28 aprile 2015 17:14

Al sassofonista Colin Stetson piace raccontare la storia della balena 52-hertz, un esemplare unico che emette suoni a una frequenza non percepita dagli altri cetacei e per questo considerato la balena più solitaria del mondo. Del resto anche lui, nonostante le ottime frequentazioni che lo hanno portato alla tenera età di 25 anni a incidere con Tom Waits (Alice, Blood money), ha optato per la solitudine ed è riuscito a forgiare un suo linguaggio stupefacente quanto inedito, che però, per fortuna, noi umani possiamo captare facilmente. Basta avere orecchie curiose.

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Tra il 2008 e il 2013 Stetson ha pubblicato la trilogia New history warfare, tre dischi per solo sassofono che hanno letteralmente ridefinito le possibilità tecniche ed espressive dello strumento. Tra minimalismo, noise, indie rock, avant-jazz e candide venature pop, la musica del sassofonista statunitense è un agglomerato di suoni diversi, una trama inestricabile polifonica e poliritmica, una rivelazione quanto un enigma: sembrano più sassofoni che suonano insieme. Lui su ogni disco scrive con orgoglio: “registrato in una sola take, senza sovraincisioni né loop”.

Stetson, l’uomo sassofono, ha un controllo del suo strumento spaventoso: la respirazione circolare gli permette di creare dei tappeti di suono continuo, con arpeggi che saltano repentinamente da un registro all’altro. Le tecniche estese di emissione producono un florilegio di timbri che vanno dal ruggito al sussurro. Il tutto con un’agilità impressionante, soprattutto quando imbraccia uno strumento fuori misura come il sax basso. Tanti suoni prodotti simultaneamente e su tutta la lunghezza dello strumento tendono a uniformarsi davanti a un microfono: i suoni più deboli sono fagocitati da quelli più forti, le sfumature si perdono insieme a quella multidimensionalità che Stetson ha inseguito e che ha infine catturato applicando al sassofono e al suo stesso corpo una serie di microfoni a contatto, con l’obiettivo non tanto di cercare la fedeltà, ma di cogliere i suoni nascosti, di esaltarli. Di fare musica con ciò che normalmente non sentiamo.

Lo sforzo fisico necessario per produrre questa musica si sente all’ascolto (e tanto più si vede in concerto). Ha qualcosa di vertiginoso, tra l’inesorabilità di un ingranaggio meccanico e la precarietà dell’energia umana. C’è una concomitanza di potenza brutale e di fragilità che Stetson riporta nelle sue composizioni: “La bellezza, l’amore, la pace non hanno forza né definizione se manca la loro controparte di paura, rabbia e tristezza. Tutta la musica che ho scritto contiene la giustapposizione degli opposti”. E in effetti è proprio così.

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Nonostante la maestosità della sua dimensione solitaria Colin Stetson non è la balena 52-hertz, nella trilogia fa capolino qualche ospite (Laurie Anderson, Shara Worden, Justin Vernon) e in questi giorni è in uscita Never were the way she was in duo con Sarah Neufeld, violinista degli Arcade Fire. È un disco che non si discosta troppo dal cammino già intrapreso da Stetson, i due si conoscono bene, si integrano alla perfezione e il violino ha il pregio di ammorbidire un po’ le asperità del sassofonista. Può essere un buon punto di partenza.

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