27 febbraio 2019 14:48

Mentre i pastori sardi versavano il loro latte in strada per protestare contro i bassi prezzi d’acquisto, il gruppo Eurospin lanciava un’asta al buio per assicurarsi al minor prezzo possibile una partita da diecimila quintali di pecorino.

Proprio quando la protesta era appena cominciata, nei primi giorni di febbraio, il discount ha convocato i produttori di pecorino romano chiedendogli di fare un’offerta, al massimo ribasso, per una fornitura di formaggio grattugiato, porzionato e in forma intera. La gara d’asta – fatta online – è durata circa mezz’ora ed è stata vinta da due importanti imprese dell’isola a un prezzo di poco superiore a cinque euro al chilo.

“Così la grande distribuzione organizzata orienta tutto il mercato al ribasso”, dice Salvatore Palitta, presidente dimissionario del consorzio per la tutela del formaggio pecorino romano. “Attraverso le aste, le insegne dei supermercati strozzano una filiera che è già pesantemente in affanno”.

Finito al centro delle polemiche per le responsabilità attribuite ai trasformatori per la sovrapproduzione che ha fatto crollare il prezzo, il presidente del consorzio cerca di spostare l’attenzione su quello che definisce il “vero dominus del mercato”, ossia i gruppi della grande distribuzione organizzata (gdo), attraverso i quali passa oggi il 70 per cento degli acquisti alimentari in Italia.

“Non si parla mai abbastanza del ruolo che ha la grande distribuzione nella definizione del valore del prodotto. L’asta lanciata dall’Eurospin prevedeva un prezzo bloccato per i prossimi dodici mesi: a queste condizioni, qualsiasi trattativa su un compenso equo diventa aleatoria”, continua Palitta.

L’anello debole
La protesta dei pastori sardi ruota intorno a tre attori principali: la gdo, che acquista il formaggio; gli industriali e le cooperative, che lo producono a partire dalla materia prima; e i pastori, che forniscono il latte ovino alle imprese di trasformazione. Come spesso accade, in questa partita a tre l’ultimo anello della filiera è quello più debole, con minore potere contrattuale.

Il surplus di produzione dell’ultimo biennio – pari a circa 90mila quintali – ha fatto precipitare il valore del pecorino alla borsa merci di Milano e di conseguenza quello del latte ovino, crollato a 60 centesimi al litro.

“A questa cifra non arriviamo neanche a coprire i costi di produzione”, afferma Nenneddu Sanna, uno dei leader della rivolta. Dopo le manifestazioni in Sardegna, i pastori hanno portato la protesta a Roma e il 14 febbraio sono stati convocati al Viminale dal ministro dell’interno Matteo Salvini e da quello dell’agricoltura Gian Marco Centinaio. La discussione è stata poi spostata alla prefettura di Sassari. Ma per il momento non è stato trovato alcun accordo tra la proposta dei trasformatori, disponibili a pagare 72 centesimi al litro, e i pastori, che chiedono almeno 80 centesimi.

Il ruolo della grande distribuzione
In questa situazione estremamente tesa, il gruppo Eurospin è entrato in scena come un elefante in una cristalleria. “Con queste aste, la grande distribuzione prende i soldi direttamente dalle nostre tasche”, lamenta Nenneddu Sanna. “Il pecorino dovrebbe essere venduto almeno a 7,5 euro, non a 5”.

L’Eurospin già l’estate scorsa era finito al centro delle polemiche per una gara elettronica al doppio ribasso su una partita di pomodoro trasformato. All’epoca, si era difeso a posteriori rivendicando la pratica delle aste online e definendole “uno strumento moderno, molto efficace per dare al consumatore quei prezzi competitivi che chiede”.

Nel caso dell’ultima asta sul pecorino, l’Eurospin aveva convocato una gara secca, in cui i vari fornitori sono stati invitati a fare un’offerta unica senza conoscere chi fossero e quanti fossero gli altri partecipanti. Un’asta al buio insomma, in cui ogni concorrente è naturalmente spinto a ribassare al massimo la propria puntata pur di assicurarsi la partita.

Come si legge sullo stesso sito dell’azienda, “in caso di più offerte identiche verrà automaticamente aperta una ulteriore sessione di 30 minuti cui potranno partecipare i fornitori autori delle offerte identiche, durante la quale ciascuno di essi potrà formulare una ulteriore offerta eventualmente migliorativa rispetto alla precedente”. Migliorativa in questo caso vuol dire inferiore, perché la logica è che a vincere sia sempre il prezzo più basso.

La marcia indietro
L’Eurospin non ha risposto alle nostre domande per avere chiarimenti sullo svolgimento dell’asta. Ma dopo le ripetute sollecitazioni, l’azienda ha comunicato sul suo sito che “sospende gli accordi commerciali in essere”. È insieme una marcia indietro e una notizia positiva.

Dopo aver cercato di sfruttare la situazione per strappare prezzi particolarmente favorevoli senza tener conto delle conseguenze sull’intero settore, anche l’Eurospin, come ha già fatto nelle settimane scorse la Coop, ora vuole garantire “un aumento del prezzo all’acquisto pari a 1 euro al chilo”. La Federdistribuzione, sigla che tiene insieme diversi marchi della gdo, ha invece organizzato una campagna di marketing tesa a valorizzare il prodotto in tutti i punti vendita.

“Le aste andrebbero semplicemente vietate”, dice Giorgio Santambrogio, presidente di Adm, l’Associazione della distribuzione moderna, che riunisce gran parte dei supermercati italiani, tranne i discount. “Queste pratiche fanno male all’intero settore. Ed è per questo che già nel giugno 2017 abbiamo firmato un protocollo presso il ministero dell’agricoltura in cui ci impegniamo a non farle. Penso che sarebbe utile proibirle in modo definitivo per legge”.

Il punto dolente è che gli effetti delle aste e degli acquisti al ribasso non si ripercuotono solo sui gruppi industriali che partecipano e sulle insegne che le lanciano. Contribuiscono spesso a determinare un prezzo di riferimento, che finisce per orientare tutto il mercato. A pagarne le conseguenze sarà un’intera filiera, sempre più impoverita dalle logiche del sottocosto.

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