05 dicembre 2019 14:56

A Roma, dopo l’ennesimo diluvio di prima mattina seguito da ore di sole, a Testaccio l’atmosfera è calda e umida. Lungo la strada per il mercato vedo un grappolo di piccoli funghi velenosi bianchi ai piedi di un albero. Delle insidiose piccole cupole bianche in un mare di foglie marce. I funghi del mercato sono molto meglio, soprattutto quelli presi dal Velletrano. La famiglia che gestisce il banco di frutta e verdura numero 32 viene da Velletri, una cittadina a sud est di Roma. Da qui il soprannome di Gian Carlo, il capofamiglia: il Velletrano, appunto.

Velletri è la città col più alto tasso di precipitazioni nel Lazio e una delle più piovose di tutta Italia; piogge che si abbattono a velocità spaventose e poi, come quando alzi la testina da sopra un disco, cessano in un attimo così come erano cominciate. La posizione geografica di Velletri – in prossimità del mare e a ridosso dei Colli Albani, che la proteggono – la rende una città dal clima mite. Tutti questi fattori fanno sì che le campagne intorno al centro urbano siano ottime per i funghi e per andarne silenziosamente a caccia. Soprattutto se, come Giancarlo, sai dove cercarli.

Questo novembre dal clima mite è stato buono per i galletti, chiamati anche con il loro nome scientifico, Cantharellus cibarius. In inglese si chiamano Chanterelle, dal greco kantharos, che significa boccale o coppa: con il loro colore tra il giallo e l’arancio e le soffici lamelle, sembrano proprio degli ombrelli rigirati dal vento o degli imbuti dentellati.

Separarsene è un dolore
I galletti in Italia vengono spesso conservati sott’olio e poi usati come aggiunta per insaporire e rendere speciali i piatti ed ecco perché spesso vengono definiti “il prezzemolo dei funghi”. I galletti inoltre, proprio come me, sono perfetti con la pasta. Uno dei miei piatti preferiti tra quelli assaggiati quest’anno l’ho mangiato alla Taverna Mari a Grottaferrata. Tagliolini lisci e sottili di pasta fresca fatta in casa con galletti , che cotti hanno una consistenza simile al velluto, accompagnati da una salsa a base di pomodori datterini con un’aggiunta di peperoncino. Ricordo il dolore della separazione nel momento in cui ho mangiato l’ultima forchettata.

È stato un buon anno anche per il re dei funghi di questa zona, l’ovulo dal cappello rosso. Questa annata è stata piuttosto buona anche per l’imperatore assoluto, ossia il porcino. Ho letto molte descrizioni dei funghi porcini, ma la migliore è quella di Alan Davidson che nel suo Oxford companion to food compara il loro gambo carnoso a un tappo di champagne e il colore del cappello a quello di un panino glassato.

Venduti a 30 euro al chilo, effettivamente hanno più in comune con lo champagne che con dei panini appiccicosi; visto che avevano subìto un po’ di strapazzi e avevano qualche ammaccatura, Giancarlo me li ha dati a 28 euro al chilo. Cari, ma non da estorsione, e poi sono deliziosi. I porcini sono come un’ottima bistecca o un qualsiasi ottimo ingrediente, veramente.

Il modo migliore per cucinarli è in maniera semplice. Quando sono più piccoli e teneri i porcini possono essere serviti crudi, fatti a fettine sottili come un foglio di carta e conditi con olio d’oliva e minuscole scaglie di parmigiano. Ma è con il calore che se ne può far risaltare il sapore ricco e la particolarissima consistenza carnosa del cappello. A me piacciono molto affettati e arrostiti sulla griglia o in una padella di ghisa, oppure trifolati, cioè fatti cuocere a fuoco vivace con aglio, olio e prezzemolo.

Un pennello, un coltello affilato e un panno umido sono gli attrezzi ideali per pulire i porcini. Per ottenerne il massimo risultato bisogna spazzolarli, grattare via qualsiasi residuo di terra o sporcizia e poi usare il panno umido per pulire sia gambo sia il cappello. Un fungo a persona è sufficiente, due a persona una meraviglia.

È stata la chef Anna Tobias a unire i porcini al soffice e burroso purè di patate, e l’idea stessa di questo accostamento è stata per me un assillo finché non l’ho preparato a casa. Il contrasto tra la polpa soffice come un budino ma corposa dei porcini scintillanti di burro e una nuvola di purè è un piacere senza confronti, nonché un altro dei miei piatti favoriti di quest’anno. E di nuovo ho provato una profonda tristezza nel mangiare l’ultimo boccone di questo piatto.

Porcini e purè di patate

Preparazione: 15 minuti
Cottura: 30 minuti
Dosi per due persone

  • Due o tre porcini o 250 grammi di funghi selvatici
  • 1 kg di patate, private della buccia e fatte a metà
  • Burro
  • Latte intero
  • Sale e pepe qb
  • 4 cucchiai di olio extravergine di oliva
  • 1 o 2 spicchi di aglio sbucciati e schiacciati appena (devono rimanere interi)
  • Un cucchiaino abbondante di prezzemolo tritato
  1. Pulire i funghi usando un panno o un coltellino per spazzolare, grattare o asportare qualsiasi traccia di sporcizia o terra dal gambo; poi usate il panno umido per pulire ulteriormente sia il gambo sia il cappello.
  2. Tagliate i funghi a fettine alte più o meno due millimetri, tagliando separatamente il cappello e il gambo se preferite.
  3. Nel frattempo fate bollire le patate e, una volta tenere, scolatele, schiacciatele unendo burro, latte intero, sale e pepe, poi tenetele in caldo.
  4. In una grande padella scaldate l’olio, un po’ di burro e l’aglio finché quest’ultimo non comincia a dorarsi.
  5. Aggiungete poi i funghi, alzate la fiamma e fate cuocere mescolando per alcuni minuti finché non avranno assorbito il grasso. Poi abbassate la fiamma e fate cuocere per altri 8-10 minuti o fino a che non saranno cotti abbastanza: il tempo necessario varia a seconda del fungo.
  6. Negli ultimi 30 secondi di cottura aggiungete sale, pepe e prezzemolo, alzate la fiamma e mescolate.
  7. Servite i porcini immediatamente accanto a un cucchiaio di purè, versandoci eventualmente sopra del fondo di cottura e un giro di olio extravergine.

(Traduzione di Mariachiara Benini)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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