03 novembre 2017 11:30

Oggi Donald Trump lascerà gli Stati Uniti addirittura per dodici giorni, visitando il Giappone, la Corea del Sud, la Cina, il Vietnam e le Filippine. Il viaggio del presidente americano arriva in un momento in cui l’inchiesta sulla Russia si allarga sempre di più a Washington, mentre il primo anniversario della sua elezione, il 6 novembre, sarà l’occasione per fare un bilancio inevitabilmente poco lusinghiero. In casi come questo, probabilmente è meglio allontanarsi.

Tuttavia questo passaggio in Asia presenta anche qualche rischio in sé, perché è in questo continente che Trump ha agitato le acque più che in ogni altro, senza aver ancora aperto un nuovo orizzonte.

Durante la campagna elettorale la sua posizione era chiara: Trump intendeva riavvicinarsi alla Russia per isolare meglio la Cina e costringerla a rivalutare la sua moneta, aumentare i prezzi e smettere di inondare gli Stati Uniti di prodotti a basso costo che mettono in ginocchio l’industria americana e provocano massicci licenziamenti.

Centralità cinese
Tuttavia i sospetti di connivenza tra la squadra elettorale di Trump e il Cremlino hanno rapidamente cambiato le cose. Per paura di confermare le accuse, il nuovo presidente ha evitato il riavvicinamento tanto atteso con Mosca e si trova nell’impossibilità di piegare la Cina o contraddire Pechino. Nel frattempo la seconda economia del mondo continua ad affermare la sua centralità in Asia, soprattutto sviluppando la sua presenza militare nel mar Cinese.

Donald Trump ha ottimi rapporti con Shinzo Abe, primo ministro giapponese, ma cosa potrà dirgli per rassicurarlo davanti al paese più popoloso del mondo, le cui spese militari crescono esponenzialmente?

Trump sembra aver cambiato opinione sul leader cinese, che ormai definisce una brava persona

Probabilmente non molto, tanto più che una delle prime decisioni di Trump è stata quella di cancellare l’Accordo di libero scambio Asia-Pacifico concluso dal suo predecessore Barack Obama per unire l’Asia agli Stati Uniti in un mercato comune destinato a fare da contrappeso a quello cinese.

Gli alleati asiatici degli Stati Uniti osserveranno con estrema attenzione lo svolgimento della tappa cinese del presidente americano, durante la quale Trump sarà ricevuto in pompa magna da Xi Jinping. Lo stesso Trump sembra aver cambiato opinione sul leader cinese, che ormai definisce “un uomo potente. Penso sia una brava persona”.

Probabilmente Trump vorrebbe dire all’Asia che farebbe meglio a inchinarsi davanti a Pechino. In tutto questo non possiamo dimenticare la Corea del Sud, che vorrebbe essere protetta dagli Stati Uniti dalla minaccia nordcoreana e non certo essere trascinata da Washington in un conflitto armato con il regime di Pyongyang che costerebbe un numero incalcolabile di morti e distruzioni inimmaginabili. Cosa dirà Trump a Seoul? È una domanda legittima e importante, a cui è difficile dare una risposta.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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