10 aprile 2017 18:10

Kifah non c’è. È presente invece Nour, che ci accoglie nella piccola sala con un bel sorriso. Alaa e Badia sono seduti sulla panca, piacevolmente sorpresi di vedere volti familiari. I quattro devono affrontare un tribunale militare. Li conosco tutti. Kifah, figlio di un amico scomparso, è stato arrestato quattro settimane fa mentre tornava da Amman, in Giordania. È stato interrogato a lungo e non gli hanno permesso di chiamare un avvocato. Gli danno sei mesi di detenzione amministrativa. Nessun processo, nessun capo d’accusa, nessuna prova. Un puro esercizio di potere.

Nour, figlio di un altro amico, ammette di aver lanciato alcune molotov verso una postazione dell’esercito. Dopo venti mesi di custodia preventiva, il suo avvocato raggiunge un accordo con il procuratore: 24 mesi in prigione (ne mancano quattro) e 550 euro di multa. Alaa e Badia sono di Hebron. Hanno protestato con altri per la chiusura della città vecchia ai palestinesi, che dura da vent’anni. Sono stati arrestati mentre piantavano alcuni alberi (un atto davvero pericoloso!). Vengono condannati a pagare una multa di 850 euro.

“Ma se anche chi protesta in modo pacifico viene punito, sempre più ragazzi sceglieranno la lotta armata”, commenta un parente presente all’udienza. “Almeno potranno fare del male al nemico”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questa rubrica è stata pubblicata il 7 aprile 2017 a pagina 33 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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