02 maggio 2017 16:25

Prendendo l’auto ho evitato almeno due ore di attesa alla fermata dell’autobus, mi ha detto la donna che mi ha dato un passaggio. Siamo nello stesso paesino sull’isola di Sifnos, in Grecia, e ci siamo conosciute in una taverna alla mano mentre guardavamo il tramonto. Poi ci siamo ritrovate per caso ad Apollonia, il capoluogo, in un bar frequentato da soli uomini. Ho preso un caffè greco, dal sapore simile al caffè turco che preparava mio zio, originario di Sarajevo. Poi è entrata lei, con un uomo. Prima di andarsene mi ha offerto un passaggio per tornare in paese.

Durante il viaggio l’uomo mi ha fatto delle domande su Israele. Non sulla Palestina, anche se gli ho detto che abito in Cisgiordania. Ho capito che in passato aveva visitato il paese. La donna e l’uomo sono tedeschi, di circa 65 anni. Non me la sono sentita di dirgli che proprio quel giorno in Israele si celebrava la memoria dell’olocausto.

Negli ultimi anni ho sempre cercato di stare lontana da casa quel giorno, almeno fino alla festa dell’indipendenza (1-2 maggio) e alla commemorazione palestinese della nakba (15 maggio). Quest’anno cercherò di stare fuori fino al cinquantesimo anniversario dell’occupazione (5 giugno). Non sopporto più tutto quel concentrato di bugie, contraddizioni, ipocrisia e ignoranza. Purtroppo, dovrà passare molto tempo prima che un ebreo israeliano e un palestinese possano fare un viaggio in macchina insieme senza parlare della catastrofe che li unisce.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questa rubrica è stata pubblicata il 28 aprile 2017 a pagina 27 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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