11 febbraio 2014 07:00

Anticipando il futuro di dodici o diciotto mesi (forse addirittura meno), possiamo prevedere che dopo alcuni passi falsi nei negoziati avviati in autunno le grandi potenze e l’Iran troveranno finalmente un compromesso sulla questione del nucleare. Non è ancora sicuro, ma oggi questo scenario appare perfettamente plausibile.

Gli Stati Uniti ci sperano, soprattutto perché temono che un fallimento dei negoziati li costringa a bombardare l’Iran. Washington non ha alcuna intenzione di lasciarsi trascinare in una nuova guerra in Medio oriente, e al contrario vorrebbe defilarsi dalla regione – diventata meno importante dopo la scoperta dei giacimenti di gas di scisto in America – e concentrare le sue attenzioni economiche, politiche e militari sulla Cina. Se da un lato possiamo presumere che gli Stati Uniti adotteranno la massima flessibilità per tutelare il negoziato, dall’altro sappiamo che il presidente iraniano Hassan Rohani è deciso a fare tutto il necessario per ottenere un accordo fondamentale per il suo paese.

L’economia iraniana è infatti devastata dalle sanzioni contro il programma nucleare della Repubblica islamica. Soffocato dal crollo della produzione industriale e delle esportazioni, dall’inflazione galoppante e dall’aumento della disoccupazione e dei prezzi al consumo, l’Iran non è più in grado di sopportare il blocco che gli è stato imposto. Tra l’altro, per ottenere la cancellazione delle sanzioni, Teheran non dovrà rinunciare alla possibilità teorica di diventare una potenza nucleare (anche perché possiede già la tecnologia necessaria) ma soltanto allo sviluppo ulteriore del suo programma, che a questo punto avrebbe un costo eccessivo.

Date le premesse, insomma, è evidente che un’accelerazione verso il compromesso non è soltanto possibile ma anche necessaria.

Un altro elemento da tenere in considerazione è che una volta cancellate le sanzioni il mondo esterno potrà accedere di nuovo a un allettante mercato di quasi ottanta milioni di abitanti. L’Iran è dotato di immense riserve di gas e petrolio che attualmente non può sfruttare, e una volta “liberato” avrebbe tutti i mezzi economici per modernizzarsi. Teheran potrebbe pagare (in contanti o quasi) la ricostruzione delle sue infrastrutture, trasformandosi in un eldorado per i paesi occidentali in difficoltà e affermandosi come nuova potenza emergente grazie a uno stato centralizzato, un peso militare considerevole e una gioventù istruita.

Al crocevia tra Europa, Medio oriente e Asia centrale, l’Iran può e deve cambiare gli equilibri internazionali, ma questa prospettiva pone diversi interrogativi. L’Iran è infatti un paese sciita, bastione di una corrente musulmana minoritaria e fortemente osteggiata dagli stati sunniti circostanti, gravemente indeboliti dalle rivoluzioni arabe e dall’invecchiamento dei principi sauditi. La prospettiva di un’ascesa iraniana ha già provocato un riavvicinamento tra Israele e le capitali sunnite, e in futuro potrebbe offrire agli Stati Uniti la tentazione di appoggiarsi su Teheran piuttosto che su Riyad. Inoltre con l’affermazione della potenza iraniana la guerra tra sunniti e sciiti (di cui stiamo osservando le spaventose conseguenze in Siria) potrebbe infiammare il Medio oriente, destabilizzando prima Iraq e Libano e poi l’intera regione.

Per questo l’Iran dovrà trovare il modo di emergere senza spingere i vicini sunniti a coalizzarsi per combatterlo, e considerando l’inestricabile groviglio di rivalità politiche e religiose in ballo non è detto che ci riesca. A complicare ulteriormente la situazione ci sono i dubbi sulla stabilità interna di un paese giovane, colto e stanco della sua teocrazia. Al momento la popolazione iraniana si è compattata dietro al presidente eletto la scorsa estate. L’Iran sostiene Hassan Rohani perché sta mantenendo la promessa di fare tutto il possibile per ottenere la cancellazione delle sanzioni e perché incarna un interesse nazionale superiore. Per questo motivo il vero padrone del paese, la Guida suprema Ali Khamenei, ha deciso di appoggiare il governo difendendolo dall’ala più conservatrice del regime che rifiuta qualsiasi compromesso sul nucleare.

Ma cosa accadrebbe una volta sparite le sanzioni? Il regime imporrebbe un percorso “cinese” con il mantenimento del potere in cambio di un miglioramento del tenore di vita? E come reagirebbe se fosse invece costretto ad affrontare rivendicazioni democratiche?

Al momento è impossibile dirlo. Di sicuro l’aspirazione alla libertà degli iraniani è più radicata e forte di quella dei cinesi, e negli ultimi 35 anni si è manifestata già tre volte: con il rovesciamento dello scià, con l’elezione del riformatore Mohammad Khatami e con la “rivoluzione verde” di cinque anni fa, prologo della primavera araba e caratterizzata da sei mesi di manifestazioni contro i brogli alle presidenziali del 2009. L’Iran, insomma, è pronto a decollare, ma è ancora una pagina bianca.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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