18 settembre 2020 15:53

Una delle cose più straordinarie delle proteste per la democrazia in Bielorussia è il ruolo enorme svolto dalle donne. Una di loro, Svetlana Tichanovskaja, è emersa come improbabile antagonista politica di Aleksandr Lukašenko, da molto tempo presidente della Bielorussia. Sono donne due delle figure dell’opposizione più rilevanti del paese, rapite o costrette a lasciare il paese come Maria Kolesnikova, che ha strappato il suo passaporto per non essere costretta all’esilio. E le donne hanno organizzato alcune tra le prime manifestazioni contro i risultati elettorali.

Oggi, in Bielorussia, un uomo di 66 anni convinto che il suo paese sarebbe impreparato a una presidenza femminile se la deve vedere con centinaia di migliaia di manifestanti, tra cui tanti giovani e tante donne, decisi a dimostrargli che si sbaglia. La situazione è indice di una tendenza in atto nei movimenti globali di massa: le proteste alle quali partecipano le donne sono di solito più grandi, meno violente e più versatili rispetto alle altre. E, cosa più importante, hanno maggiori probabilità di successo.

La preminenza delle donne nel promettente movimento di opposizione bielorusso è stata per molti versi creata in modo specifico, anche se forse involontariamente, dallo stesso Aleksandr Lukašenko. A molti dei più noti candidati dell’opposizione, in larga misura uomini, è stato impedito di partecipare alle elezioni di agosto o sono stati incarcerati prima ancora di potersi candidare. È successo per esempio a Sergej Tichanovskij, un blogger su YouTube e attivista per la democrazia la cui candidatura alla presidenza è stata mandata all’aria dal suo arresto. È stato allora che la moglie Tichanovskaja si è fatta avanti. Può darsi che la sua candidatura non abbia trovato intralci perché Lukašenko non ha visto una minaccia plausibile in questa madre ed ex insegnante di inglese senza esperienza politica . “La nostra società non è abbastanza matura per eleggere una donna”, ha dichiarato Lukašenko a maggio. Se diventerà presidente, ha aggiunto un mese dopo, “la poverina crollerà”.

Simboli del dissenso
A giudicare dalla portata delle successive manifestazioni, ritenute come quelle a più alta partecipazione nella storia della Bielorussia, Lukašenko si sbagliava. Tichanovskaja ha stretto un patto con altre due figure femminili dell’opposizione, Kolesnikova e Veronika Tsepkalo, e il trio è diventato il nuovo simbolo del dissenso bielorusso. Alla vigilia del voto erano paragonate a una “rock band femminile” perché i loro eventi elettorali attiravano grandi folle di sostenitori in tutto il paese. Tichanovskaja e Tsepkalo sono in seguito fuggite dalla Bielorussia temendo per la sicurezza dei loro familiari. Kolesnikova, rimasta nel paese per opporsi al risultato elettorale di agosto, ampiamente contestato, è sparita per un po’ dopo essere stata rapita in pieno giorno dalle autorità bielorusse (da allora è detenuta a Minsk). Se però l’intenzione era quella di mettere a tacere queste figure per reprimere i disordini, le cose non hanno funzionato. Questo perché le proteste in Bielorussia sono state in larga misura prive di una leadership e decentralizzate, prendendo in prestito tattiche dalle mobilitazioni a Hong Kong, in Catalogna e altrove.

Come nel caso di molti di questi movimenti, le donne hanno avuto un ruolo di primo piano nelle proteste bielorusse a cui hanno partecipato in migliaia vestite di bianco portando in mano fiori, palloncini e cartelli.

Quello bielorusso non è l’unico caso di proteste di massa in cui emerge con particolare rilevanza il ruolo delle donne, che negli ultimi dieci anni si sono contraddistinte come simboli di movimenti nati in posti molto lontani tra loro, dall’Algeria al Libano, dal Sudan agli Stati Uniti. Hanno animato le manifestazioni del 2019 contro una nuova legge sulla cittadinanza in India, le manifestazioni del 2018 contro il presidente Jair Bolsonaro in Brasile e molte delle rivoluzioni culminate nelle primavere arabe.

Efficacia e inclusività
La maggiore visibilità delle donne nelle proteste più recenti è in parte dovuta al fatto che i movimenti non violenti di tutto il mondo sono più inclusivi. Secondo una ricerca condotta dalle docenti di Harvard Erica Chenoweth e Zoe Marks, coautrici di un libro di prossima pubblicazione sul ruolo delle donne nei movimenti di protesta, fino al 70 per cento delle proteste non violente dal 2010 al 2014 hanno visto “un numero contenuto o molto vasto di donne in prima linea”. Queste campagne non solo si sono dimostrate più partecipate e inclusive dal punto di vista del genere, ma anche più efficaci nel raggiungere i loro obiettivi.

Per certi versi è intuitivo. I movimenti che includono le donne necessariamente si aprono a una più ampia base di sostegno e partecipazione. Tuttavia il contributo delle donne a un movimento va ben oltre i semplici numeri. Innanzitutto le proteste a cui partecipano le donne tendono a essere meno violente, in parte perché è più difficile reprimere con la forza manifestazioni in cui ne sono presenti molte, soprattutto in società patriarcali come quella bielorussa. “Spesso si vedono madri e nonne apostrofare i poliziotti e le forze di sicurezza, in un certo senso assumendo le posture dei ruoli materni che rivestono nella società”, mi ha detto Chenoweth.

Alcune delle prime campagne di azione non violenta di cui si ha notizia sono state create da donne

Questo non significa necessariamente che le donne siano risparmiate dalle repressioni violente spesso adottate contro le manifestazioni di massa in tutto il mondo. Anche prima del voto in Bielorussia, Amnesty international aveva riferito che le attiviste nel paese erano colpite in modo sproporzionato da persecuzioni di natura politica, intimidazioni e molestie. Nonostante ciò le donne si sono dimostrate una forza più difficile da reprimere per la polizia antisommossa. Anzi, se le proteste antigovernative del 2019 in Libano sono rimaste in larga misura pacifiche il merito è stato attribuito soprattutto alle donne che hanno agito da “cuscinetti umani” frapponendosi tra manifestanti e forze di sicurezza.

Conoscere il potere sociale
Fondamentale nel successo dei movimenti non violenti degli ultimi anni è stata la loro capacità di diversificare le proteste andando oltre le manifestazioni di piazza. Anche in questo hanno giocato un ruolo vitale, rinnovando metodi di protesta come il boicottaggio, gli scioperi e altre forme di non collaborazione che esercitano pressione su chi sta al potere. “Non è che siano state non violente o più efficaci nell’innovare le tattiche di protesta in quanto donne”, ha affermato Chenoweth. “Il punto è che la loro particolare posizione, i ruoli di genere che hanno nella società, gli dà accesso alla conoscenza sul potere sociale”.

Per secoli le donne hanno fornito ai movimenti di protesta questo genere di innovazioni tattiche, ha proseguito Chenoweth, che sottolinea come alcune delle prime campagne di azione non violenta di cui si ha notizia siano state create da donne. Nel diciannovesimo secolo le donne dell’Irlanda rurale hanno giocato un ruolo strategico nel concepire il boicottaggio, una tecnica che ha preso il nome dal suo bersaglio originale, il capitano Charles Boycott, un amministratore britannico che cercò di sfrattare gli affittuari che chiedevano una riduzione dei canoni di affitto. Tattiche simili sono state fondamentali in Bielorussia, dove i manifestanti sono stati incoraggiati dagli scioperi degli operai, degli impiegati dei mezzi d’informazione statali e di agenti di polizia e dei servizi di sicurezza.

Forse però le donne hanno avuto un impatto così rilevante sulle proteste in Bielorussia e altrove soprattutto grazie alla loro capacità di estendere la base di legittimità delle richieste dei movimenti di protesta. Le madri di Plaza de Mayo, un movimento nato nel 1977 da un gruppo di donne argentine i cui figli erano scomparsi sotto la violenta dittatura militare del paese, sono state efficaci soprattutto grazie alla capacità delle partecipanti di fare leva sulla loro condizione di madri in lutto. Sebbene il governo abbia cercato di dipingerle come las locas, ossia “le pazze”, alla fine ha preferito non reprimere il movimento per timore di possibili reazioni.

Le proteste bielorusse, anche se diverse per contesto, rappresentano una sfida simile per le autorità. “Volevano prendere gli uomini che proteggevamo tenendoli dietro di noi”, ha raccontato una manifestante ai mezzi d’informazione bielorussi. “Ma abbiamo detto che anche se loro stessi ci avessero chiesto di lasciarli andare non li avremmo fatti uscire perché qui siamo madri”.

Una improbabile icona delle proteste bielorusse è Nina Bahinskaya, 70 anni. Bisnonna e attivista di lungo corso, è diventata famosa dopo che il suo scontro con i poliziotti che cercavano di strapparle di mano una bandiera durante una manifestazione è diventato virale. Per il semplice fatto di essere lì, donne come Bahinskaya sono state capaci di sfruttare a loro vantaggio stereotipi tradizionali e di genere, come a voler dire: “È così che trattereste vostra madre?”.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito sul mensile statunitense The Atlantic.

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