29 maggio 2019 12:39

Cos’è esattamente un uragano?

Un uragano è una grande tempesta rotante che si forma al di sopra delle acque tropicali o subtropicali dell’Atlantico. Questi sistemi meteorologici di bassa pressione attingono da acqua calda e umidità atmosferica per alimentare la propria potenza e acquistano velocità se non sono rallentati da sacche di aria secca, venti laterali o terraferma.

“Sono come altissime torri di vento che si muovono alla stessa velocità, talvolta alte fino a diciotto chilometri”, spiega Jim Kossin, scienziato presso l’amministrazione oceanica e atmosferica nazionale degli Stati Uniti. “Se non li ostacolano le variazioni di intensità e velocità del vento (wind shear) o la terraferma, continuano la loro progressione indisturbati”.

Le tempeste ricevono il nome dopo che hanno prodotto venti di velocità superiore ai 59 chilometri orari. Gli uragani sono misurati in base alla cosiddetta scala di velocità del vento Saffir-Simpson, che va da uno a cinque.

Quando una tempesta arriva al terzo punto della scala è classificato come uragano grave, con venti di almeno 178 chilometri all’ora e una forza sufficiente a danneggiare abitazioni e sradicare degli alberi. Le tempeste di categoria cinque, con velocità di almeno 252 chilometri orari, possono radere al suolo degli abitati, provocare una diffusa mancanza di elettricità e determinare molte morti.

Della categoria più seria fanno parte l’uragano Katrina, che ha provocato l’inondazione di New Orleans nel 2005, e l’uragano Maria, che ha raso al suolo buona parte di Puerto Rico nel 2017.

Sono diversi da tifoni e cicloni?

Sia gli uragani sia i tifoni sono cicloni tropicali, l’unica differenza è il luogo in cui avvengono. Nell’Atlantico si usa il termine uragano, mentre nel Pacifico si usa quello di tifone. Nel Pacifico meridionale e nell’oceano Indiano si usa spesso l’espressione ciclone tropicale.

Perché esiste una stagione degli uragani?

Quasi tutti gli uragani si sviluppano quando l’emisfero nord si avvicina all’estate. La stagione degli uragani va dal 1 giugno al 30 novembre, e si intensificano tra agosto e ottobre.

Questo perché i fenomeni di variazione del vento, che possono evitare la formazione di uragani, si esauriscono durante l’estate, mentre la temperatura degli oceani aumenta, così come la quantità di umidità nell’atmosfera. Queste condizioni sono ideali per dare vita agli uragani.

I confini di questa stagione non sono tuttavia strettamente definiti. “Può cominciare anche prima”, spiega Jennifer Collins, esperta di uragani presso l’università della Florida meridionale. “Pensiamo al 2016, quando l’uragano Alex (una tempesta che si è abbattuta su Bermuda) si è formato a gennaio”.

Perché diamo dei nomi agli uragani?

Per evitare confusioni quando vi sono due o più uragani attivi. In passato le tempeste ricevevano nomi di santi, mentre gli uragani hanno ricevuto nomi solo dal 1950, usando l’alfabeto fonetico.

Da allora i nomi usati si sono diversificati, con una lista creata prima di ogni stagione degli uragani e usata ogni volta che si sviluppava una nuova tempesta. I nomi usati per degli uragani particolarmente devastanti sono stati ritirati dalla lista: per questo motivo non vedremo mai più, per esempio, un uragano Katrina.

Dal 1953 sono stati usati nomi femminili per gli uragani, il che ha provocato delle proteste. “Potete immaginare che le donne non volevano che una cosa distruttiva come un uragano fosse associata unicamente al loro sesso e così, grazie alla spinta del movimento femminista, nel 1979 si è cominciato ad alternare nomi maschili con nomi femminili”, spiega Collins.

Una casa distrutta dall’uragano Irma a Cruz Bay, sull’isola di Saint John, Stati Uniti, il 16 settembre 2017. (Jonathan Drake, Reuters/Contrasto)

La cosa sembra avere alcune conseguenze, almeno a livello psicologico. Nel 2014 alcuni ricercatori statunitensi hanno scoperto che i loro compatrioti sono meno spaventati dagli uragani con nomi femminili. “Le persone che immaginavano uragani ‘al femminile’ non avevano lo stesso impulso a cercare riparo”, spiega il co-autore dello studio Sharon Shavitt.

Cosa è successo con gli uragani degli ultimi anni?

Gli ultimi anni sono stati molto difficili per le persone che abitavano sul percorso degli uragani, negli Stati Uniti e nei Caraibi. Nel 2018 ci sono state 15 tempeste superiori alla media e dotate di nomi propri, tra cui l’uragano Florence, sviluppatosi al largo delle coste dell’Africa occidentale prima di colpire il North Carolina, facendo sprofondare buona parte dello stato nell’oscurità, lasciando fino a 76 centimetri di pioggia sul luogo e producendo inondazioni che hanno ucciso decine di persone.

A questo è seguito l’uragano Michael, la prima tempesta di categoria cinque ad abbattersi sugli Stati Uniti dal 1992. Questa tempesta da 257 chilometri orari ha cancellato la città di Mexico Beach in Florida, uccidendo più di settanta persone e provocando danni per circa 25 miliardi di dollari.

Questi disastri sono arrivati dopo la stagione degli uragani 2017, che aveva causato danni record per 282 miliardi di dollari. L’uragano Harvey ha riversato 125mila miliardi di litri d’acqua sul Texas. L’uragano Irma, di potenza straordinaria, ha raggiunto una velocità massima di 273 chilometri all’ora, devastando la Florida, e svariate migliaia di persone sono morte a Puerto Rico dopo che l’uragano Maria, un’altra tempesta di categoria cinque, si è abbattuta sull’isola.

Il disastro inflitto a Puerto Rico, in particolare, non è ancora finito, e il governo degli Stati Uniti è stato pesantemente criticato dai rappresentanti politici dell’isola per la loro risposta lenta e inadeguata alla catastrofe.

Gli uragani si fanno sempre più forti e devastanti?

Anche se il numero complessivo di uragani è rimasto più o meno lo stesso negli ultimi decenni, ci sono prove del fatto che questi si stiano intensificando con maggiore rapidità, producendo un numero più alto di fenomeni riconducibili alle categorie quattro o cinque, le più gravi.

La proporzione di tempeste tropicali che si sono rapidamente trasformate in potenti uragani è triplicata negli ultimi trent’anni, secondo una recente ricerca. Un rapido aumento di velocità in un periodo di 24 ore rende gli uragani meno prevedibili, nonostante il miglioramento dei sistemi di previsione di questi fenomeni, e aumenta la possibilità di provocare danni diffusi.

La distruzione provocata dagli ultimi uragani ha fatto temere un aumento dei premi assicurativi, dal momento che gli assicuratori devono fare i conti con un aumento delle richieste di risarcimento. In Nordamerica gli assicuratori hanno pagato una cifra record di 135 milioni di dollari, perlopiù destinati a ripagare i danni da uragano. “La nostra realtà è cambiata”, spiega Ernst Rauch, dirigente presso la società assicurativa Munich Re. “Dobbiamo tenere conto della tendenza delle nuove magnitudini”.

La colpa è dell’emergenza climatica?

Una serie di fattori influenza il numero di uragani che si abbattono sulla terraferma, dai fenomeni meteorologici locali agli eventi climatici periodici, come El Niño. Prima del 2017, gli Stati Uniti avevano attraversato una “penuria” di uragani che risaliva all’uragano Wilma del 2005.

Ma ci sono prove del fatto che il riscaldamento dell’atmosfera e dello strato superiore dell’oceano, dovuto ad attività umane come l’uso di combustibili fossili, stia rendendo le condizioni mature per uragani più gravi e devastatori.

“Gli ultimi anni sono stati molto insoliti, come nel caso dell’uragano Irma, che ha mantenuto la sua forza a lungo, e di quello che si è abbattuto sul Mozambico, che ha riversato moltissima pioggia”, dice Kossin. “Tutti questi elementi sono legati al riscaldamento dell’atmosfera. Aumentando la produzione di calore, con il passare del tempo le tempeste saranno più forti”.

Sono molti i modi in cui l’emergenza climatica interagisce con gli uragani. Una maggiore umidità nell’aria implica un aumento delle piogge. Anche se le tempeste s’intensificano più velocemente, spesso si spengono prima di toccare terra, il che provoca rovesci torrenziali che producono terribili inondazioni.

A Chelsea, New York, durante il blackout causato dall’uragano Sandy, il 29 ottobre 2012. (Andrew Kelly, Reuters/Contrasto)

L’aumento del livello degli oceani facilita l’incremento di tempeste e di uragani. Uno studio ha evidenziato che l’uragano Sandy del 2012 probabilmente non avrebbe inondato la parte bassa di Manhattan se si fosse verificato un secolo prima, perché allora il livello del mare era più basso di un piede. Secondo il comitato inter-governativo sui cambiamenti climatici dell’Onu, l’intensità massima degli uragani aumenterà di circa il 5 per cento questo secolo.

L’aumento della fascia di calore intorno ai tropici implica anche l’estendersi dell’area in cui gli uragani potranno svilupparsi, il che produrrà gravi tempeste in territori più settentrionali rispetto al passato, come nel caso di Florence. Nel Pacifico questa mutazione fa sì che il punto focale dei tifoni si stia spostando dalle Filippine verso il Giappone.

I ricercatori stanno cercando di appurare se i cambiamenti climatici contribuiranno a modificare l’itinerario degli uragani al punto da spingere in futuro alcuni di essi verso il Regno Unito.

“Quanto sta accadendo ha implicazioni per luoghi che storicamente non sono mai stati toccati dai cicloni tropicali”, spiega Collins, secondo la quale è probabile che le aree che saranno colpite per la prima volta saranno sottoposte a maggiori rischi di danni strutturali rispetto alle zone tradizionalmente soggette a uragani.

“Stiamo già osservando gli effetti dei cambiamenti climatici”, dice Collins. “Anche se non esiste un consenso sulla frequenza degli uragani in un mondo più caldo, tutti concordano sul fatto che gli uragani stiano diventando più intensi e che quindi il loro impatto sarà peggiore”.

Le persone si stanno adattando a questi cambiamenti?

La previsione degli uragani è diventata un’arte elaborata, con scienziati in grado di prevederne con grande precisione il percorso e l’intensità. Negli Stati Uniti gli stati colpiti possiedono sistemi raffinati d’allarme ed evacuazione e dispongono di una ricca agenzia federale, l’Ente federale per la gestione delle emergenze (Fema), che spende miliardi di dollari per salvare vite e ricostruire città distrutte.

Ma la programmazione è spesso caotica, con le case inondate ripetutamente ricostruite negli stessi luoghi nonostante i rischi idrogeologici posti dalla crisi climatica. La cementificazione degli spazi verdi di Houston ha sottratto fondamentali spugne di assorbimento per le acque prodotte dall’uragano Harvey, che si sono poi riversate sulle case. Nel frattempo i cuscinetti naturali per gli uragani, come la mangrovia e le barriere coralline, diminuiscono in tutto il mondo a causa dello sviluppo edilizio sulle coste, dell’inquinamento e del riscaldamento delle acque.

Aumentano anche le persone a rischio. Nel sudest degli Stati Uniti, per esempio, la popolazione costiera è cresciuta di oltre il 50 per cento tra 1980 e 2003. Le norme di ostacolo ai cambiamenti climatici sono state abolite dall’amministrazione di Donald Trump, facilitando così la costruzione d’infrastrutture ingombranti in aree costiere a rischio.

“Le città della costa non sono attualmente preparate ai cambiamenti che si stanno già verificando e che continueranno a verificarsi”, spiega Collins. “Sappiamo che ci sono aree soggette alle inondazioni e dove non si deve ricostruire; bisogna farlo su terreni più in alto. Chi nega le prove scientifiche e privilegia un pensiero magico e altre false credenze non farà che lasciare un mondo più instabile e pericoloso alle prossime generazioni”.

La situazione è peggiore per i paesi caraibici più poveri, che dovranno sempre più spesso affidarsi agli aiuti internazionali nella loro lotta a uragani più forti e all’aumento dei livelli degli oceani.

L’uragano Maria ha devastato l’isola di Dominica, lasciando intatto appena il 5 per cento degli edifici del paese. Il suo primo ministro, Roosevelt Skerrit, che ha perso la sua casa nella tempesta, ha poi dichiarato all’Onu di essere venuto “direttamente dalla prima linea della guerra ai cambiamenti climatici. Non siamo stati noi, in quanto paese e regione, ad avviare questa guerra contro la natura”, ha detto Skerrit, visibilmente scosso. “Non l’abbiamo provocata noi. È la guerra che è venuta a noi”.

Cosa succederà nel breve periodo?

I ricercatori hanno studiato attentamente le temperature degli oceani e altri dati per cercare di capire cosa ci riserverà la stagione degli uragani 2019, che comincerà il 1 giugno.

I meteorologi della Colorado state university hanno predetto che la stagione atlantica sarà leggermente meno violenta della media, con 13 tempeste dotate di nome, cinque delle quali diventeranno uragani. Queste previsioni si basano sulla relativa dolcezza di El Niño, un evento climatico naturale che periodicamente riscalda l’oceano Pacifico, un processo che tende a inibire lo sviluppo degli uragani atlantici.

Il margine d’incertezza di queste prime previsioni è ancora molto alto. “Le prime stime non possono che essere abbozzate”, spiega Kossin. “In generale sembra che sarà in linea con la media. Ma bisogna vedere cosa succederà”.

Da leggere, in inglese e in italiano

Jewell Parker Rhodes, Ninth ward.
Rick Thomas, Eye of the storm: a book about hurricanes.
Stephen Long, Thirty-eight: the hurricane that transformed New England.
Joseph Conrad, Tifone.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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