28 maggio 2021 13:30

Questo articolo è stato pubblicato il 20 ottobre 2017 sul numero 1227 di Internazionale.

Matthew Walker è terrorizzato dalla domanda: “Lei che lavoro fa?”. Se glielo chiedono a una festa, per lui la serata è finita: da quel momento in poi, la persona appena conosciuta gli resterà aggrappata come l’edera. Se succede durante un volo, di solito significa che gli toccherà fare salotto con passeggeri e personale di bordo mentre tutti gli altri guardano un film o leggono un libro. “Ho cominciato a mentire”, dice Walker. “Di solito rispondo che sono un addestratore di delfini. È meglio per tutti”.

Walker è uno scienziato del sonno. Per essere precisi, è il direttore del Center for human sleep science dell’Università della California a Berkeley, un istituto di ricerca che ha l’obiettivo – forse irraggiungibile – di capire come il sonno ci condiziona, dalla nascita alla morte, in salute e in malattia. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se tutti gli chiedono consigli. Visto che la linea di separazione tra lavoro e tempo libero sta diventando sempre più confusa, ormai sono poche le persone che non si preoccupano di quanto e come dormono. Quando guardiamo le nostre occhiaie, ci rendiamo conto di sapere ben poco sull’argomento, e forse questo è il vero motivo per cui Walker ha smesso di dire a tutti di cosa si occupa. Se parla del sonno non può, in tutta coscienza, limitarsi a consigliare cose banali come infusi di camomilla e bagni caldi. È convinto che siamo nel bel mezzo di “una catastrofica epidemia di privazione del sonno”, le cui conseguenze sono più gravi di quanto si possa immaginare. E pensa che la situazione possa cambiare solo se i governi decidono d’intervenire.

Walker ha passato gli ultimi quattro anni e mezzo a scrivere Why we sleep (Perché dormiamo), un libro complesso ma fondamentale che esamina da vicino gli effetti di questa epidemia. Lo studio parte dal presupposto che, quando le persone scopriranno il profondo legame tra mancanza di sonno e, tra le altre cose, malattie come l’alzheimer, il cancro, il diabete, l’obesità e la demenza, faranno degli sforzi per dormire le otto ore per notte consigliate dall’Organizzazione mondiale della sanità (anche se persone come Donald Trump possono trovarlo assurdo, si può parlare di privazione del sonno già al di sotto delle sette ore).

Presi in giro
Alla fine, però, a livello individuale non si può fare più di tanto. Walker vorrebbe che anche le istituzioni e i legislatori si facessero carico del problema. “La privazione del sonno tocca ogni aspetto della nostra biologia”, dice. “Influisce su tutto. E nessuno sta facendo niente. Le cose devono cambiare, nei luoghi di lavoro e nelle comunità, nelle case e nelle famiglie. Avete mai visto un manifesto del ministero della salute che invita le persone a dormire di più? Avete mai incontrato un medico che prescrive non un sonnifero ma il sonno in sé? Dovrebbe essere messo al primo posto, e addirittura incentivato. La perdita di sonno costa all’economia britannica trenta miliardi di sterline all’anno (35 miliardi di euro) di mancate entrate, il 2 per cento del pil. Se si approvassero politiche che impongono alle persone di dormire o le incoraggiano seriamente a farlo, il bilancio del servizio sanitario nazionale raddoppierebbe”.

Qual è la ragione di questa privazione del sonno? Cosa è successo negli ultimi 75 anni? Nel 1942 meno dell’8 per cento della popolazione affrontava la giornata con al massimo sei ore di sonno. Nel 2017 lo fa una persona su due. I motivi di questo cambiamento sono ovvi. “Prima di tutto, abbiamo elettrificato la notte”, dice Walker. “La luce danneggia profondamente il nostro sonno. Poi c’è la questione del lavoro: il confine tra quando si comincia e quando si finisce è diventato più vago, e a questo si aggiunge il fatto che ci vuole sempre più tempo per spostarsi. Nessuno vuole togliere tempo alla famiglia o al divertimento, quindi lo toglie al sonno. E anche l’ansia svolge un ruolo importante. La nostra è una società di persone più sole e più depresse. Si fa abuso di alcol e caffeina. Tutte queste cose sono nemiche del sonno”.

Inoltre, dice Walker, nelle società più ricche il sonno è strettamente associato alla debolezza, forse anche alla vergogna. “Abbiamo stigmatizzato il sonno etichettandolo come una forma di pigrizia. Vogliamo mostrarci sempre impegnati, e un modo per farlo è vantarci di dormire poco. Quando parlo alle conferenze, la gente aspetta che non ci sia più nessuno per dirmi: ‘Sembra che io sia una di quelle persone che hanno bisogno di otto o nove ore di sonno’. Sono imbarazzate a dirlo in pubblico e sono disposte ad aspettare anche 45 minuti per confessarmelo. Sono convinte di essere anormali. E si capisce perché: le persone che dormono un giusto numero di ore vengono prese in giro. Le consideriamo indolenti. Guardando un neonato che dorme nessuno direbbe ‘che bambino pigro!’. Sappiamo che un neonato deve assolutamente dormire. Ma quando cresce, smettiamo di pensare che sia normale. La specie umana”, continua Walker, “è l’unica che si priva deliberatamente del sonno senza un motivo”. Se volete sapere quale sia la percentuale della popolazione che può sopravvivere con cinque ore di sonno, o anche meno, senza subire danni, ecco la risposta: zero.

La scienza del sonno è ancora poco conosciuta, ma sta crescendo a un ritmo esponenziale grazie all’aumento della domanda (le pressioni di varo tipo provocate dall’epidemia) e alle nuove tecnologie (come gli stimolatori cerebrali elettrici e magnetici) che permettono ai ricercatori di avere quello che Walker definisce “un accesso preferenziale” al cervello che dorme.

Nascita di un’ossessione
Lo studioso, che ha 44 anni ed è nato a Liverpool, lavora in questo campo da più di vent’anni e ha pubblicato il suo primo studio quando ne aveva ventuno. “Mi piacerebbe poter dire che ero affascinato dagli stati di coscienza fin dall’infanzia”, dice. “Ma, a dire la verità, questo interesse è nato per caso”. Aveva cominciato a studiare medicina a Nottingham, ma dopo aver scoperto che fare il medico non era per lui – gli interessavano più le domande che le risposte – passò alle neuroscienze. Dopo la laurea, con il sostegno del Medical research council, cominciò un dottorato di ricerca in neurofisiologia. Fu in quel periodo che s’interessò al problema del sonno.

“Stavo studiando l’andamento delle onde cerebrali nelle persone con diverse forme di demenza, e non riuscivo a individuare le differenze”, ricorda. Ma una sera gli capitò tra le mani un articolo scientifico che cambiò tutto. Spiegava quali regioni del cervello erano colpite dalle varie forme di demenza: “Alcune colpivano le zone del cervello che hanno a che fare con il controllo del sonno, mentre altre non toccavano affatto quei centri. Così ho capito qual era il mio errore: avevo misurato le onde cerebrali dei miei pazienti da svegli, invece avrei dovuto farlo quando dormivano”. Nei sei mesi successivi Walker trovò il modo per allestire un laboratorio del sonno, e le registrazioni che fece in seguito rivelarono una netta differenza tra i pazienti. Sembrava che il sonno potesse essere una cartina di tornasole per diagnosticare in anticipo i diversi tipi di demenza.

A quel punto il sonno diventò la sua ossessione. “Ho cominciato a chiedermi cos’era quella cosa che chiamiamo sonno e a cosa servisse. Sono sempre stato curioso, anche troppo, ma quando ho cominciato a studiare il sonno passavo ore a leggere senza neanche accorgermene. Nessuno rispondeva alla domanda: perché dormiamo? Era il più grande mistero della scienza e volevo assolutamente risolverlo in un paio d’anni. Ma ero un ingenuo. Non mi rendevo conto che alcune delle più grandi menti della scienza avevano cercato quella risposta nel corso di tutta la loro carriera. Io ho cominciato vent’anni fa, e la sto ancora cercando”. Dopo il dottorato Walker si è trasferito negli Stati Uniti, ha insegnato per un po’ psichiatria alla facoltà di medicina di Harvard, e oggi è docente di neuroscienze e psicologia all’Università della California.

Più di venti studi epidemiologici su vasta scala sono arrivati alla stessa conclusione: meno si dorme e meno si vive

La sua ossessione arriva anche in camera da letto? Segue rigorosamente i suoi consigli sul sonno? “Sì. Ogni notte mi concedo di dormire otto ore, e seguo orari molto regolari. Consiglio a tutti di andare a letto e di svegliarsi sempre alla stessa ora, qualunque cosa succeda. Prendo il mio sonno incredibilmente sul serio perché ho visto cosa succede quando non si dorme abbastanza. Per esempio ho scoperto che dopo una sola notte in cui si è dormito quattro o cinque ore le nostre cellule killer naturali – quelle che attaccano le cellule cancerose che ogni giorno nascono nel nostro corpo – diminuiscono del 70 per cento, e che la mancanza di sonno è collegata al cancro all’intestino, alla prostata e al seno, e che l’Organizzazione mondiale della sanità ha definito qualsiasi forma di lavoro notturno come potenzialmente cancerogeno”.

Ma la questione non è così semplice. Walker ammette che se le palpebre non gli si chiudono, diventa “nevrotico come Woody Allen”. Racconta che in estate ha viaggiato dagli Stati Uniti a Londra e, a causa del jet lag, alle due di notte era perfettamente sveglio nella sua camera d’albergo. Il suo problema, come succede spesso in questi casi, era che sapeva troppe cose. Il suo cervello ha cominciato a lavorare. “Pensavo: la mia oressina (un neurotrasmettitore che regola il ritmo sonno-veglia) non si è spenta, l’accesso sensoriale al talamo è spalancato, la corteccia prefrontale dorsolaterale non si chiude, e il livello di melatonina salirà solo tra sette ore”. Cosa ha fatto? A quanto pare anche gli esperti di sonno, quando sono colpiti dalla maledizione dell’insonnia, si comportano come tutti noi. Ha acceso la luce e si è messo a leggere.

Why we sleep avrà l’effetto sperato dal suo autore? Ho qualche dubbio: le parti più scientifiche del libro richiedono una certa concentrazione. Ma confesso che ha avuto un grande effetto su di me. Dopo averlo letto ho deciso che dovevo andare a letto prima, cosa che sto ancora facendo. In un certo senso me l’aspettavo. La prima volta che ho incontrato Walker, durante una conferenza alla Somerset House di Londra, mi è sembrato subito appassionato e convincente (la seconda intervista l’abbiamo fatta su Skype: lui era nel seminterrato del suo “centro del sonno”, un posto che, con le sue stanze da letto affacciate su un lungo corridoio, somiglia al reparto di una clinica privata). Ma è stata anche una sorpresa: in genere sono piuttosto sorda ai consigli dei medici. Nella mia testa c’è sempre una vocina che dice “goditi la vita finché puoi”.

D’altra parte le prove che Walker presenta sono sufficienti a mandare a letto presto chiunque. Non c’è altra scelta. Senza sonno si perdono energie e salute. Chi dorme è più vitale e più sano. Più di venti studi epidemiologici su vasta scala sono arrivati alla stessa conclusione: meno si dorme e meno si vive. Per fare solo un esempio, gli adulti sopra i 45 anni che dormono meno di sei ore a notte hanno il 200 per cento di probabilità in più di avere un infarto o un ictus nel corso della loro vita rispetto a quelli che dormono sette o otto ore (questo in parte ha a che fare con la pressione del sangue: anche una sola notte di sonno leggermente ridotto accelera il ritmo cardiaco, ora dopo ora, e fa salire notevolmente la pressione sanguigna).

Dormire per guarire
Sembra che la mancanza di sonno riduca anche la capacità del corpo di controllare la glicemia. Da alcuni esperimenti è emerso che nei casi di privazione del sonno le cellule rispondono di meno all’insulina, e quindi provocano uno stato prediabetico di iperglicemia. Quando si dorme di meno, inoltre, è più facile che si prenda peso. Uno dei motivi è che un sonno insufficiente abbassa i livelli della leptina, l’ormone che segnala la sazietà, e fa salire quelli della grelina, che segnala la fame. “Non dico che l’epidemia di obesità sia causata solo dalla mancanza di sonno”, precisa Walker. “Non è così. Ma gli alimenti lavorati e la vita sedentaria non bastano a giustificare il suo aumento. Manca qualcosa. E ora è abbastanza chiaro che il terzo ingrediente è il sonno”. La stanchezza, ovviamente, condiziona anche la motivazione.

Il sonno influisce sul sistema immunitario, ed è per questo che, quando abbiamo l’influenza, il nostro primo istinto è quello di andare a letto: il corpo vuole dormire per guarire. Se dormiamo meno anche per una sola notte, la nostra resistenza cala notevolmente. Se siamo stanchi, è più facile che prendiamo il raffreddore. Chi è ben riposato reagisce meglio anche al vaccino contro l’influenza. Ma soprattutto, dice Walker, gli studi dimostrano che dormire poco può influire sulle cellule del nostro sistema immunitario che combattono il cancro. Da diversi studi epidemiologici è emerso che, disturbando i ritmi circadiani, i turni di lavoro di notte fanno aumentare la probabilità di tumori al seno, alla prostata, all’endometrio e al colon.

Non dormire a sufficienza per tutta la vita adulta accresce in modo significativo il rischio di ammalarsi di alzheimer. I motivi di questo aumento sono difficili da sintetizzare, ma in sostanza hanno a che fare con i depositi di amiloide (una proteina tossica) che si formano nel cervello di chi soffre di questa malattia e uccidono le cellule circostanti. Normalmente, durante il sonno profondo il cervello elimina questi depositi. Nei malati di alzheimer si crea una sorta di circolo vizioso. Siccome non dormono abbastanza, queste placche si accumulano, soprattutto nelle regioni del cervello che provocano il sonno profondo, attaccandole e danneggiandole.

La perdita di sonno profondo provocata da questo assalto riduce quindi la nostra capacità di eliminare i depositi di amiloide dal cervello durante la notte. Più amiloide c’è e meno dormiamo profondamente, meno dormiamo profondamente e più l’amiloide si accumula. Inoltre, non è vero che gli anziani hanno meno bisogno di sonno. Demenza a parte, dormire aiuta a formare nuovi ricordi e restituisce la capacità di imparare.

Un mantra profondo
E poi c’è l’effetto del sonno sulla salute mentale. Quando nostra madre ci diceva che la mattina tutto ci sarebbe sembrato più roseo, aveva ragione. Nel libro di Walker c’è una lunga sezione dedicata ai sogni (che secondo lui, contrariamente a quanto dice Freud, non possono essere analizzati), in cui spiega nel dettaglio i modi in cui il sogno è collegato alla creatività. A suo avviso, sognare è un balsamo per la mente. È vero che dormiamo per formare nuovi ricordi, ma dormiamo anche per dimenticare. Quello del sonno profondo – il periodo in cui cominciamo a sognare – è uno stato terapeutico durante il quale ci liberiamo della carica emotiva delle nostre esperienze, rendendole più facili da sopportare. Il sonno, o la sua mancanza, influiscono anche sul nostro umore più in generale. Le scansioni cerebrali effettuate da Walker hanno rivelato che nelle persone private del sonno la reattività dell’amigdala, la regione in cui nasce la rabbia, aumenta del 60 per cento. Nei bambini, l’insonnia è stata collegata all’aggressività e al bullismo; negli adolescenti, alle fantasie suicide. La mancanza di sonno è anche associata alle ricadute in una dipendenza. Tra gli psichiatri l’opinione prevalente è che i disturbi mentali provochino disturbi del sonno. Ma secondo Walker è una strada a doppio senso. Per esempio, dormire a orari regolari può migliorare le condizioni di chi soffre di disturbo bipolare.

Ho accennato più volte al sonno profondo. Ma cos’è esattamente? Dormiamo in cicli di 90 minuti, ed è solo verso la fine di ognuno che entriamo nel sonno profondo. Ogni ciclo è costituito da due fasi. La prima è detta non-rem, la seconda rem. Quando Walker parla di questi cicli, che hanno ancora degli aspetti misteriosi, la sua voce cambia. Sembra incantato, quasi stupito.

Esiste il rischio di dormire troppo? Ancora non lo sappiamo

“Durante il sonno non-rem il nostro cervello intona un canto ritmico sincronizzato”, dice, “incredibilmente uniforme su tutta la sua superficie, una sorta di mantra lento e profondo. I ricercatori un tempo pensavano che questo stato fosse simile al coma. Ma niente può essere più lontano dalla verità. In realtà il cervello è impegnato in una grande attività di elaborazione dei ricordi. Per produrre queste onde cerebrali, centinaia di migliaia di cellule cantano insieme, tacciono, e poi ricominciano da capo. Nel frattempo, il nostro corpo si abbandona a un delizioso stato di basso consumo di energia, la migliore cura per la pressione sanguigna che si possa immaginare. Il sonno rem, invece, viene a volte detto sonno paradossale, perché gli schemi delle onde cerebrali sono identici a quelli della veglia. È uno stato incredibilmente attivo. Il cuore e il sistema nervoso attraversano fasi di intensa attività, e non sappiamo ancora esattamente perché”.

Il fatto che il ciclo sia di 90 minuti significa che i cosiddetti sonnellini ristoratori sono inutili? “Possono tamponare la sonnolenza, ma per arrivare al sonno profondo ci vogliono 90 minuti, e un ciclo non è sufficiente per fare tutto il lavoro necessario. Servono quattro o cinque cicli per godere di tutti i benefici del sonno”.

Esiste il rischio di dormire troppo? Ancora non lo sappiamo. “Non ne abbiamo le prove. Ma secondo me 14 ore sono troppe. Troppa acqua e troppo cibo possono ucciderci, e penso che alla fine sarà dimostrato che la stessa cosa vale per il sonno”.

Come facciamo a capire se abbiamo dormito abbastanza? Secondo Walker dovremmo fidarci del nostro istinto. Se abbiamo ancora voglia di dormire dopo che ha suonato la sveglia, vuol dire semplicemente che non abbiamo dormito abbastanza. Stesso discorso per chi nel pomeriggio ha bisogno di una dose di caffeina per restare sveglio. “Me ne accorgo continuamente”, dice Walker. “Salgo su un volo alle dieci di mattina, quando la gente dovrebbe essere ben sveglia e, se mi guardo intorno, vedo che metà dei passeggeri si sono immediatamente addormentati”.

E allora qual è la soluzione? Prima di tutto dobbiamo evitare di “fare nottata” alla scrivania o in discoteca. Dopo 19 ore di veglia le nostre capacità cognitive sono pari a quelle di una persona ubriaca. Poi dobbiamo cominciare a pensare al sonno come a una specie di lavoro o a una palestra (con la differenza che è gratuito e, almeno per me, molto piacevole). “La gente usa le sveglie per svegliarsi”, dice Walker. “E allora perché non avere una sveglia che ci dice che entro mezz’ora dobbiamo andare a letto, e quindi dobbiamo cominciare a rallentare?”.

Dovremmo ridare alla mezzanotte il suo significato originario: la metà della notte. Le scuole dovrebbero aprire più tardi: questo ritardo farebbe aumentare il quoziente d’intelligenza degli studenti. Le aziende dovrebbero premiare il sonno: la produttività migliorerebbe. La motivazione, la creatività e perfino l’onestà aumenterebbero. Il sonno può essere misurato con sistemi di tracciamento, e alcune aziende statunitensi lungimiranti hanno già cominciato a dare ai loro dipendenti più tempo libero se dormono abbastanza. I sonniferi vanno comunque evitati. Tra le altre cose, possono avere un effetto deleterio sulla memoria.

Le persone che si concentrano sul cosiddetto sonno “pulito” evitano di tenere cellulari e computer in camera da letto. Fanno bene, visto l’effetto che esercitano gli apparecchi a led sulla melatonina, l’ormone che regola il ciclo sonno-veglia. Ma Walker è convinto che alla fine sarà la tecnologia a salvarci. “Nei paesi industrializzati ci sarà una rivoluzione nella conoscenza di sé attraverso i numeri”, dice. “Da un giorno all’altro sapremo tutto del nostro corpo. Sarà un cambiamento epocale, e allora cominceremo a studiare metodi per amplificare le diverse componenti del sonno. Lo vedremo come una cura preventiva”.

Quali risposte tra quelle che cerca considera più importanti? Per un po’ Walker rimane in silenzio. “È difficile dirlo”, ammette con un sospiro. “Sono così tante. Mi piacerebbe ancora sapere dove andiamo, psicologicamente e fisiologicamente, quando sogniamo. Il sogno è il secondo stato della coscienza umana e ne sappiamo ancora pochissimo. Ma mi piacerebbe anche sapere quando è nato il sonno. Ho una strana teoria in proposito: forse il sonno non è frutto dell’evoluzione. Forse dall’evoluzione è nata la veglia”. Ride. “Se potessi tornare indietro nel tempo per scoprirlo, dormirei meglio la notte”.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è stato pubblicato il 20 ottobre 2017 sul numero 1227 di Internazionale. Era apparso sull’Observer con il titolo ‘“Sleep should be prescribed’: what those late nights out could be costing you”.

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