienda farmaceutica francese Sanofi-Aventis capirono che il Thc poteva stimolare l’appetito, crearono un farmaco per il dimagrimento che bloccava i recettori CB1, sperando di sopprimere quella sensazione. Il Rimonabant venne messo in commercio in Europa nel 2006, ma fu ritirato due anni dopo per i gravi effetti collaterali, tra cui depressione e comportamento suicida. Quest’episodio sembra dimostrare l’importanza degli endocannabinoidi per la nostra sensazione di benessere e la difficoltà di manipolarli a scopi terapeutici. I tentativi di rafforzare gli endocannabinoidi con sostanze sintetiche non hanno avuto risultati migliori. Nel 2016 gli scienziati francesi hanno interrotto lo studio di un farmaco che puntava a questo. Per ragioni che non sono state chiarite, sei pazienti che lo avevano assunto come terapia del dolore sono finiti in ospedale e uno è morto.

Eppure, le persone usano la cannabis da millenni e gli effetti collaterali sono relativamente pochi. Il Thc si lega ai recettori CB1 e CB2, mentre il funzionamento del Cbd è meno chiaro, perché sembra interagire con diversi sistemi: aumenterebbe la quantità di endocannabinoidi del corpo umano; si legherebbe ai recettori della serotonina, che fa parte del macchinario molecolare del benessere preso di mira dagli antidepressivi Ssri; e stimolerebbe i recettori del Gaba, che hanno il compito di calmare il sistema nervoso. Con oltre 65 bersagli cellulari, il Cbd farebbe una sorta di massaggio completo del corpo a livello molecolare.

Secondo Yasmin Hurd, neuroscienziata al Mount Sinai di New York, questa promiscuità biochimica è uno dei motivi per cui il Cbd sembra così promettente per la medicina. La neuroscienza moderna cerca spesso di prendere di mira un unico circuito o recettore, mi ha spiegato. È un approccio più semplice dal punto di vista scientifico, ma potrebbe non servire ad affrontare problemi più ampi. “Il cervello è paragonabile a una sinfonia”, dice. E il Cbd, sospetta Hurd, può “dare armonia all’intera sinfonia”.

A livello federale la cannabis è sullo stesso piano dell’eroina, dell’ecstasy e dell’lsd, quindi per i ricercatori statunitensi è molto difficile studiarla

In Asia la cannabis è usata a scopi terapeutici da migliaia di anni. Da lì è stata esportata nel resto del mondo, prima in Africa e poi nelle Americhe. All’inizio dell’ottocento William Brooke O’Shaughnessy, un medico irlandese che lavorava in India, scoprì che la cannabis era efficace non solo per trattare le convulsioni infantili ma anche per i reumatismi e per gli spasmi provocati dal tetano. I suoi studi contribuirono all’uso della cannabis tra i medici, e alla fine dell’ottocento la pianta era diventata un componente importante nei testi britannici e statunitensi sulla preparazione dei farmaci.

Ma in quello stesso periodo il nostro rapporto con questa pianta cominciò a rovinarsi. Nel 1930 Harry Anslinger, ex funzionario dell’agenzia per il proibizionismo del governo statunitense, andò a lavorare all’agenzia per i narcotici. La rivoluzione messicana cominciata nel 1910 aveva provocato ondate d’immigrazione negli Stati Uniti. Mentre molti statunitensi assumevano la cannabis per via orale sotto forma di tintura, i nuovi arrivati la fumavano, un’abitudine che si stava diffondendo anche tra gli afroamericani che dalle città del sud migravano verso nord. Anslinger disprezzava i neri e le persone di origine messicana, che furono i più colpiti dalla “guerra alla droga” scatenata in quel periodo dal funzionario. Queste due comunità pagarono un prezzo altissimo che è visibile ancora oggi. Per Anslinger la cannabis rendeva la gente folle, violenta e incline a comportamenti criminali.

L’isteria che Anslinger aveva contribuito a fomentare funzionò sul piano politico. Nel 1937 il congresso approvò il Marijuana tax act, che alzò la tassazione rendendo la cannabis molto più costosa e difficile da ottenere. Molti anni dopo, nel 1970, il presidente Richard Nixon ratificò il Controlled substances act. Una pianta usata per scopi terapeutici per migliaia di anni diventava clandestina.

Famiglie solidali
Con la scorta comprata da uno spacciatore di Oakland, Jacobson ha fatto partire quella che lei chiama “la fase ricerca e sviluppo”. La cannabis che aveva comprato aveva un alto contenuto di Cbd e un basso contenuto di Thc. Ha messo in piedi un laboratorio in casa, ma per mesi non è riuscita a estrarre niente di utile. In seguito, sotto la guida di due scienziati dell’Università della California di Davis, è riuscita a fare dei progressi, e quasi un anno dopo ha ottenuto un estratto di cannabis con alto contenuto di Cbd e senza Thc misurabile. Le condizioni di Ben sono migliorate, e quelle di un altro ragazzo affetto da una grave forma di epilessia, Sam Vogelstein, ancora di più. Jacobson e la madre del ragazzo, Evelyn Nussenbaum, si erano conosciute cercando insieme una fonte sicura e affidabile di Cbd per i loro figli, ed erano diventate grandi amiche.

Ma ora Jacobson sentiva un tipo di pressione diversa. Produrre la medicina era difficile. Anche se aveva imparato molte cose, alcune partite del suo estratto erano inutilizzabili. E non era sicura che avrebbe sempre trovato uno spacciatore disposto a rifornirla. Se quella doveva essere la medicina dei figli, Jacobson voleva un prodotto di grado farmaceutico e sempre disponibile.

Dall’altra parte dell’Atlantico, Geoffrey Guy, fondatore della GW Pharmaceuticals, era riuscito a commercializzare in alcuni paesi europei una medicina derivata dalla cannabis, il Sativex, approvato dalle agenzie mediche per trattare i sintomi della spasticità (e il dolore) causata dalla sclerosi multipla. Conteneva sia Cbd sia Thc. Guy si è incuriosito quando, tramite un amico comune, una famiglia californiana che cercava il Cbd per trattare l’epilessia si è messa in contatto con lui: erano Evelyn Nussenbaum e suo figlio Sam. Guy ha accettato di curare Sam. Jacobson ha fatto analizzare il suo estratto e ha mandato i risultati a Guy.

Nel dicembre del 2012 Sam e Nussenbaum sono andati a Londra per provare un farmaco a base di Cbd purificato messo a punto da Guy. Un po’ alla volta le crisi epilettiche sono diminuite. Dopo aver raggiunto la massima dose quotidiana di Cbd – 250 milligrammi – il ragazzo non ha avuto crisi per una settimana. Parlava meglio e ragionava in modo più coerente. Tornati negli Stati Uniti, sono passati sei mesi prima che Sam potesse prendere di nuovo l’estratto preparato da Guy. Secondo le leggi federali statunitensi la cannabis a scopo medico è illegale, ma alla fine Sam ha potuto ricominciare con la cura grazie al programma per uso compassionevole dell’Fda, che mette a disposizione di pazienti con gravi condizioni cliniche i farmaci non ancora approvati.

Grazie a una richiesta dell’epilettologa Roberta Cilio della Università della California di San Francisco, anche Ben ha cominciato a prendere il farmaco grazie al programma dell’Fda. Era d’aiuto per superare le crisi più gravi, che gli facevano perdere coscienza. Ma il bambino continuava ad avere degli attacchi.

Jacobson e Nussenbaum conoscevano molte altre famiglie che avevano un problema simile al loro ma non avevano le stesse risorse e conoscenze. Erano convinte che tutti avrebbero dovuto avere accesso al farmaco che aveva aiutato Sam. Ma era difficile, perché l’Fda approva nuovi farmaci solo se sono stati testati in veri esperimenti. Considerando la difficile storia politica della cannabis negli Stati Uniti e lo scetticismo con cui si sarebbero sicuramente scontrate, Jacobson sapeva che avrebbero avuto bisogno dei massimi esperti di epilessia per condurre questi esperimenti.

La Drug enforcement administration (l’agenzia antidroga statunitense, Dea), mette la cannabis sullo stesso piano dell’eroina, del peyote, dell’ecstasy e dell’lsd, quindi per i ricercatori statunitensi è molto difficile studiarla. Gran parte delle ricerche sul suo potenziale terapeutico sono state svolte in altri paesi, tra cui il Brasile. Negli anni settanta Antonio Zuardi, un neuroscienziato dell’Università di São Paulo, cominciò a studiare l’influenza dei cannabinoidi sugli stati mentali. Scoprì che il Cbd poteva attenuare gli effetti ansiogeni e psicotici del Thc. Studi successivi di Zuardi e dei suoi colleghi mostrarono che una grossa dose di Cbd somministrata a volontari che avevano paura di parlare in pubblico smussava la cosiddetta risposta flight or fight, fuga o lotta, che comporta accelerazione del battito cardiaco, aumento della pressione sanguigna e maggiore conduttanza. Il Cbd potrebbe anche avere proprietà antipsicotiche. In alcuni individui alte dosi di Thc possono indurre sintomi psicotici, e un forte uso di cannabis in età giovane è stato associato a un maggior rischio di sviluppare disturbi psicotici, forse perché altera lo sviluppo cerebrale. Ma proprio come Zuardi aveva scoperto che il Cbd può attenuare l’ansia, gli scienziati del King’s College di Londra hanno scoperto che può ridurre gli effetti psicotici del Thc e potrebbe forse essere utile contro la schizofrenia, un disturbo il cui sintomo principale è la psicosi.

Qualche anno fa Hurd, la neuroscienzata del Mount Sinai, ha scoperto che il Thc poteva indurre un comportamento di ricerca dell’eroina nei roditori, agendo come una “droga di passaggio”. Questo confermerebbe la tesi di chi si oppone alla legalizzazione della cannabis. Ma Hurd ha anche scoperto che il Cbd riduce questo tipo di comportamento, così ha deciso di cambiare l’oggetto del suo lavoro. Ora studia il modo in cui il Cbd può aiutare le persone dipendenti da oppiodi a liberarsi dalla dipendenza. A quanto pare, riducendo l’ansia e il desiderio – le principali cause di ricaduta – il Cbd aiuta i pazienti a mantenere la rotta. E visto che a differenza di altri ansiolitici non provoca assuefazione, potrebbe essere un’arma efficace per un abuso di oppioidi che negli Stati Uniti causa 130 morti al giorno.

Altri usi dei cannabinoidi derivati dalla pianta potrebbero dare risultati importanti. Gli scienziati della New York university stanno studiando il Cbd come trattamento per i disturbi dello spettro autistico. Ricercatori spagnoli stanno testando il Thc e il Cbd sul glioblastoma, un tumore del cervello. Scienziati israeliani hanno scoperto che il Cbd può ridurre l’incidenza della malattia acuta da rigetto nei pazienti che hanno subìto un trapianto di midollo osseo, presumibilmente perché il cannabinoide calma il sistema immunitario e gli impedisce di attaccare il paziente.

Successo inaspettato
Com’è possibile che una famiglia di molecole dia benefici per così tante patologie? La risposta più ovvia è che forse non ne dà: tutte queste ricerche sono in fase iniziale e potrebbero non portare risultati. Ma gli scienziati hanno anche un’altra spiegazione: molti disturbi cronici sembrano avere cause diverse, ma in realtà sono caratterizzati da disfunzioni negli stessi meccanismi. L’infiammazione e lo stress ossidativo, per esempio, si riscontrano nella schizofrenia, nei disturbi metabolici e nelle cardiopatie. La magia terapeutica del Cbd e, in alcuni casi, del Thc, potrebbe dipendere da come, stimolando il sistema degli endocannabinoidi, queste molecole allontanano il corpo dalla malattia per spingerlo verso quella condizione di tranquillità che gli scienziati chiamano omeostasi. All’inizio del 2013, poche settimane dopo che Sam Vogelstein era tornato da Londra, Catherine Jacobson ha organizzato una riunione alla New York University. C’erano anche Geoffrey Guy, alcuni studiosi di epilessia e un consulente con esperienze alla Dea, e l’obiettivo era trovare il modo di rendere finalmente possibili esperimenti autorizzati dall’Fda. Quello che è successo dopo la riunione ha superato ogni aspettativa di Jacobson.

Nel giugno del 2018, dopo cinque anni – pochissimo se si considera il tempo necessario per mettere a punto un farmaco – l’Fda ha approvato l’estratto di Cbd della GW Pharmaceuticals come trattamento per due rare forme di epilessia, la sindrome di Lennox Gastaut e la sindrome di Dravet. E tre mesi dopo la Dea ha spostato questo farmaco a base di Cbd nella lista delle sostanze con basso potenziale di abuso.

Gli effetti collaterali del Cbd sono noti. Alcuni bambini sono soggetti a cambiamenti di umore quando assumono alcuni oli

Il farmaco, l’Epidiolex, non è il primo derivato della cannabis presente sul mercato, ma è l’unico a contenere solo Cbd e a essere stato ottenuto direttamente dalla pianta di cannabis. Come nuovo tipo di farmaco, spiega Elizabeth Thiele, è importante perché agisce su circuiti diversi rispetto agli antiepilettici oggi disponibili, aumentando il numero di trattamenti per le epilessie infantili difficili da curare.

L’Epidiolex è unico anche per la sua storia. Generalmente i farmaci vengono sviluppati nei laboratori e sottoposti a sperimentazione prima di raggiungere i pazienti. In questo caso, invece, due madri di bambini epilettici hanno fatto esperimenti sui loro figli e poi hanno contribuito a far approvare la loro scoperta dall’Fda.

Molti medici sono scettici su questo ribaltamento, perché temono che i pazienti possano illudersi, ma alcuni ricercatori interessati ai cannabinoidi hanno cominciato a considerare le applicazioni fai da te per capire su cosa concentrarsi. I consumatori, intanto, studiano gli articoli disponibili in materia, come aveva fatto Jacobson quando cercava indicazioni su come usare i cannabinoidi. Il risultato finale è che la scienza della cannabis e il suo uso non ufficiale coesistono in una precaria simbiosi. “È una situazione senza precedenti”, dice Jacobson. “Non credo esista un altro prodotto che è allo stesso tempo una sostanza che procura benessere, un farmaco contro gravi malattie e una droga ricreativa”.

Il Cbd generalmente è considerato sicuro, anche ad alte dosi testate finora (le quantità presenti nella cioccolata, nel tè e in altri prodotti commestibili tende a essere molto inferiore alle concentrazioni testate sperimentalmente). Ma visto che le leggi sulla cannabis variano da uno stato all’altro, i ricercatori temono che i consumatori non ricevano quello che credono di ricevere.

In ogni caso molte persone, compresi alcuni scienziati, sono convinte che i farmaci a base di Cbd non dovrebbero essere disponibili solo dietro ricetta medica, e ricordano che prima del Controlled substances act del 1970, che rese illegale la cannabis, le persone usavano la pianta a scopi terapeutici. La cannabis, secondo loro, dovrebbe ritrovare il suo ruolo di rimedio popolare.

Il tempo perso
Se nel movimento per legalizzare la cannabis a scopo medico esiste un paziente zero, è sicuramente Charlotte Figi, una ragazza del Colorado. Ha cominciato ad avere convulsioni a tre mesi. I medici le hanno diagnosticato la sindrome di Dravet, nel suo caso provocata da una mutazione genetica spontanea. A cinque anni era sulla sedia a rotelle, veniva alimentata con un tubo, aveva 350 convulsioni a settimana e aveva avuto vari arresti cardiaci.

Nel 2011, come ultima risorsa, la madre di Charlotte, Paige, le ha somministrato un estratto ad alto contenuto di Cbd acquistato da un coltivatore locale (la cannabis terapeutica è legale in Colorado dal duemila). Le convulsioni sono cessate quasi completamente. La notizia di questo successo si è diffusa in fretta. La storia è finita sulla Cnn e nel giro di pochi giorni decine di genitori disperati sono arrivati in Colorado da tutto il paese per comprare la cannabis terapeutica.

Mentre Jacobson e Nussenbaum si sono date l’obiettivo di contribuire a far approvare dall’Fda un farmaco derivato dalla cannabis, Figi si è concentrata sull’aspetto legislativo, diventando una sorta di ambasciatrice del Cbd. Ha testimoniato davanti ai parlamentari di vari stati e ha contribuito a scrivere un disegno di legge pensato per legalizzare il Cbd a livello nazionale (la proposta non è passata).

Alcuni medici guardano con sospetto al movimento dei genitori a favore della cannabis perché, nella sua dedizione quasi religiosa alla pianta, somiglia a una setta. Kristen Park, un’epilettologa del Children’s hospital, in Colorado, mi ha raccontato che quando il servizio della Cnn è andato in onda, l’ospedale è stato inondato da pazienti che cercavano la cannabis terapeutica. Lei non aveva ancora dati sull’efficacia dell’estratto e non se la sentiva di raccomandarla. I test dell’Epidiolex hanno dato alcuni risultati positivi, mi ha detto, ma lei è ancora perplessa. A volte, spiega, i genitori dei pazienti rifiutano trattamenti collaudati dell’epilessia a favore di prodotti a base di cannabis perché li considerano naturali e quindi migliori delle medicine tradizionali. “A causa di tutta questa pubblicità, la gente a volte pensa che la cannabis sia una panacea in grado di risolvere ogni problema”. Quello che molti non capiscono, continua, è che anche se aiuta, il Cbd è solo un altro farmaco, e nessun farmaco funziona per tutti e sempre.

E quasi nessun farmaco è completamente privo di effetti collaterali. In base al processo di approvazione di un farmaco, gli effetti collaterali devono essere riportati sulla confezione. Se dopo l’approvazione della Fda ne appaiono di nuovi, possono essere aggiunti in un secondo momento. Come spiega Ken Mackie dell’Università dell’Indiana, non esiste un meccanismo simile nel movimento creato dai genitori, non esiste un archivio centrale con le interazioni e gli effetti collaterali.

Alcuni effetti collaterali del Cbd sono noti. Thiele, l’epilettologa di Harvard, dice che alcuni bambini, per ragioni non chiare, sono soggetti a cambiamenti di umore quando assumono alcuni oli a base di Cbd. Il Cbd può anche interferire con la rapidità di assimilazione di altri farmaci. Ma la maggiore preoccupazione, espressa ripetutamente da medici e genitori, è il controllo della qualità. Nel 2017 uno studio pubblicato dal Journal of American Medical Association sosteneva che, su 84 prodotti venduti online, il 26 per cento aveva meno Cbd di quanto dichiarato e il 43 per cento ne aveva di più. Inoltre la pianta di cannabis può assorbire sostanze tossiche come metalli pesanti o pesticidi e trasportare agenti infettivi.

Il Cbd non garantisce sempre un successo assoluto. Sam Vogelstein, il cui caso ha portato alla nascita dell’Epidiolex, è riuscito a controllare le crisi per anni, limitandole a circa sei al giorno. Ma nell’autunno del 2015 ha cominciato ad avere un diverso tipo di convulsioni, molto più forti, che lo facevano cadere e contorcersi sul pavimento, cosa che non succedeva in passato. Dosi maggiori di Epidiolex non hanno dato risultati, così Roberta Cilio, la neurologa che ha in cura Sam, ha prescritto il Depakote, un anticonvulsivante. Sam lo aveva già preso in passato, senza nessun beneficio, ma stavolta, in combinazione con l’Epidiolex, ha fatto meraviglie: da tre anni e mezzo il ragazzo si è completamente liberato dalle convulsioni.

La condizione di Ben Jacobson è più incerta. “Continua a peggiorare”, mi spiega Jacobson. “La sua speranza di vita è così breve che non vogliamo pensarci.”

Charlotte Figi, che oggi ha 12 anni, continua a non avere convulsioni. Ha un ritardo nello sviluppo, mi ha detto la madre, e soffre di un’osteoporosi causata, crede, dalle alte dosi di steroidi assunte da piccola per controllare le crisi. Ma per il resto è una bambina allegra e giocosa.

Nel frattempo, mentre la scienza si muove a piccoli passi, il Cbd è diventato un fenomeno della cultura pop. Kim Kardashian ha organizzato un baby shower a tema Cbd. Ad aprile, in Colorado, la catena di fast food Carl’s Jr. ha testato un hamburger al Cbd. Alcuni ricercatori sono preoccupati perché la moda del Cbd è andata oltre la scienza. Ma Staci Gruber, docente di psichiatria ad Harvard, non crede che le due cose siano necessariamente in conflitto. E questo potrebbe sembrare strano, visto il suo lavoro. Gruber ha scoperto che i consumatori di cannabis a scopo ricreativo, soprattutto quelli che cominciano a usarla da giovani, mostrano alcune difficoltà cognitive e hanno struttura e funzioni cerebrali alterate.

Nel 2014 Gruber ha lanciato la Marijuana investigations for neuroscientific Discovery, o Mind, un programma pensato per esaminare gli effetti della cannabis terapeutica, e per il momento ha riscontrato esattamente l’effetto contrario: le funzioni cognitive nelle persone che ne fanno uso sembrano migliorare con il tempo e l’evidenza preliminare suggerisce che, dopo l’inizio del trattamento con cannabis terapeutica, la loro attività cerebrale comincia a normalizzarsi. Gruber non sa bene a cosa attribuire questi effetti contrastanti, ma ha diverse teorie. Cercando una sensazione di euforia, i consumatori ricreativi spesso chiedono prodotti con un più alto contenuto di Thc. I pazienti, invece, vogliono controllare i sintomi e perciò potrebbero cercare prodotti ricavati dall’intera pianta che contengono non solo più Cbd ma anche altri cannabinoidi potenzialmente sani. I consumatori a scopi terapeutici tendono anche a essere più anziani e alcune evidenze suggeriscono che il Thc è meno tossico per i cervelli più vecchi.

Inoltre, secondo la psichiatra i pazienti che usano la cannabis terapeutica con il tempo tendono a ridurre l’uso di farmaci convenzionali, un fatto che potrebbe essere positivo per la struttura e le funzioni cerebrali. Qualunque sia la spiegazione, Gruber pensa che sia importante incentivare la ricerca sul Cbd. “La gente usa la cannabis da sempre”, dice. “Ora la questione per gli scienziati è questa: come recuperare il tempo perso?”.

(Traduzione di Giuseppina Cavallo)

Da sapere
La canapa italiana

Negli ultimi anni anche in Italia è cresciuto l’interesse per il cannabidiolo (Cbd), una molecola derivata dalla canapa che a differenza del Thc non ha proprietà psicoattive e secondo molti scienziati potrebbe avere importanti effetti curativi. Ma oggi la diffusione di prodotti che contengono Cbd non è regolata chiaramente. Con una norma del 2016, la cosiddetta legge sulla canapa, il parlamento ha legalizzato la coltivazione di questa pianta, concentrandosi solo sul livello di Thc, che non può superare lo 0,2 per cento, con un margine di tolleranza fino allo 0,6 per cento. Nei tre anni seguenti in Italia sono stati aperti centinaia di negozi che vendono prodotti – come cannabis light e oli – a basso contenuto di Thc e con livelli più alti di Cbd. Ma il 30 maggio 2019 la corte di cassazione ha stabilito che la legge del 2016 si applica a prodotti della canapa come i tessuti e la carta, e non a foglie, inflorescenze, olio e resina di cannabis che rimangono illegali, a meno che “siano in concreto privi di efficacia drogante”. La sentenza però non ha risolto la questione, e i negozi che vendono quei prodotti restano aperti.

L’incertezza legislativa rende anche complicato per la comunità scientifica studiare i potenziali effetti curativi del Cbd. Nel 1974 l’Italia ratificò la convenzione unica sugli stupefacenti del 1961, che inserisce la cannabis tra le sostanze soggette ad abuso e che danno dipendenza.

Secondo l’Associazione Luca Coscioni, questa denominazione di fatto impedisce la ricerca sui componenti attivi della pianta e causa difficoltà amministrative agli scienziati che vogliono studiarla. Molti ricercatori chiedono che l’Italia segua l’esempio dell’Organizzazione mondiale della sanità, che all’inizio del 2019 ha riconosciuto le qualità terapeutiche della cannabis.–Quotidiano Sanità, Wired


Questo articolo è stato pubblicato il 26 luglio 2019 sul numero 1317 di Internazionale. Era uscito sul New York Times Magazine.

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