14 novembre 2021 08:51

Claudia (alcuni nomi sono stati cambiati), 30 anni, marinaia della città britannica di Lichfield, non è italiana. Non è mai stata in Italia e non ha parenti o amici in Italia. Non ha nessuna idea del perché un’aggressiva coppia d’italiani abbia preso possesso della sua voce interiore e si lasci andare a furiosi litigi nel suo cervello, mentre lei se ne sta seduta ad ascoltare.

“Non ho idea da dove venga tutto questo”, dice Claudia, con tono di scusa. “Probabilmente è offensivo nei confronti degli italiani”. La coppia somiglia a una famiglia delle pubblicità della salsa per pastasciutta Dolmio: esuberante, robusta, con la tendenza a muovere le mani e a gridare. Quando Claudia deve prendere una decisione importante, entrano in gioco gli italiani: “Litigano animatamente”, dice Claudia. “È molto utile, perché lascio che siano loro a risolvere i problemi, senza stressarmi”.

Claudia non ha ancora dato dei nomi alla coppia. Ma loro l’hanno aiutata a decidere di lasciare il suo lavoro da scienziata due anni fa e a realizzare il sogno della sua vita: viaggiare libera per mare.

“Stavano chiacchierando ininterrottamente prima che io decidessi di dimettermi”, dice. “Mi svegliavo e loro già stavano discutendo. Guidavo verso casa e continuavano a litigare. Era estenuante”. La donna era favorevole alle dimissioni di Claudia, mentre il marito era preoccupato. “Lui diceva: ‘È un lavoro stabile!’. Lei rispondeva: ‘Lascia che si goda la vita!’”. La donna ha prevalso, e Claudia ha cominciato a lavorare per una piccola flotta di navi in Grecia (anche se ora è tornata per un periodo nel Regno Unito a causa del covid-19). È molto più felice, anche se ha dovuto seguire dei programmi neurolinguistici per far sì che le urla diminuissero. “Oggi i due italiani sono molto meno rumorosi”, dice con sollievo. “Urlano di meno. Si limitano a bisticciare”.

Una piccola isola
La maggior parte di noi ha una voce interiore: una presenza costante che dice “attenzione”, “compra lo shampoo” oppure “quel tipo ha qualcosa di strano”. Per molti somiglia molto alla propria voce normale, o almeno a come ce l’immaginiamo. Ma per alcune persone la voce interiore non è un monologo chiaro che redarguisce, consiglia e ricorda. Può essere, per esempio, una coppia litigiosa d’italiani oppure un esaminatore con il volto sereno e con le mani intrecciate in grembo. O magari è un sapore, una sensazione, un sentimento o un colore. In alcuni casi non c’è nessuna voce, ma solo silenzio.

“Come una piccola isola, circondata da un oceano infinito”: Justin Hopkins descrive così il suo cervello. “Questa piccola isola è il luogo dove sembrano accadere tutte le cose di cui sono consapevole, ma è circondata da questa materia infinita e inaccessibile”. Hopkins, che ha 59 anni e lavora per un’impresa sociale a Londra, non ha una voce interiore. Nessuno, nel suo cervello, può biasimarlo, rimproverarlo o criticarlo.

“Non c’è niente qui”, dice. “E non credo che ci sia mai stato nulla”. Naturalmente Hopkins ha dei pensieri, come tutti noi. Ma non c’è quel monologo interno che riempie il nostro cervello mentre viviamo. “Quando sono da solo e rilassato non c’è nessuna parola”, dice. “La cosa mi provoca un grande piacere”. Hopkins può tranquillamente isolarsi per un’ora senza avere un solo pensiero. Fatto non sorprendente, dorme come un neonato.

Cosa fa sì che a una persona come Hopkins manchi del tutto una voce interiore? “È una bella domanda”, dice Hélène Loevenbruck del laboratorio di psicologia e scienze neurocognitive dell’università Grenoble Alpes, in Francia. “Non lo so”. Loevenbruck è una delle poche neuroscienziate al mondo ad aver studiato le voci interiori. Secondo lei, sono create in una rete che coinvolge diverse aree del cervello, tra cui il lobo parietale inferiore, la circonvoluzione frontale interiore e la corteccia temporale superiore.

Alcune persone dicono che le loro voci interiori sono come una radio accesa tutto il giorno

Per capire come funziona la voce interiore, bisogna analizzare in che modo il pensiero umano si trasforma in azione. “Quando compiamo una qualsiasi azione, il nostro cervello fa una previsione delle conseguenze sensoriali di quell’azione”, dice Loevenbruck. Immaginate di voler prendere in mano un bicchiere d’acqua. “Il vostro cervello invia i segnali motori appropriati alla mano, ma genera anche una previsione sensoriale di questo comando”, spiega. “Prima ancora di aver afferrato il bicchiere, il cervello ha fatto una previsione di quel che faranno i comandi motori, il che significa che si possono correggere gli errori prima di commetterne uno. Questo sistema è molto efficace ed è il motivo per cui gli esseri umani possono compiere così tante azioni senza sbagliare”.

Lo stesso principio vale per il linguaggio umano. Ogni volta che la nostra bocca si muove per formare una parola, il nostro cervello genera simultaneamente una simulazione predittiva di quell’enunciato nel nostro cervello, per correggere un errore. “Le nostre conoscenze attuali sui discorsi interiori ci dicono che in essi facciamo la stessa cosa che nei discorsi espliciti – prevediamo nel nostro cervello quel che diremo – ma non inviamo effettivamente i comandi motori ai muscoli del linguaggio”, conclude Loevenbruck. “Questo segnale acustico simulato è la voce che sentiamo nelle nostre teste”.

Loevenbruck spiega che il più delle volte ascoltiamo quello che lei definisce “linguaggio interiore”. Ma non sempre. “Possono esserci forme di linguaggio interiore più espanse e più condensate”, dice. “Le persone possono viverle come rappresentazioni astratte del linguaggio, senza suono. Alcune persone dicono che le loro voci interiori sono come una radio accesa tutto il giorno. Altre non hanno nessuna voce o parlano tramite simboli astratti che non includono il linguaggio”. La scienziata non sa spiegare perché alcune persone vivano questa voce interiore in maniera diversa: siamo alle frontiere della neuroscienza, che è già di per sé la più scivolosa di tutte le branche del sapere umano.

Il caos della mente
Le persone sorde di solito visualizzano la loro voce interiore. “Non odono la loro voce interna, ma possono produrre un linguaggio interiore visualizzando segni delle mani o guardando i movimenti delle labbra”, dice Loevenbruck. “È proprio come la lingua dei segni”, afferma Giordon Stark, un ricercatore di 31 anni di Santa Cruz. Stark è sordo e comunica con la lingua dei segni.

La sua voce interna prende la forma di un paio di mani che fanno gesti corrispondenti a parole. “Di solito le mani non sono collegate a niente”, dice Stark. “Ogni tanto vedo una faccia”. Se Stark deve ricordarsi di comprare il latte, segnala la parola “latte” nel suo cervello. Stark non ha sempre visto la sua voce interiore: ha imparato la lingua dei segni solo sette anni fa (prima usava dei metodi orali di comunicazione). “Prima sentivo la mia voce interiore”, dice. “Aveva il suono di una voce che non era la mia e non era particolarmente chiara per me”.

Nel cervello della scrittrice Hannah Begbie vive la giornalista radiofonica Jenni Murray. Non proprio Murray, naturalmente, ma una replica di Murray, con lo stesso tipo di voce interrogativa e una sciarpa allargata sulle spalle. “La mia voce interiore è un dialogo, come se fossi costantemente intenta a intervistare me stessa”, dice Begbie, che ha 44 anni e vive a Londra. “L’intervista si svolge sempre in uno sfarzoso studio radiofonico”, dice. “Ci sono eleganti pareti ricoperte di velluto. Tutto avviene con un certo calore e un certo colore”. Il dialogo può riguardare argomenti di qualsiasi tipo, seri o superficiali.

“Jenny può chiedermi: ‘Quando hai deciso di fare il grande passo e comprare quel paio di scarpe?’”, dice Begbie. “E io le rispondo: ‘È una domanda interessante’”. La maniera gentile ma decisa con cui Murray rivolge le sue domande l’ha spinta a prendere decisioni importanti: prima che Begbie lasciasse il suo lavoro da agente letteraria, Murray l’ha aiutata a ripetere mentalmente le sue ragioni. “È un modo di organizzare il caos della mia mente”, dice Begbie, consapevole che è una cosa strana. “Non ho mai incontrato Murray”, aggiunge, “so che è ridicolo”.

La voce interiore dell’ex bibliotecaria Mary Worrall è sempre stata uno schermo televisivo, a volte un proiettore di diapositive che rimane sempre acceso in una soffitta, dentro la sua testa. La soffitta è dotata di una scala a chiocciola dietro al suo orecchio sinistro, spiega Worrall, che ha 71 anni e vive a Birmingham. “Non c’è molto suono”, dice. “In realtà sono solo immagini, come un film che scorre”. Quando la voce interiore di Worrall le ricorda che deve comprare del detersivo per i piatti, non sente chiaramente la frase “comprare del detersivo per i piatti”. Le succede di vedersi nell’atto di prendere una scatola di detersivo su uno schermo televisivo nella soffitta.

“È un’emozione”, dice Mona*, una dirigente di 53 anni di Telford, a proposito della sua voce interiore, che non si manifesta in maniera evidente. Semmai è Mona che deve rivolgere la sua attenzione verso di lei per percepirla. “Mentre vivo la mia giornata, la voce interiore non mi parla in inglese”, dice Mona. “È qualcosa che sta al di sotto e dietro a quello che faccio”.

La voce diventa più insistente quando è in una situazione che le richiede di essere emotivamente preparata. Mona lavora spesso con bambini problematici e recentemente si è trovata in una situazione in cui un’adolescente era arrabbiata e lo esprimeva apertamente. All’inizio l’istinto era di rimproverarla. Ma poi la voce interiore si è fatta sentire, assumendo sfumature di colore grigio. “Ho avuto la profonda sensazione che questa ragazza fosse realmente nei guai. Ho provato un senso di tristezza e sconforto, e ho visto una nuvola nebbiosa”. La sua voce interiore aveva ragione: Mona ha poi avuto la conferma che la ragazza stava attraversando un momento difficile.

Molte persone con cui ho parlato hanno scoperto abbastanza tardi che le loro voci interiori non erano la norma. Per anni Worrall ha pensato che tutti avessero delle soffitte nel cervello. Mona ha raccontato della sua voce interiore al marito con cui è sposata da trent’anni solo poco prima della nostra intervista telefonica. “Non ti rendi mai davvero conto che la tua voce interiore è diversa”, dice. “Non è una cosa di cui si parla”.

Inconoscibili, imperscrutabili, unicamente nostre: le voci interiori sono le nostre confidenti e le nostre amiche segrete. Dispiace solo che nessuno, tranne noi, possa conoscerle. “Vorrei poter invitare qualcuno a entrare”, dice Worrall. “Sarebbe così bello se potessi scaricare la mia soffitta su una specie di disco rigido, in modo che le altre persone potessero osservarla”.

(Con la collaborazione di Rachel Obordo)

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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