Dopo cinque settimane in cui il Venezuela è scosso quotidianamente da manifestazioni violente, ieri è toccato ai medici scendere in piazza. Il movimento di protesta è chiaramente politico, perché la stragrande maggioranza dei manifestanti chiede le dimissioni del presidente Nicolas Maduro, eletto l’anno scorso dopo la morte del suo predecessore e mentore Hugo Chávez.
A protestare è soprattutto la destra, che considera le nazionalizzazioni volute da Chávez e il controllo dello stato sull’economia le cause principali della disoccupazione e dei problemi economici del paese. Il conflitto in corso sembra l’ennesima riproposizione del braccio di ferro tra la destra e la sinistra venezuelane cominciato dopo la conquista del potere da parte di Chávez nel 1998, ma in realtà la situazione è più complessa. Alla base della protesta, infatti, c’è soprattutto l’esplosione della rabbia della classe media.
Tutto è cominciato lo scorso 4 febbraio, quando un tentativo di stupro in un campus universitario nella zona occidentale del paese ha dato fuoco alle polveri. Per inquadrare la vicenda bisogna considerare che il Venezuela è ormai diventato uno dei paesi più pericolosi del mondo, con una media di 65 omicidi al giorno su una popolazione di 29 milioni di abitanti. Furti, stupri e aggressioni a mano armata sono sempre più frequenti e hanno creato un clima di paura e oppressione. Inoltre, nonostante il Venezuela disponga delle più importanti riserve petrolifere al mondo, l’inflazione ha superato il 56 per cento annuo e lo stato deve affrontare una carenza di beni essenziali come i prodotti alimentari, quelli per l’igiene, le medicine e i componenti industriali.
Il governo ha il merito di aver garantito ai più poveri il diritto all’alimentazione, all’alloggio e allo studio attraverso un imponente sistema di assistenza sociale, e questo spiega come mai le classi più basse restino fedeli al ricordo di Hugo Chávez e al suo successore. Mentre i più ricchi continuano a non avere problemi, a pagare il prezzo più alto della crisi sono le classi medie, la cui vita è ormai insostenibile.
Dal primo campus universitario le manifestazioni hanno presto raggiunto la capitale Caracas e le altre città. Il sentimento di protesta si è propagato sull’onda dell’inflazione, della carenza di beni e del senso di insicurezza, a cui bisogna aggiungere la repressione delle manifestazioni, che con un bilancio di 20 morti e circa 300 feriti ha aggiunto l’indignazione alla collera. L’opposizione, intanto, cerca di agganciarsi alla protesta della piazza, ma mentre alcuni leader gettano benzina sul fuoco altri invitano alla moderazione.
La censura della stampa non sta avendo alcun effetto, perché lascia campo libero alle voci che si rincorrono sui social network. Intanto le proposte di dialogo a cui si è finalmente deciso il governo si scontrano con l’intransigenza di un movimento che vuole tutto e subito ma non avanza richieste precise. In Venezuela, come in molti altri paesi, sembra essere arrivato il tempo della rivolta della classe media.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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