05 maggio 2014 09:00

Ho passato il fine settimana in una sweat lodge (capanna del sudore) dello stato di New York, ispirata alle tradizioni degli indiani cree. Mi è sembrato un buon modo per compensare il fatto che stavolta non sono riuscita a organizzare un incontro con i nativi americani. “Perché siete venuti?”, ci ha chiesto la sciamana prima di lasciarci entrare nella tenda circolare. “In segno di rispetto per i popoli indigeni”, ho risposto. Poi però ho scoperto che la sciamana è una statunitense bianca che crede nella reincarnazione ed è convinta che il suo corpo ospiti l’anima di una nativa. Incarnazione o meno, non me la sono sentita di rivolgerle le domande che avevo preparato dando per scontato che facesse parte della tribù dei cree.

Una delle donne presenti nella tenda mi ha raccontato di aver lasciato l’Honduras per gli Stati Uniti quando aveva due anni. Le ho chiesto delle origini della sua famiglia, senza sapere che un tempo queste domande la infastidivano. “Io sono americana”, rispondeva alle sue compagne di classe bionde nel North Dakota quando le chiedevano perché avesse i capelli neri. “Siamo maya”, mi ha risposto. Poi però ha ammesso di non sapere niente della cultura e della storia maya, e di non aver mai chiesto notizie a sua madre.

Sono rimasta colpita: nella tenda c’erano sette bianchi pronti a sposare una tradizione dei nativi americani (con tanto di cerimonia purificatrice del tabacco bruciato), mentre una “vera” indigena non sapeva niente delle sue origini.

La donna maya mi ha raccontato un fatto che le è accaduto di recente in Messico. Era andata a visitare la sorella, sposata con un cittadino messicano, ma all’aeroporto l’hanno separata dagli altri passeggeri rivolgendole parole in spagnolo (che lei non conosce) in tono aggressivo. “Sono americana, sono americana”, ha cercato di spiegare mostrando il passaporto statunitense. In seguito la sorella le ha spiegato che molti maya guatemaltechi e honduregni cercano di a trasferirsi illegalmente in Messico. A quanto pare gli agenti dell’immigrazione avevano capito che era maya dal suo naso aquilino.

Lì con noi c’era un’impiegata messicana del centro. Ho chiesto anche a lei la storia della sua famiglia. “I miei nonni erano spagnoli, ma sono sicura di avere anch’io antenati maya. Guarda il mio naso”. Si è messa di profilo e mi ha sorriso.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it