Alla fine si è avverato lo scenario peggiore. Incapace di ristabilire l’ordine e arginare il caos in Repubblica Centrafricana, l’esercito francese si scontra con il risentimento e la sfiducia che dominano le relazioni tra la maggioranza cristiana e la minoranza musulmana, e soprattutto con la completa assenza di forze nazionali a cui appoggiarsi. Nel paese, infatti, i soldati francesi non possono contare su un esercito, una forza di polizia o una qualsiasi istituzione. In altre parole, non hanno trovato uno stato pronto ad assisterli.
Il risultato, nella capitale Bangui e nel resto del paese, è un’escalation di violenza tra le comunità. Il saccheggio è all’ordine del giorno e i militari francesi non possono fare altro che occuparsi delle emergenze nel tentativo di limitare il numero di morti. L’intervento, che avrebbe dovuto aiutare un paese a rimettersi in piedi attraverso l’organizzazione di elezioni libere, si è ridotto nei fatti a un’operazione di polizia dagli effetti troppo limitati per essere realmente efficace.
È comunque meglio di niente, perché se la Francia non fosse intervenuta la situazione sarebbe ben più spaventosa. Eppure è innegabile che l’operazione vada riconsiderata. Le autorità francesi ne sono coscienti e da dieci giorni lavorano per trovare una soluzione, che potrebbe passare per la creazione rapida di una squadra di transizione sostenuta da tutti i cittadini della Repubblica Centrafricana (o da una larga maggioranza di essi). Nel paese sono in molti a sperare in uno sbocco di questo di questo tipo, e anche gli stati limitrofi sono pronti a collaborare perché temono di dover affrontare un’ondata di rifugiati e la diffusione dell’instabilità sociale nel loro territorio.
La situazione potrebbe sbloccarsi da un momento all’altro, ma anche se le cose andassero per il meglio e lo scontro politico si evolvesse in un consenso nazionale e regionale, bisognerà comunque ricostruire uno stato che in fondo non è mai esistito. Ci vorranno soldi, soldati, medici, ingegneri, insegnanti e un aiuto sostanzioso, ma il compito di soddisfare queste necessità non può ricadere soltanto sulla Francia, anche perché in questo modo si correrebbe il rischio di un’apparente riconolonizzazione del paese, con tutte le disastrose conseguenze del caso.
La Repubblica Centrafricana ha bisogno di uno sforzo internazionale che non può limitarsi all’assistenza nei confronti delle autorità del paese, ancora troppo fragili. Serve un reale intervento dell’Onu, con l’invio di caschi blu, funzionari e amministratori. In sostanza è necessaria una tutela delle Nazioni unite simile a quella attuata in Kosovo, i cui risultati non sono stati apprezzati da tutti ma che ha comunque apportato benefici evidenti.
Ma è davvero possibile? Allo stato attuale, no. Gli stati membri dell’Onu, infatti, non sono ancora pronti, ma l’idea continua a circolare e merita di essere difesa, non soltanto per il bene della Repubblica Centrafricana ma anche per quello degli altri stati falliti. A cominciare dalla Libia, dove l’anarchia sta prendendo il sopravvento.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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