25 marzo 2022 12:21

Questo articolo è stato pubblicato il 13 dicembre 2019 sul numero 1337 di Internazionale.

Il 6 marzo 2018 la grande sala da ballo dello Sphinx club di Washington era piena di dirigenti dell’industria aerospaziale che aspettavano di ascoltare Michael D. Griffin. Qualche settimana prima James Mattis, allora segretario alla difesa degli Stati Uniti, aveva nominato Griffin, 69 anni, sottosegretario del Pentagono per la ricerca e l’ingegneria, una carica che comporta la gestione di un bilancio annuale di 17 miliardi di dollari. I partecipanti alla McAleese/Credit Suisse defense programs conference, tutti in abito scuro, erano impazienti di sapere che orientamento avrebbe dato al lavoro.

Il pubblico conosceva già Griffin, un sostenitore dichiarato della supremazia militare e politica statunitense che si vanta di essere stato definito “un combattente della guerra fredda all’antica”. Con cinque master e un dottorato in ingegneria aerospaziale, è stato direttore del dipartimento di tecnologia per l’Iniziativa di difesa strategica del presidente Ronald Reagan (nota come “scudo spaziale” o “guerre stellari”), che avrebbe dovuto proteggere gli Stati Uniti da un eventuale attacco russo attraverso il polo nord. In seguito ha scritto un libro sulla progettazione di veicoli spaziali, guidato un incubatore tecnologico finanziato dalla Cia, diretto la Nasa per quattro anni e lavorato come alto dirigente in diverse aziende aerospaziali.

Prima della sua nomina Griffin era considerato un ottimista sulle potenzialità della scienza che invocava sistematicamente “innovazioni dirompenti” e apprezzava la rapidità più di ogni altra cosa. Si era più volte lamentato della snervante burocrazia del Pentagono, che considerava troppo conservatore. “Questo è un paese che ha prodotto la bomba atomica tra le difficoltà della guerra in tre anni dal giorno in cui ha deciso di farlo”, ha dichiarato a una commissione del congresso nel 2018. “Questo è un paese che può fare tutto ciò che la fisica permetta di fare. Dobbiamo solo metterci al lavoro”.

Negli ultimi decenni i predecessori di Griffin hanno dato la priorità ad ampie ricerche su argomenti come l’interazione uomo-macchina, le comunicazioni spaziali e la guerra sottomarina. Ma alla conferenza Griffin ha annunciato un grande cambiamento che avrebbe avuto significative conseguenze finanziarie per i dirigenti presenti: “Mi dispiace per tutti quelli che sostengono altre cose importanti. Non è che sia in disaccordo con loro”, ha detto alla sala. “Ma dev’esserci una priorità, e le armi ipersoniche sono la mia priorità”.

Griffin si riferiva a un nuovo tipo di armi, che avrebbero una capacità di manovra senza precedenti e riuscirebbero a colpire quasi qualunque obiettivo al mondo nel giro di pochi minuti. Viaggiando a una velocità fino a 15 volte superiore a quella del suono, i missili ipersonici arrivano sul bersaglio con un lampo accecante e distruttivo, prima di qualunque boato sonico o altra forma di preavviso. Per il momento non esistono difese sicure. Veloci, efficaci, precisi e inarrestabili: sono caratteristiche rare ma altamente desiderabili su un campo di battaglia moderno. E questi missili attualmente sono in fase di sviluppo non solo negli Stati Uniti ma anche in Cina, in Russia e in altri paesi.

Griffin oggi è il principale profeta delle armi ipersoniche a Washington, e finora ha incontrato pochi ostacoli politici o finanziari. Il parlamento statunitense ha approvato un consistente aumento delle spese federali per accelerare lo sviluppo di quella che è considerata “una tecnologia rivoluzionaria”, una frase ripetuta spesso nel dibattito sulle armi ipersoniche. L’America deve agire rapidamente, dice James Inhofe, senatore repubblicano ed ex presidente della commissione sulle forze armate, altrimenti potrebbe restare indietro rispetto alla Russia e alla Cina. I democratici alla camera e al senato sono in larga misura d’accordo, anche se hanno fatto pressioni sul Pentagono per avere maggiori informazioni.

Nel 2018 il congresso ha espresso il suo consenso con una legge in cui si richiede che un’arma ipersonica statunitense sia operativa entro l’ottobre del 2022. Il bilancio della difesa proposto quest’anno dall’amministrazione Trump assegna 2,6 miliardi di dollari allo sviluppo delle armi ipersoniche, e gli esperti dell’industria militare prevedono che il bilancio annuale raggiungerà i cinque miliardi entro la metà del prossimo decennio. L’obiettivo immediato è creare due sistemi schierabili entro tre anni.

L’entusiasmo si è diffuso tra le aziende militari, soprattutto dopo che nel 2018 il Pentagono ha concesso alla più importante di loro, la Lockheed Martin, più di 1,4 miliardi di dollari per costruire prototipi di missili che possano essere lanciati da aerei da combattimento e bombardieri B-52. Questi programmi erano solo l’inizio di quello che l’ex segretario alla difesa ad interim, Patrick M. Shanahan, a dicembre del 2018 ha definito l’obiettivo dell’amministrazione Trump: “industrializzare” la produzione di missili ipersonici. Alcuni mesi dopo, Griffin e Shanahan hanno creato la Space development agency, con circa 225 dipendenti, incaricata di creare una rete di sensori nell’orbita terrestre bassa per individuare i missili ipersonici in arrivo e guidare gli attacchi ipersonici statunitensi. La rete non servirà solo a questo, ma sarà “in grado di combattere una guerra, se si dovesse arrivare a tanto”, ha detto Griffin a marzo. Lo sviluppo delle armi ipersoniche sta procedendo così in fretta che rischia di non lasciare tempo per una vera discussione sui potenziali pericoli di queste armi, tra cui quello di mandare a monte gli sforzi per evitare un conflitto accidentale, soprattutto durante le crisi. Attualmente non esistono accordi internazionali su come e quando possono essere usati i missili ipersonici, e nessun paese ha in programma di avviare una trattativa in questo senso. La gara per dotarsi di armi incredibilmente veloci ha spinto gli Stati Uniti in una nuova corsa agli armamenti con la Russia e la Cina, che secondo alcuni esperti potrebbe sconvolgere le regole della deterrenza e rinnovare le tensioni della guerra fredda.

Primo colpo
Anche se i missili ipersonici teoricamente possono trasportare testate nucleari, quelli sviluppati dagli Stati Uniti saranno armati di piccole testate convenzionali. Con una lunghezza che va da meno di due metri a poco più di tre e un peso di circa 230 chili, rivestiti di materiali come compositi di ceramica e fibra di carbonio o superleghe di nichel e cromo, i missili funzionano come trapani quasi invisibili che sfondano i loro bersagli, con effetti catastrofici. Una volta lanciati – da terra, da un aereo o da un sottomarino – sono attirati dalla gravità oppure spinti da motori avanzatissimi. L’energia cinetica dei missili al momento dell’impatto li rende talmente potenti da penetrare qualunque materiale da costruzione o rivestimento blindato con una forza pari a tre o quattro tonnellate di tritolo.

In teoria potrebbero distruggere i missili balistici nucleari russi trasportati da autocarri o treni. Oppure i cinesi potrebbero usarli per colpire i bombardieri e gli altri aerei statunitensi nelle loro basi in Giappone o a Guam. Potrebbero attaccare importantissimi radar terrestri o marittimi in qualunque luogo, oppure i comandi militari nei porti asiatici e nei pressi delle città europee. Queste armi potrebbero persino squarciare i ponti di acciaio di una delle undici portaerei statunitensi mettendola fuori uso, una vulnerabilità che rischia di rendere obsoleti i colossi navali. I missili ipersonici sono ideali anche per un attacco al vertice, come l’eliminazione delle più alte autorità politiche o militari di uno stato. “Possono uccidere un leader in un istante”, ha detto un ex funzionario dell’amministrazione Obama che ha chiesto di restare anonimo.

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Nell’arco del prossimo decennio, le nuove armi potrebbero svolgere il compito che per anni era stato affidato agli ordigni nucleari: sferrare il primo colpo contro il governo di un altro paese o i suoi arsenali, interrompendo le linee di comunicazione essenziali e mettendo fuori gioco parte delle sue forze di ritorsione, il tutto senza la ricaduta radioattiva e l’indignazione che accompagnerebbero l’uso di testate nucleari. Per questo motivo un rapporto delle Accademie nazionali di scienze, ingegneria e medicina statunitensi nel 2016 diceva che le armi ipersoniche non sono “semplicemente una minaccia evolutiva” per gli Stati Uniti, ma nelle mani di nemici potrebbero “mettere in dubbio i princìpi statunitensi di vigilanza, intervento e potenza globale”.

L’introduzione di armamenti così veloci ridurrà pericolosamente il tempo a disposizione di militari e leader politici – in qualunque paese – per capire la natura di un attacco e prendere decisioni ragionate sull’opportunità e la portata di misure difensive o di un’eventuale ritorsione. Eliminando la capacità di reagire, creano quella che gli studiosi chiamano una situazioneuse it or lose it (usala o perdila), accrescendo il pericolo che, durante una crisi, un paese sia tentato di sferrare il primo colpo. Gli esperti dicono che i missili potrebbero sovvertire la macabra psicologia della distruzione reciproca assicurata, la dottrina militare alla base dell’era atomica, secondo cui i conflitti globali sarebbero stati scoraggiati se i potenziali aggressori fossero sempre stati certi di subire la devastante risposta dei loro avversari.

Eppure i governi sembrano ignorare questi rischi. A differenza di quanto è successo con le altre grandi innovazioni nella tecnologia militare – come lo sviluppo delle armi chimiche e biologiche e dei missili balistici con testate nucleari multiple – che scatenarono discussioni internazionali e alla fine furono controllate attraverso negoziati tra le superpotenze, le autorità di Washington, Mosca e Pechino non hanno valutato seriamente alcun accordo per limitare lo sviluppo o lo schieramento della tecnologia ipersonica. Negli Stati Uniti l’ufficio per il controllo degli armamenti del dipartimento di stato ha un reparto che si occupa delle nuove sfide alla sicurezza, ma i missili ipersonici non sono tra le sue principali preoccupazioni. I vice del segretario di stato Mike Pompeo dicono di volere soprattutto rafforzare l’arsenale militare statunitense, una posizione insolita per un dipartimento incaricato di trovare soluzioni diplomatiche ai problemi globali.

Questa posizione preoccupa gli esperti di controllo degli armamenti come Thomas M. Countryman, ex assistente del segretario di stato nell’amministrazione Obama. “Non è la prima volta che una nuova tecnologia viene sviluppata e messa in campo prima che la politica possa farci qualcosa”, dice Countryman, che oggi presiede l’Arms control association. Cita esempi di altre “tecnologie destabilizzanti” emerse negli anni sessanta e settanta, quando furono spesi miliardi di dollari in armi chimiche e nucleari senza che si parlasse di come minimizzare i nuovi pericoli. Countryman vuole che siano posti dei limiti al numero di missili ipersonici che un paese può costruire o al tipo di testate che questi missili possono trasportare. Non è il solo a temere che la mancata regolamentazione a livello internazionale possa avere conseguenze irreversibili.

“È possibile”, affermava a febbraio un rapporto dell’ufficio delle Nazioni Unite per gli affari del disarmo, che “in risposta allo schieramento di armi ipersoniche” le nazioni che temono la distruzione della loro capacità di ritorsione possano decidere di usare le armi nucleari in un più ampio ventaglio di situazioni o anche solo mettere sistematicamente “le loro forze nucleari a livelli di allerta più elevati”. Il rapporto avvertiva che queste possibilità non sono ancora state prese in considerazione.

E allora perché i rischi di questa rivoluzione non hanno attirato più attenzione? Una ragione è che per anni le grandi potenze si sono preoccupate soprattutto degli indicatori numerici di potere – chi aveva più testate nucleari, bombardieri, missili – e i negoziati si sono concentrati soprattutto su questi dati. Solo raramente la discussione si è allargata alla questione della stabilità strategica, un argomento che comprende i rischi di guerra accidentale provocati da certi armamenti.

Il tubo di Von Braun
Daniel Marren, ingegnere aerospaziale per le forze armate statunitensi da più di trent’anni, dirige una delle gallerie del vento più veloci del mondo, e grazie alla ricerca ipersonica il suo laboratorio è molto richiesto. Ma per trovarlo ci vuole tempo. Quando sono arrivato al centro sperimentale dell’aeronautica a White Oak, nel Maryland, le guardie private si sono limitate a indicare con un gesto vago alcuni edifici risalenti alle seconda guerra mondiale in fondo alla strada. La bassa struttura che ospita la galleria di Marren potrebbe essere scambiata per una vecchia scuola elementare, se non fosse per una sfera argentata alta sette piani che sporge dal lato est come un’attrazione di un’esposizione mondiale. La galleria, lunga una decina di metri e larga meno di due, somiglia a una conduttura idraulica che si restringe a un’estremità prima di sfociare nella sfera d’argento. Una colonna di costosi sensori s’innesta nella conduttura nel punto in cui è stata ricavata una spessa finestra.

A sinistra: Daniel Marren, direttore del centro sperimentale di White Oak. A destra: la galleria del vento del centro sperimentale di White Oak. (Dan Winters)

Marren, 55 anni, sembrava elettrizzato e al tempo stesso infastidito dal crescente ritmo di lavoro del suo laboratorio negli ultimi mesi. Mi ha parlato con precisione ma anche con entusiasmo della sua attività, e mi ha mostrato una struttura di mattoni rossi con alcune finestre rotte. Fu costruita per ospitare la prima delle nove gallerie del vento che hanno funzionato in questo sito. La galleria era stata scrupolosamente recuperata nel 1948 a Peenemünde, il paesino sulla costa tedesca dove Wernher von Braun aveva sviluppato il razzo V2 usato per uccidere migliaia di londinesi durante la seconda guerra mondiale. I ricercatori militari statunitensi non riuscivano a capire come rimontarla e farla funzionare, perciò reclutarono alcuni scienziati tedeschi.

Mentre entravamo nella sala di controllo dell’edificio che ospita la galleria attuale, Marren ha accennato al fatto che il tetto è stato appositamente concepito per saltare in aria facilmente se qualcosa andasse esplosivamente storto. Tutti i detriti andrebbero verso il cielo, e gli ingegneri, gli analisti e i generali dell’aeronautica che monitorano i test potrebbero sopravvivere dietro le pareti di cemento rinforzato della sala di controllo.

All’interno della sala principale Marren mi ha spiegato che durante i test la galleria viene prima fatta scorrere al suo posto con un carrello su binari di acciaio. Poi sotto il tunnel si accende un’enorme stufa elettrica che riscalda l’aria portandola a più di 1.600 gradi, una temperatura sufficiente a sciogliere l’acciaio. L’aria viene poi spinta da una pressione mille volte superiore al normale a un’estremità della galleria e risucchiata all’altra estremità da un vuoto creato appositamente nell’enorme sfera.

Questo fa sì che l’aria si riversi con un boato lungo la galleria a una velocità fino a 18 volte quella del suono: così veloce da poter attraversare più di trenta campi di calcio in un batter d’occhio. Durante un test in mezzo alla galleria c’è un modello in scala del prototipo ipersonico, fissato a un’asta in grado di cambiare angolo in una frazione di secondo: invece di testare i missili facendoli volare all’aperto, la galleria fa volare l’aria che li circonda alla stessa incredibile velocità.

Uno dei prototipi statunitensi dovrebbe volare a più di 18.300 chilometri orari

Durante i test i modelli sono rivestiti con una vernice che quando si riscalda assorbe la luce laser ultravioletta, rivelando sulla fusoliera di ceramica i punti dove il calore da attrito può minacciare la struttura del missile. Gli ingegneri dovranno poi rettificare i progetti in modo che il missile resista al calore o lo devii da qualche altra parte. L’obiettivo, spiega Marren, è capire cosa succederà quando i missili attraverseranno la densa atmosfera terrestre per raggiungere il bersaglio.

Simulare la tensione che questi missili dovrebbero sopportare mentre sfrecciano a trenta volte la velocità di un aereo di linea, parecchi chilometri sopra le nuvole, è un lavoro impegnativo. Mentre colpiscono con forza l’aria e cercano di liberarsi di tutto quell’intenso calore, la loro fusoliera lucida e sintetica si espande e si deforma emettendo un plasma simile al gas ionizzato prodotto dalle stelle. I test sono rapidissimi, durano al massimo 15 secondi, e per questo i sensori devono registrare i dati in qualche millesimo di nanosecondo. È il meglio che si possa fare con un impianto di questo tipo, sostiene Marren, e in parte spiega le difficoltà incontrate dai ricercatori della difesa nel produrre missili ipersonici, nonostante i circa due miliardi di dollari investiti dal governo federale fino al 2018.

Eppure Marren, che lavora alla galleria dal 1984, è ottimista sulla possibilità di realizzare un missile funzionante. Lui e la sua squadra lavorano a pieno ritmo, e hanno già in programma centinaia di test per misurare la capacità dei vari prototipi di resistere al terribile attrito e al calore di un volo così veloce. “Siamo già pronti per quel momento ed è fantastico guardare avanti”, dice Marren. Più veloce potranno andare questi sistemi meglio sarà, aggiunge.

Falso allarme alle Hawaii
Nel 2018 gli Stati Uniti hanno avuto un promemoria del terrore della guerra fredda, quando un dipendente pubblico delle Hawaii ha lanciato per errore un messaggio d’allarme che avvertiva di un imminente attacco missilistico. Il messaggio non specificava di che tipo di missile si trattava, ma gli abitanti delle Hawaii non si sono sentiti protetti e sono stati presi dal panico. Hanno reagito intasando le strade di macchine, spingendo i figli nei tombini per metterli al sicuro e telefonando ai loro cari per dirgli addio, finché un secondo messaggio, 38 minuti dopo, ha ammesso che era stato un errore.

Secondo chi li ha studiati e ci ha lavorato, i missili ipersonici costituiscono una minaccia diversa da quelli balistici, perché potrebbero essere manovrati in modo da confondere i metodi di difesa e rilevamento esistenti. Senza contare il fatto che, a differenza della maggior parte dei missili balistici, arriverebbero in meno di 15 minuti, troppo presto perché chiunque, alle Hawaii o altrove, possa reagire in modo efficace.

Ma quanto sono veloci in concreto? Un oggetto che si muove nell’aria produce un’onda d’urto percepibile dall’orecchio umano, un boato sonico, quando raggiunge una velocità di circa 1.200 chilometri orari. Questa velocità è chiamata anche Mach 1, dal nome del fisico austriaco Ernst Mach. Quando un proiettile vola più rapidamente di così viaggia a velocità supersonica, cioè superiore a quella del suono. Mach 2 è il doppio della velocità del suono, Mach 3 il triplo e così via. Quando un proiettile raggiunge una velocità superiore a Mach 5 si dice che viaggia a velocità ipersonica. Uno dei due principali prototipi ipersonici in fase di sviluppo negli Stati Uniti dovrebbe volare a una velocità compresa tra Mach 15 e Mach 20, cioè più di 18.300 chilometri orari. Questo significa che se fossero lanciati da un sottomarino o da un bombardiere di stanza sull’isola di Guam, nell’Oceano pacifico, in teoria potrebbero colpire basi missilistiche in territorio cinese, come quella di Delingha, in meno di 15 minuti. Il presidente russo Vladimir Putin ha sostenuto che uno dei nuovi missili ipersonici russi viaggerà a Mach 10 e l’altro a Mach 20. Se fosse vero, significherebbe che se fossero lanciati da un aereo o da una nave nelle vicinanze delle isole Bermuda, nell’Oceano atlantico potrebbero colpire il Pentagono, a circa 1.300 chilometri di distanza, in cinque minuti. La Cina, intanto, ha testato i suoi missili ipersonici a velocità tali da raggiungere Guam dal litorale cinese nel giro di pochi minuti.

Un’idea allo studio della Defense advanced research project agency (Darpa), un’agenzia militare statunitense, prevede di lanciare da un aereo un missile convenzionale che ancora prima di raggiungere l’apice della sua traiettoria sgancia a sua volta un piccolo velivolo ipersonico senza motore. Il velivolo poi planerebbe verso il bersaglio. Il proiettile mortale scenderebbe con il muso inclinato verso l’alto, rimbalzando sui vari strati dell’atmosfera – la mesosfera, poi la stratosfera e la troposfera – come una pietra piatta sull’acqua, con saltelli sempre più piccoli e bassi, oppure potrebbe essere guidato in modo da passare senza problemi attraverso questi strati. In entrambi i casi, l’attrito dell’atmosfera inferiore finirebbe con il rallentarlo abbastanza da consentire di manovrarlo con precisione verso il bersaglio. L’arma, nota come Tactical boost glide, dovrebbe essere testata nel 2020.

Un metodo alternativo prevede che il missile ipersonico voli per lo più in orizzontale spinto da uno scramjet, un motore senza turbina che usa le onde d’urto create dalla sua velocità per comprimere l’aria in un breve imbuto e bruciarla mentre passa. Con la fusoliera riscaldata dall’attrito fino a tremila gradi, le pareti del motore eviterebbero di bruciare perché sarebbero attraversate dal combustibile, un’idea avanzata per la prima volta dai progettisti tedeschi del razzo V2. Con le loro traiettorie insolite, questi missili potrebbero avvicinarsi al bersaglio a un’altitudine tra i 20 e gli 80 chilometri, inferiore all’altezza per cui sono stati progettati gli intercettori di missili balistici – come i costosi sistemi Aegis e Thaad – ma superiore all’altezza che può essere raggiunta dai sistemi antimissile più semplici, come i missili Patriot.

Le autorità avrebbero problemi perfino a capire dove un attacco potrebbe colpire. Anche se il lancio dei missili sarebbe probabilmente registrato dai satelliti a sensori infrarossi nei primi momenti di volo, secondo Griffin queste armi sarebbero da dieci a venti volte più difficili da individuare rispetto ai missili balistici quando si avvicinano al bersaglio. Continuerebbero a sfrecciare nella zona morta delle difese manovrando in modo imprevedibile, poi, nell’ultima manciata di secondi, scenderebbero in picchiata per colpire un bersaglio come una portaerei da un’altezza superiore a 30mila metri. Durante il volo, la loro potenziale zona di atterraggio potrebbe essere vasta migliaia di chilometri quadrati. Le autorità potrebbero lanciare un allarme generico, ma non avrebbero la più pallida idea della precisa destinazione dei missili. “Non abbiamo nessun sistema in grado d’impedire che un’arma di questo tipo sia usata contro di noi”, ha detto nel marzo del 2018 il generale John E. Hyten, ex capo del comando strategico degli Stati Uniti, parlando alla commissione del senato sulle forze armate. Il Pentagono sta studiando solo ora come potrebbe essere un attacco ipersonico e come creare un sistema difensivo. Non ha ancora un quadro di riferimento e nessuna stima realistica dei costi.

Sviluppare queste nuove armi non è stato facile. Nel 2012 un test fallì perché il rivestimento di un prototipo si staccò, e un altro si autodistrusse dopo aver perso il controllo. Un terzo veicolo ipersonico sperimentale fu distrutto nel 2014 per un problema al missile vettore. Alla Darpa ammettono di avere ancora grossi problemi con la ceramica composita che deve proteggere l’apparecchiatura elettronica dei missili dall’intenso calore. A luglio del 2018 scorso il Pentagono ha deciso di aggiungere altri 34,5 milioni di dollari agli investimenti.

Anche condurre test di volo realistici è impegnativo. Negli Stati Uniti il principale sito terrestre per voli di prototipi all’aperto – uno spazio di 8.300 chilometri quadrati nel New Mexico – non è abbastanza grande per le armi ipersoniche. Il Pentagono sta cercando di creare nuovi corridoi sperimentali nello Utah, che richiederanno un apposito accordo regionale sul rumore dei boati sonici. Gli scienziati non sanno ancora come raccogliere tutti i dati di cui hanno bisogno, a causa della velocità dei voli. Un test all’aperto può costare fino a cento milioni di dollari.

Il più recente di questi test all’aperto è stato condotto dall’esercito e dalla marina statunitensi nell’ottobre del 2017, usando un missile da 18 tonnellate per lanciare un velivolo senza motore dall’isola di Kauai, nelle Hawaii, verso l’atollo di Kwajalein, 3.700 chilometri a sudovest. Alle ore 21.00 il volo ha creato un boato sonico sopra il Pacifico che si calcola abbia raggiunto i 175 decibel, molto al di sopra della soglia che provoca dolore fisico. Il test è costato 160 milioni di dollari, vale a dire il 6 per cento del bilancio totale per le armi ipersoniche proposto per il 2020.

Il pugnale di Putin
Nel marzo del 2018 il presidente russo Vladimir Putin, nel primo di una serie di discorsi destinati a risvegliare le ansie statunitensi per una minaccia missilistica straniera, ha affermato che Mosca possiede due armi ipersoniche operative: il Kinžal (pugnale), un missile che si lancia da un aereo capace di colpire bersagli fino a 1.900 chilometri di distanza, e l’Avangard, concepito per essere trasportato dal nuovo missile balistico intercontinentale Sarmat prima di scendere verso il bersaglio. I mezzi d’informazione russi hanno sostenuto che le testate nucleari per queste armi sono già in produzione e che lo stesso missile Sarmat è stato sottoposto a un test di volo di circa 4.800 chilometri sulla Siberia. La Russia ha anche dichiarato che sta lavorando a un terzo sistema missilistico ipersonico per i sottomarini. Gli esperti statunitensi non credono a tutte le affermazioni di Putin. “I loro risultati sono simili ai nostri”, ha detto un ingegnere che lavora al programma statunitense. “Hanno avuto pochi successi nei test di volo”. Ma i funzionari del Pentagono sono convinti che le armi di Mosca presto saranno una minaccia reale.

A detta degli esperti, i cinesi sono ancora più avanti dei russi, anche perché Pechino sta sviluppando missili dalla portata più ridotta che non devono sopportare le alte temperature altrettanto a lungo. Molti dei loro test sono stati condotti con velivoli plananti. Nell’agosto del 2018 un’azienda coinvolta nel programma spaziale cinese ha sostenuto di aver testato con successo un missile ipersonico planante per poco più di sei minuti. Il missile avrebbe raggiunto una velocità superiore a Mach 5 prima di atterrare nell’area prestabilita. Altri test di missili ipersonici cinesi hanno raggiunto velocità quasi doppie.

E non sono solo la Russia, la Cina e gli Stati Uniti a essere interessati a questi trapani superveloci. Francia e India hanno programmi per lo sviluppo di armi ipersoniche, e secondo un rapporto preparato nel 2017 dalla Rand, un’istituto di ricerca indipendente, entrambi i paesi lavorano in collaborazione con la Russia. Australia, Giappone e Unione europea stanno conducendo ricerche militari o civili sui velivoli ipersonici, diceva il rapporto, anche perché sono ancora attratti dalla prospettiva di costruire aerei velocissimi in grado di trasportare passeggeri dall’altra parte del mondo in poche ore. Ma nell’immediato il Giappone punta a sviluppare un’arma che sia pronta per essere testata entro il 2025.

Vedere e rilanciare
Non è la prima volta che gli Stati Uniti o altri paesi ignorano i rischi per correre verso una nuova soluzione apparentemente magica a una minaccia o a uno svantaggio militare. Durante la guerra fredda, statunitensi e sovietici ingaggiarono una competizione feroce per minacciare le risorse vitali della controparte con bombardieri che attraversavano gli oceani in poche ore e missili balistici capaci di raggiungere il bersaglio in trenta minuti. Accumularono più di 31mila testate ciascuno (anche se sarebbe bastato farne esplodere un centinaio per innescare una grave carestia mondiale ed eliminare gran parte delle barriere contro le radiazioni ultraviolette). Alla fine la febbre passò, anche a causa della dissoluzione dell’Unione Sovietica, e i due paesi negoziarono una riduzione dei loro arsenali a circa 6.500 testate ciascuno.

Da allora, sono ricominciati cicli di intensa corsa agli armamenti ogni volta che una parte si è sentita in forte svantaggio o ha individuato una potenziale via d’uscita da quella che il politologo Robert Jervis una volta ha chiamato “la realtà schiacciante” della distruzione nucleare, una condizione di cui siamo involontariamente ostaggio da settant’anni.

L’amministrazione Trump, in particolare, si è opposta alle politiche che sostengono la distruzione reciproca assicurata, cioè l’idea che il rischio comune possa portare alla stabilità e alla pace. Nel 2002 l’ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton è stato uno dei maggiori architetti del ritiro di Washington dal trattato sui missili antibalistici con la Russia, che limitava la capacità di entrambi i paesi di cercare di bloccare i missili balistici. Bolton sosteneva che liberare gli Stati Uniti da quelle restrizioni avrebbe aumentato la sicurezza del paese, e se il resto del mondo fosse rimasto fermo forse la previsione avrebbe potuto avverarsi. Ma la Russia ha avviato il suo programma sulle armi ipersoniche per poter aggirare qualunque difesa statunitense contro i missili balistici. “Nessuno ha voluto ascoltarci” sui pericoli strategici di un abbandono del trattato, ha detto Putin con aggressiva teatralità mentre mostrava video e animazioni sui missili ipersonici russi. “Perciò ascoltateci ora”.

La storia dimostra che fermare una corsa agli armamenti è più difficile che scatenarla

Ma a Mosca e a Washington sembra che nessuno abbia molta voglia di ascoltare. A gennaio l’amministrazione Trump ha reso pubblica una strategia di difesa antimissile aggiornata che punta a limitare la vulnerabilità reciproca eliminando i missili offensivi del nemico “prima del lancio.” L’amministrazione continua inoltre a rifiutare nuovi limiti ai propri missili, sostenendo che gli accordi del passato hanno spinto gli Stati Uniti in una pericolosa “vacanza” post-guerra fredda, come l’ha definita un alto funzionario del dipartimento di stato. Nella sua mancanza d’interesse per una regolamentazione sulle armi ipersoniche, l’attuale amministrazione non è così diversa da quella che l’ha preceduta. Intorno al 2010 Barack Obama in privato “mise in chiaro che voleva soluzioni migliori per fermare i missili nordcoreani”, afferma un ex alto consigliere, e alcuni funzionari statunitensi dissero che le armi ipersoniche potevano essere adatte allo scopo. Più o meno nello stesso periodo, l’accordo sulla riduzione degli armamenti nucleari con la Russia escludeva deliberatamente qualunque restrizione alle armi ipersoniche. Poi, tre anni fa, un gruppo di New York, il Lawyers committee on nuclear policy, d’intesa con altre organizzazioni non profit che lavorano per il disarmo, ha invitato Obama a rinunciare a una competizione ipersonica e al prevedibile costo per i bilanci federali tentando una nuova moratoria congiunta sui test insieme a Russia e Cina. L’idea non è mai stata accolta.

L’inerzia dell’amministrazione Obama ha contribuito ad aprire le porte alla competizione ipersonica del ventunesimo secolo, in cui oggi sono coinvolti gli Stati Uniti. “Facciamo sempre queste cose in isolamento, senza pensare a cosa significa per le grandi potenze – per la Russia e la Cina – che sono terribilmente paranoiche” sulla possibilità di un potenziale e rapido attacco preventivo statunitense, dice il consigliere, rammaricandosi per com’è stata gestita la questione durante la presidenza di Obama.

Anche se forse non è troppo tardi per cambiare rotta, la storia dimostra che fermare una corsa agli armamenti è molto più difficile che scatenarla. E al momento Washington è ancora concentrata soprattutto sul “mandare un’arma a bersaglio”, come ha detto un funzionario del congresso, piuttosto che sulla possibile reazione dell’avversario. Griffin prevede addirittura che gli Stati Uniti possano uscire vincitori da questa corsa: nell’aprile del 2018 ha detto che la migliore risposta ai programmi ipersonici russi e cinesi è “minacciare le loro risorse strategiche con sistemi simili ai loro, ma migliori”. Ripetendo il mantra degli scienziati militari di ogni tempo, Griffin ha aggiunto che gli Stati Uniti devono “vedere il gioco degli avversari e rilanciare”. Il mondo scoprirà presto cosa può succedere ora che le superpotenze militari hanno deciso di giocarsi tutto.

(Traduzione di Giuseppina Cavallo)

Questo articolo è stato pubblicato il 13 dicembre 2019 sul numero 1337 di Internazionale. Era uscito sul New York Times con il titolo Hypersonic missiles are unstoppable. and they’re starting a new global arms race.

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