Un gabbiano si è lanciato in picchiata verso il vassoio e ha rubato la torta, poi è volato via trionfante verso l’acqua che separa le isole di Stoccolma. L’uomo ha fatto cadere il vassoio e si è sporcato i pantaloni di caffè. Lui e la moglie sono rientrati nel bar e non sono più usciti sulla terrazza del Moderna museet.

F, un mio conoscente, è tornato con il suo bambino di tre anni quando la scena si era già conclusa. Il figlio di F ha trovato un altro bambino con cui giocare, parlando in svedese, mentre noi riprendevamo la nostra conversazione. “Perché dici di essere siriano, se la tua famiglia viene da Acri e da Haifa, in Palestina?”, gli ho chiesto. F mi ha raccontato che i suoi parenti materni erano orgogliosi combattenti dell’Olp in Libano, ma lui è nato e cresciuto in Siria. Sotto il regime siriano i palestinesi venivano trattati in modo decente, mentre tutti gli altri “mangiavano merda”, e non può fare finta di essere legato a un paese che non ha mai visto. Parla il dialetto siriano, non palestinese. È arrivato in Svezia 19 anni fa.

I genitori dell’altro bambino erano seduti a un tavolo vicino. Ci siamo scambiati qualche sorriso. Poi un uomo si è rivolto a noi in arabo chiedendoci da dove venissimo. Ha detto di essere palestinese-libanese-americano. Quando gli ho detto che sono israeliana non è sembrato particolarmente sorpreso. Gli ho chiesto da dove venissero i suoi genitori. Mi ha risposto che erano di Haifa. “Anche mia madre!”, ha esclamato con gioia F.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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