03 gennaio 2018 14:40

Alla Casa Bianca, il portavoce di Donald Trump ha dichiarato che il presidente sostiene il popolo iraniano. Alle Nazioni Unite, la rappresentante degli Stati Uniti ha elogiato il coraggio dei manifestanti e ha chiesto una riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza. Trump, in poche parole, sta facendo tutto il possibile per incoraggiare le proteste in Iran, nella speranza che possano portare al crollo della teocrazia. Ma questa scelta evidenzia una palese ignoranza della posta in gioco in questa crisi.

Se la partecipazione alle manifestazioni aumenterà sensibilmente (finora non è accaduto, anzi), la protesta permetterà ai Guardiani della rivoluzione, una sorta di stato nello stato che è il braccio armato dei conservatori, di forzare la proclamazione dello stato di emergenza che li autorizzerebbe ad assumere tutti i poteri, o quasi.

Sarebbe un’innegabile sconfitta per Hassan Rohani, il pragmatico che gli iraniani hanno eletto alla presidenza della repubblica a maggio con la missione di aprire la strada verso la liberalizzazione del regime dopo il patto sul nucleare, che ha cancellato le sanzioni internazionali.

La forza dei conservatori
A quel punto i conservatori riassumerebbero il controllo del paese e accentuerebbero il riavvicinamento alla Russia sigillato dal sostegno dei due paesi al regime siriano. L’aspirazione democratica dell’Iran e le democrazie occidentali avrebbero tutto da perdere da uno sviluppo di questo tipo.

Un’eventuale marcia indietro sul compromesso nucleare da parte della Casa Bianca avrebbe lo stesso risultato, perché permetterebbe ai conservatori di emarginare Rohani accusandolo di essersi fatto imbrogliare dagli americani.

In entrambi i casi sarebbero i conservatori (e non i pragmatici e i riformatori) ad aggiudicarsi la successione della guida suprema Ali Khamenei, l’uomo più potente del regime, quando la sua malattia lo obbligherà a farsi da parte.

Un inasprimento della situazione potrebbe portare a violenze simili a quelle siriane

A Teheran è in gioco il rapporto di forze tra i due schieramenti del regime e soprattutto il modo in cui gli iraniani usciranno da una teocrazia che non sopportano più da molto tempo.

Per chi, a differenza di Trump, preferisce la scommessa di una liberalizzazione alla certezza di un inasprimento che potrebbe portare a violenze spaventosamente simili a quelle siriane, è meglio sperare che Rohani conservi il controllo della situazione con il mix di fermezza e apertura politica di cui ha dato prova negli ultimi giorni.

Rohani sembra potercela fare, e martedì il suo governo si è sentito abbastanza forte da ristabilire il sistema di messaggeria Telegram grazie al quale gli iraniani aggirano la censura. Il presidente può contare sul fatto che la classe media urbana non partecipa alle manifestazioni, convinta che non potranno ottenere maggiori libertà. In Iran è in corso una partita a scacchi, fin troppo sottile per uno come Trump.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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