13 dicembre 2021 11:52

Alex Masmej idolatrava Steve Jobs. Sulla sua maglietta preferita c’erano le mele che hanno cambiato il mondo: quella di Adamo, quella di Isaac (Newton) e quella di Steve. Sognava di trasferirsi nella Silicon valley, in California, per creare la sua azienda, ma non aveva i soldi per farlo. Nell’aprile 2020, mentre il mondo era colpito dalla pandemia di covid-19, Masmej si è trovato bloccato nella sua città natale, Parigi.

Così ha fatto qualcosa che poche persone di 23 anni avrebbero pensato di fare: si è tokenizzato. Ha creato, cioè, uno strumento finanziario noto come token sociale – una forma di criptovaluta il cui valore ruota intorno a una persona – per vendere azioni di sé stesso. I possessori di $Alex avrebbero ricevuto il 15 per cento del reddito di Masmej nei tre anni successivi con un tetto massimo di centomila dollari complessivi. Avrebbero anche potuto scambiare token per ottenere privilegi speciali: con diecimila $Alex avevi un retweet di Masmej su Twitter; con ventimila $Alex una conversazione a tu per tu con lui; con trentamila $Alex eri presentato a qualcuno nella sua rete. In cinque giorni Masmej ha raccolto 20.092 dollari, abbastanza per attraversare l’Atlantico e arrivare a San Francisco, dove ha lanciato la sua start-up.

Lavoro come investitore nella Silicon valley, e ho incontrato Masmej a San Francisco. Quando mi ha raccontato la sua storia, sono rimasto colpito dal senso del suo percorso in California. Piuttosto che prendere in prestito denaro da investitori, amici o familiari, Masmej ha generato lui stesso l’investimento.

Ripensare le vecchie norme
Il fatto può sembrare distopico ad alcuni, come la trama di un episodio di Black mirror. Ma i token sociali rientrano in un fenomeno più ampio e fondamentalmente positivo: tutti stanno diventando investitori. Nel tempo la ricchezza si è accumulata tra pochi eletti – la classe degli investitori – mentre il resto degli Stati Uniti mette in affitto il proprio tempo come lavoratore dipendente o a ore. Solo uno statunitense su due è a contatto con il mercato azionario, e questa esposizione è determinata dal reddito: all’interno del 20 per cento più povero delle famiglie, solo il 15 per cento ha delle azioni. Diversamente dal 92 per cento delle famiglie che appartengono al 10 per cento più ricco.

Ma le mosse di Masmej e di altri come lui sono indice di un cambiamento. Una parte sempre più ampia del mondo si sta finanziarizzando, il che permette alle persone d’investire non solo in aziende o titoli di stato, ma anche in arte, oggetti da collezione e celebrità. Simili mutazioni nella cultura e nella tecnologia stanno creando un nuovo paradigma. Le regole su come creiamo e conserviamo il valore economico vengono riscritte, aprendo nuove strade a un tipo di creazione di ricchezza che prima era limitata a pochi eletti.

Un nuovo modo di pensare alla proprietà sta entrando in collisione con la nuova tecnologia

I giovani oggi guidano questa trasformazione e rifiutano le vecchie convinzioni secondo cui si deve rimanere con una stessa azienda fino a quando non si è pronti a riscuotere la pensione; bisogna stare dalle 9 alle 17 incatenati alla scrivania e si deve comunque lavorare per qualcuno. Quasi l’80 per cento degli adolescenti dice di voler essere capo di sé stesso e il 40 per cento aspira ad avviare un’attività propria. I giovani della generazione Z hanno visto i loro genitori e nonni rovinarsi durante la grande recessione e di nuovo durante la pandemia. Sono abbastanza cinici: di recente un ragazzo di 16 anni mi ha preso in giro per aver indicato una risata con 😂 invece di 💀o ⚰️. Hanno un umorismo macabro. Ma questo pragmatismo genera un pensiero di princìpi primi: perché lavorare nel “sistema” con un vantaggio limitato quando puoi usare il tuo ingegno e la tua abilità per determinare il tuo destino?

Osserviamo questo cambiamento culturale nei 23 milioni di persone che comprano azioni su Robinhood e nei 46 milioni di statunitensi che hanno criptovalute. Lo vediamo nella mania per i token non fungibili, nella deificazione di Elon Musk, nel fenomeno GameStop dello scorso inverno. Se passiamo dal “chiunque è un investitore” al “chiunque è un proprietario”, possiamo osservare degli effetti a catena nella cifra record di 4,4 milioni di imprese avviate nel 2020 o nei 68 milioni di statunitensi che lavorano come liberi professionisti.

E sono anche le superstar di questa generazione a ripensare le vecchie norme. Josh Richards, 19 anni e star di TikTok, aveva accarezzato la possibilità di diventare ambasciatore del marchio Red Bull. Quando gli ho chiesto perché ha rinunciato, mi ha guardato con stupore: perché, si è chiesto, dovrebbe essere lo strumento per la creazione della ricchezza di qualcun altro? Un tempo era questo il comportamento automatico delle celebrità. Al contrario Richards ha lanciato il suo marchio di bevande energetiche, Ani Energy, sulla scia dei suoi 25 milioni di follower su TikTok. Un anno dopo Ani è in vendita in più di quattrocento negozi Walmart.

Un nuovo modo di pensare alla proprietà sta entrando in collisione con la nuova tecnologia. Siamo sull’orlo della terza era del web. La prima riguardava l’informazione che scorreva liberamente: basta pensare a Google, che ci dava accesso alla conoscenza del mondo. La maggior parte di noi era un consumatore passivo. La seconda era il social web: Facebook, Instagram, Twitter. La gente ha cominciato a creare i suoi contenuti, e questi contenuti sono diventati la linfa vitale delle grandi piattaforme. Siamo diventati partecipanti attivi, ma le piattaforme hanno divorato tutti i profitti.

La promessa di internet era di eliminare le autorità. Invece di aspettare che una casa discografica ti metta sotto contratto, potevi condividere la tua musica su Spotify. Invece di chiedere a un giornale di condividere le tue parole, potevi twittarle. Invece di essere contattato dal dirigente di uno studio di registrazione, potevi diventare uno youtuber. Però queste piattaforme sono diventate le nuove autorità.

La terza epoca del web consiste nel raddrizzare la nave. Il capitale sociale diventa capitale economico. Il valore non si accumula più nelle mani di mediatori e intermediari.

Economie digitali
Cosa significa in pratica? Prendiamo l’industria musicale. Oggi le etichette discografiche trattengono gran parte dei soldi della musica. Agli artisti vanno le briciole, e i fan non ottengono nulla. Ma in questa nuova era del web, tutti possono trarre profitto dalla cultura.

Ognuno di noi ha un amico che ripete sempre di aver conosciuto un certo artista prima ancora che diventasse famoso. Nel caso di Taylor Swift, sono io quell’amico. Ero un suo ammiratore nel periodo precedente al disco Fearless, quando era totalmente country, molto prima che Kanye West la interrompesse sul palco dei Video music award. Ma per come funziona oggi il mondo dei fan, io non sono trattato diversamente dallo spettatore che ha scoperto Swift alla trasmissione Saturday night live qualche settimana fa.

Questa nuova era di liquidità culturale riorienta l’accesso al capitale

Tutto questo sarebbe diverso, però, se lei avesse agito come Masmej e si fosse trasformata in un investimento. Avrebbe potuto emettere un token sociale. Mentre i token non fungibili (nft) sono chiamati così a causa dell’unicità di un bene digitale, i token sociali sono fungibili. In altre parole ogni $Alex token è intercambiabile con ogni altro $Alex token, proprio come una banconota da un dollaro può essere scambiata con qualsiasi altra banconota da un dollaro. Se la banconota da un dollaro fosse firmata da Barack Obama, però, diventerebbe non fungibile.

Immaginiamo che Taylor Swift avesse emesso il suo token – chiamiamolo $Swift – e che ne avesse venduti ai suoi più grandi ammiratori. Ipotizziamo che io fossi stato uno di questi ammiratori. Nel tempo, aumentando la sua popolarità, il valore dello $Swift si sarebbe apprezzato. In qualità di primo sostenitore, avrei condiviso il vantaggio finanziario della sua crescente fama. Uno $Swift comprato per cento dollari nel 2007, oggi potrebbe valerne centomila.

La minieconomia di Taylor Swift servirebbe sia la cantante sia gli ammiratori della prima ora come me. Come artista, lei avrebbe potuto finanziare il suo lavoro vendendo gli $Swift. Magari non avrebbe avuto bisogno di vendere la proprietà dei suoi master e non sarebbe stata obbligata a registrare di nuovo i suoi dischi per riprendere il controllo della sua arte. E i suoi ammiratori sarebbero stati ricompensati per un decennio di mecenatismo: diventiamo tutti predicatori per i nostri artisti preferiti, ma tratteniamo poco del valore che contribuiamo a creare. I token sociali combinano in modo unico elementi dell’essere mecenati (sostegno all’artista), ammiratori (connessione più stretta con l’artista) e investitori (vantaggio finanziario dall’apprezzamento del bene digitale).

Possiamo estendere questo esempio a qualsiasi artista: se avessimo scoperto Billie Eilish su SoundCloud nel 2016, o Lil Nas X prima che il brano Old town road diventasse virale? E se aveste amato i Beatles prima che si esibissero all’Ed Sullivan show?

Vantaggio non puro
Non è un futuro lontano: artisti intraprendenti stanno già facendo dei passi per costruire le loro economie digitali. Lo scorso autunno RAC, già vincitore di un premio Grammy, ha lanciato $Rac a una condizione: i suoi fan non possono comprarlo, ma solo guadagnare seguendo attivamente l’artista. RAC ha distribuito $Rac retroattivamente agli ammiratori in base al loro sostegno: se erano stati abbonati alla piattaforma Patreon, se avevano comprato suoi prodotti in passato. I fan potevano poi scambiare i $Rac che avevano guadagnato con un contatto esclusivo con l’artista. Si può immaginare che questo concetto diventerà sempre più diffuso con il passare del tempo: e se i posti migliori di un concerto di Taylor Swift andassero non all’ammiratore che ha più soldi, ma a quello che ha guadagnato più $Swift accumulando ascolti su Spotify?

Chiariamo una cosa: la finanziarizzazione di tutto non è un vantaggio puro. Il fenomeno ha un lato oscuro. Se tutti diventano investitori, è vero anche l’inverso: tutto – e tutti – diventano un potenziale investimento. Nel quadro di $Alex, Alex Masmej ha progettato un componente chiamato Control my life (Controlla la mia vita). I detentori di token potevano votare a proposito delle sue scelte di vita, decidendo se doveva correre sei chilometri ogni giorno, smettere di mangiare carne rossa, o svegliarsi alle sei del mattino. I possessori di token avevano un interesse finanziario nel fatto che avesse successo, e così Masmej ha seguito le loro indicazioni. A onor del vero Masmej sostiene che era solo “un esperimento divertente”.

Dovremo rispondere a due domande chiave. La prima: a che punto il libero arbitrio di una persona cede il passo all’obbligo finanziario? La seconda: a che punto una relazione diventa una transazione? C’è una linea sottile tra investimento e speculazione, e tra speculazione e gioco d’azzardo. Cosa succede quando qualcuno perde soldi su $Alex o su $Swift? La finanziarizzazione della vita e della cultura potrebbe redistribuire il valore economico in modo più uniforme ed equo, ma il sistema dev’essere dotato di salvaguardie che non sacrifichino la nostra umanità.

Questi sono ostacoli. Ma tutte le innovazioni portano con sé degli ostacoli, e questi non dovrebbero rendere impossibili le opportunità. Una volta investire era un’attività limitata al mercato azionario, inaccessibile per molti statunitensi. Ora quasi tutto si può investire. La piattaforma Masterworks ci permette di farlo nell’arte e di possedere una quota di un Banksy. Royal ci dà la possibilità di comprare una quota di una canzone e guadagnare con i diritti d’autore: si potrebbe per esempio avere una quota della prossima Bohemian rhapsody o Hey Jude. Otis si presenta come “il mercato azionario della cultura”, e permette d’investire in figurine del cestista LeBron James o in scarpe da ginnastica Air Jordan.

Questa nuova epoca di liquidità culturale riorienta l’accesso al capitale. L’ultimo decennio si è concentrato sul trasferimento di capitale sociale: mi piace, condivisioni e retweet. Il nostro capitale sociale ha alimentato i motori del profitto di Facebook, Google e Twitter.

Oggi stiamo passando a un’era economica del web, nella quale tutti sono investitori. Non significa che non ci debba essere una regolamentazione, che le aziende e le istituzioni non debbano pensare alle protezioni da mettere in atto. Non vuole dire neanche che ci sarà un mercato azionario umano dove compriamo e vendiamo i nostri amici. Quest’epoca economica significa che tutti possono investire in arte, in canzoni iconiche e in personaggi pubblici in cui credono. Non saranno le minoranze a modellare la cultura, ma le maggioranze. La cultura popolare sarà finalmente degna del suo nome.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato dal sito dell’Atlantic.

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