31 gennaio 2019 09:51

Il dibattito è vecchio. Riemerso nel contesto della visita di Emmanuel Macron in Egitto, affonda la sue radici alla metà degli anni settanta, quando la forza della contestazione all’interno dello schieramento sovietico aveva creato un dilemma per le capitali occidentali.

Dovevano mostrarsi fedeli ai loro valori e dunque difendere gli oppositori incarcerati? O restare in silenzio privilegiando i grandi contratti e la ragion di stato? L’elogio dello stato di diritto in Egitto, appena pronunciato da Macron al Cairo ci riporta al 1984, quando François Mitterrand, difendendo Andrej Sacharov mentre si trovava al Cremlino, aveva confermato la regola dell’epoca che consisteva nell’intercedere dietro le quinte e solo in casi individuali. “È più efficace”, ripetevano le cancellerie occidentali, poco inclini a compromettere la distensione nel nome di ribellioni a cui non concedevano alcun futuro politico.

Solidarność, la perestrojka e la caduta del muro avrebbero poi evidenziato la cecità degli europei. Eppure, trent’anni dopo la caduta dell’Unione Sovietica, assistiamo al ripetersi degli stessi errori. Secondo i nuovi ciechi non bisogna parlare di libertà ai leader cinesi, né di diritti umani ai leader arabi, né di diritti in generale ai vari dittatori sparsi per il mondo, perché i contratti commerciali con la Cina sono troppo indispensabili alla nostra industria per irritare Pechino, perché i leader arabi sono fondamentali nella lotta al terrorismo islamico e perché richiamando un dittatore alla decenza rischieremmo di consegnare il suo paese alla Cina.

Ancor più che nell’epoca sovietica, dunque, le democrazie sostengono di non avere altra scelta se non quella di mettere da parte i propri princìpi, perché il loro peso sulla scena internazionale si è ridotto.

Parlare chiaramente
Sembra ragionevole, perché la perdita di influenza degli occidentali è un fatto innegabile. In realtà, però, è completamente falso.

Prendiamo la Cina. Se Pechino non troverà un compromesso commerciale con gli Stati Uniti, il governo cinese avrà bisogno dell’Europa e sarà dunque disposto a sopportarne le critiche. Se invece la Cina dovesse trovare un accordo con Washington, saremmo talmente minacciati dalla nascita di questo nuovo asse da avere tutto l’interesse a riavvicinarci ai paesi asiatici preoccupati dall’ascesa dell’impero di mezzo.

Non è mostrando le nostre paure e debolezze che potremo trovare alleati e soprattutto riavvicinarci alla Russia, ma solo parlando chiaramente e rispettando i nostri valori.

Anche se è stato favorito da un colpo di stato, non possiamo sperare nella caduta di questo presidente

Passiamo ai paesi arabi, in questo caso l’Egitto. Il generale Abdel Fattah al Sisi ha pieni poteri, ma si sente talmente inviso al suo popolo da aver incarcerato sessantamila oppositori politici, mentre la tortura e le sparizioni sono diventate la norma sotto la sua presidenza. L’Europa ha bisogno dell’Egitto perché confina con la caotica Libia, perché la stabilità europea non sopravviverebbe a un’altra Siria e perché il mercato egiziano – è una realtà, non un motivo di vergogna – non può essere ignorato.

Anche se è stato favorito da un colpo di stato, non possiamo sperare nella caduta di questo presidente. Ma scommettere tutto su Al Sisi sarebbe un errore storico, perché il terrore e la corruzione non hanno mai garantito la stabilità e perché i giovani arabi avranno anche perduto la battaglia del 2011, ma non la guerra per una libertà a cui aspirano con troppa intensità per rinunciarvi.

In Egitto come in Arabia Saudita o in Siria, bisogna pensare a medio termine. Con approccio realista, è esattamente quello che Macron ha appena fatto al Cairo. Il maresciallo Al Sisi non può rivolgersi alla Cina e allontanarsi dall’Europa che si trova sull’altra sponda del Mediterraneo, dunque è stato costretto ad accettare le parole franche di Macron e ribadire la sua volontà di cooperare con l’Europa.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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