Per essere un’anatra zoppa, Barack Obama ha avuto una settimana niente male. Lunedì ha chiesto alla Federal communications commission, l’agenzia delle telecomunicazioni statunitense, di adottare delle norme per garantire la neutralità della rete. Martedì ha siglato un accordo con la Cina per abbassare i dazi doganali su alcuni prodotti tecnologici. Lo stesso giorno si è saputo che Craig Spencer, il medico ricoverato a New York per aver contratto l’ebola in Guinea, è guarito e che nel paese non ci sono altri casi appurati d’infezione, a dimostrazione che le critiche fatte a Obama a proposito della gestione del virus erano frutto soprattutto dell’isterismo scatenato a fini politici dai repubblicani e dai mezzi d’informazione conservatori.

Mercoledì il presidente ha annunciato l’intesa con Pechino per ridurre le emissioni di anidride carbonica nei prossimi decenni. Venerdì ha dichiarato che userà i suoi poteri presidenziali – quindi eventualmente scavalcando il congresso a maggioranza repubblicana – per legalizzare la posizione dei dreamers, milioni di persone che vivono e lavorano da anni negli Stati Uniti ma non hanno i documenti in regola.

Gli accordi con Pechino hanno riportato Obama al centro della scena internazionale dopo due anni in cui il presidente è sembrato quasi sempre incerto e in ritardo. Le prese di posizione sulla neutralità della rete e sull’immigrazione sono un modo per rimettersi in piedi e recuperare una direzione politica dopo la pesante sconfitta alle elezioni di metà mandato del 4 novembre.

Sull’immigrazione il presidente ha detto: “Il Partito repubblicano ha gli strumenti per migliorare il sistema. Quello che non possono fare è pensare che io me ne stia fermo a guardare un sistema che non funziona”. Come dire: adesso che avete la maggioranza non potete più permettervi di fare ostruzionismo a oltranza e poi incolpare me per tutto quello che non va, e io non ho intenzione di pagare per il vostro immobilismo.

In questo modo Obama cerca di uscire dall’angolo politico in cui si trova dall’inizio del suo secondo mandato, invita i repubblicani ad assumersi delle responsabilità e fa venire alla luce i loro problemi di gerarchia interna e i contrasti ideologici tra l’estrema destra del Tea party e la classe dirigente più moderata.

Non è detto che questi annunci si tradurranno in provvedimenti concreti e duraturi. L’impegno per ridurre le emissioni non è vincolante e la sua attuazione non dipenderà tanto da Obama quanto piuttosto dalle scelte del suo successore. Sull’immigrazione probabilmente il presidente farà ricorso a un ordine esecutivo per concedere permessi di lavoro a milioni di persone senza documenti, ma il provvedimento resterà in vigore solo fino a quando lui sarà presidente.

In ogni caso, la sconfitta alle elezioni ha risvegliato il presidente dall’apatia e l’ha convinto a cercare di forzare lo stallo politico che dura da almeno due anni. In un certo senso è stata una liberazione: Obama non deve più preoccuparsi delle conseguenze elettorali delle sue scelte e può concentrarsi sui temi che gli stanno più a cuore: ambiente, immigrazione, diritti civili. Probabilmente non andrà molto lontano senza il sostegno del congresso, ma per lo meno avrà fatto un passo importante per recuperare – in vista delle elezioni presidenziali – il sostegno della base elettorale di sinistra che nel 2008 l’aveva portato alla Casa Bianca.

Alessio Marchionna è l’editor di Stati Uniti di Internazionale.

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