28 luglio 2016 14:59

Dopo la strage di Orlando, in Florida, il 12 giugno, l’opinione pubblica occidentale è arrivata subito a una conclusione: l’islam è una religione omofoba – a differenza delle altre religioni, notoriamente ben disposte verso l’omosessualità – e costituisce un movente plausibile per i terroristi. La realtà in seguito ha complicato questa idea: il terrorista, che il gruppo Stato islamico ha ufficialmente riconosciuto come un suo combattente, era probabilmente gay e si era opposto alla visione tradizionalista del padre afgano.

I riflettori puntati sulla questione dell’omofobia hanno fatto emergere reazioni inaspettate nelle società arabe. Lo scrittore Saleem Haddad ha postato su Facebook una foto che mostrava tre uomini vestiti da donna per esprimere la solidarietà degli arabi gay alle vittime di Orlando. La foto ha fatto il giro del mondo.

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Lo scopo di Haddad era oltrepassare i pregiudizi in oriente come in occidente. Insieme a lui, diversi intellettuali e storici stanno cominciando a raccontare una storia dell’omosessualità in Medio Oriente ancora da scrivere, guardando oltre i divieti dei governi autocrati della regione, che spesso stigmatizzano l’omosessualità per fini politici.

Mi sono innamorato di un ragazzo

La storia offre esempi significativi sul modo in cui si è affrontata la questione in passato. In un articolo pubblicato su Haaretz, lo storico Ofri Ilany ricorda la sorpresa di uno degli esponenti egiziani più importanti del rinascimento arabo, Rifaa al Tahtawi, che visitò Parigi nel 1820 e scrisse su quell’esperienza un racconto intitolato Viaggio a Parigi.

Tahtawi notò con stupore che a Parigi non amavano i giovani ragazzi e, a differenza dei poeti del suo paese, non scrivevano poesie sulla loro bellezza. Il rifiuto era tale, diceva Tahtawi, che in francese non si poteva scrivere ‘Mi sono innamorato di un ragazzo’. Per i francesi, ‘era una delle peggiori offese. Non ne parlavano nei loro libri, e non affrontavano mai l’argomento nelle loro conversazioni’.

Anche gli studiosi europei suoi contemporanei descrivevano il mondo musulmano di allora come una realtà in cui l’omosessualità era diffusa e accettata, aggiunge Ilany. “I viaggiatori britannici erano stupiti del fatto che la ‘tendenza sodomita’ già tollerata nella Grecia antica fiorisse in Egitto e in Oriente”.

In pratica, nelle società premoderne arabe, dice Ilany, non esisteva quel concetto di omosessualità apparso in Europa nella seconda metà del novecento. Avere rapporti sessuali con degli uomini non impediva poi di averne con delle donne e di sposarsi.

Una distinzione fluida

L’assenza di una distinzione tra rapporti omosessuali ed eterosessuali in Medio Oriente è al centro degli studi di Joseph Massad, professore della Columbia university e autore del libro Desiring arabs, un testo di riferimento per orientarsi sulla questione. Secondo Massad, dagli anni ottanta ma soprattutto dopo il 1990 le organizzazioni lgbt (chiamate l’International gay), facendosi “alleate obiettive della politica neocolonialistica statunitense” avrebbero messo a punto un discorso rigido sull’identità sessuale che nei paesi arabi era rimasto fino a quel momento molto più fluido.

Scrive Massad in Desiring arabs:

Non c’è nulla di liberatorio nell’obiettività occidentale. Quando dei gay non europei non si definiscono omosessuali, allora sono subito considerati incapaci di definirsi da soli.

Per Massad la dicotomia tra omosessualità ed eterosessualità protegge solo una piccola minoranza della popolazione, che “ha già adottato l’identità occidentale”. Al contrario, gli arabi delle classi povere non possono difendersi e sono due volte perdenti: da una parte devono lasciar perdere i rapporti omosessuali, e dall’altra non sanno proteggersi dalle repressioni della polizia, degli islamisti e dei nazionalisti.

Massad è stato criticato per queste riflessioni, in particolare per la sua nostalgia di un mondo arabo precoloniale dove non c’erano persecuzioni o omofobia. Ma la sua teoria fa da sfondo all’articolo, molto personale, scritto da Haddad per The Daily Beast dopo che la foto che aveva postato è diventata virale, in cui riflette sulla strumentalizzazione dell’omosessualità.

Chi controlla i corpi degli omosessuali arabi? I regimi autoritari che li calpestano per ottenere una legittimità morale; i jihadisti che sfoggiano le loro credenziali religiose buttando i corpi dalle torri più alte; i gruppi occidentali per la difesa dei diritti umani, che impongono la loro visione ad altri per ‘salvare’ questi corpi; gli accademici antimperialisti che affermano che questi corpi stiano ingenuamente adottando la visione imperialista; i neoconservatori che sbattono immagini di corpi di omosessuali senza vita davanti agli occhi dei loro elettori per giustificare guerre ed occupazioni; o il ricco che detta il confine tra la libertà sessuale e il buoncostume?

In conclusione, Haddad nota che “se sei gay nel mondo arabo, dovunque ti giri c’è qualcuno che vuole sfruttare il tuo corpo, la tua storia o la tua vita per i suoi interessi”. Lui, però, nel suo primo romanzo Ultimo giro al Guapa è riuscito a dare nuove sfumature a contesti simili. Quindi è interessante capire direttamente da lui come si può aggirare questo blocco.

Saleem Haddad spiega innanzitutto che appartiene alla generazione della rivoluzione: “Oggi non mi sento solo. Con le rivoluzioni arabe, ognuno ha vissuto anche una rivoluzione personale e ora chiede più diritti per l’individuo. Tutti volevano cambiare la politica, oggi il cambiamento guarda più alla sfera personale”.

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E questa evoluzione è sempre più evidente. Durante l’ultimo Ramadan, in una serie tv egiziana ispirata a un libro dello scrittore egiziano Naguib Mahfouz si è fatto chiaramente riferimento a un amore omosessuale. In Tunisia, dopo le proteste del 2011, è stata fondata la prima radio del paese rivolta a un pubblico gay. Nella regione si comincia anche a parlare di coming out. Come spesso succede, tra i primi a farlo ci sono stati alcuni artisti famosi, per esempio Hamed Sinno, il cantante del gruppo libanese Mashrou’ Leila, mentre lo scrittore marocchino Abdellah Taïa aveva già aperto la strada con i suoi romanzi e una lettera pubblicata dal settimanale Telquel nel 2007 e intitolata L’omosessualità spiegata a mia madre.

Modello di integrità

In Ultimo giro al Guapa, che percorre i momenti chiave della vita di un ragazzo arabo in una città che potrebbe essere Beirut, il Cairo o Amman, il protagonista deve affrontare una profonda crisi culturale: ancora adolescente, è completamente perso tra le identità in conflitto dentro di lui. Educato in una scuola americana, è stato cresciuto da bravo arabo dalla nonna. Vive anche una crisi sociale, altrettanto violenta: la nonna vorrebbe per lui un grande futuro borghese, ma le finanze di un orfano non favoriscono questo progetto.

In questi conflitti interiori tipici dell’adolescenza e della postadolescenza, il fatto di essere omosessuale non è l’aspetto centrale. Al contrario, proprio i suoi amori, i suoi migliori amici gay gli danno la forza di continuare. Malgrado il bullismo e gli agguati, il suo migliore amico Maj, drag queen al Guapa (il locale dove si ritrovano di nascosto i gay e le lesbiche della città), continua impassibile sulla sua strada, rivelandosi un modello di integrità: il suo contributo al postcolonialismo è al massimo quello di travestirsi da principessa Disney araba.

Altro elemento centrale nell’accettazione della propria omosessualità da parte del protagonista è la reazione della nonna, Teta, quando lo scopre a letto con il suo ragazzo. Lui pensa di dover scappare e non poter più tornare, si aspetta il peggio. Ma invece non succede niente, la nonna non dice nulla e in qualche modo il suo silenzio preserva l’intimità del nipote: la Teta reale, spiega Haddad, vive in Giordania ed è contenta del successo del libro. “Penso che sappia di che cosa parla il libro, ma non lo chiede”.

Per Haddad la rivoluzione può continuare con piccoli atti di ribellione. E vivere la propria omosessualità fa parte di questi piccoli atti: “È impressionante vedere quanto sono aperte le persone ora su Facebook. In questo modo ci diamo coraggio gli uni con gli altri”. La piccola rivoluzione individuale che stanno vivendo molti omosessuali in Medio Oriente, spiega ancora Haddad, coinvolge anche nelle generazioni gay più giovani. “I ragazzi che hanno cinque anni meno di me (Haddad ha 30 anni) si comportano già in modo completamente diverso: quando eravamo giovani, era tutto una questione di sguardi, di gesti segreti; oggi, con Grinder (la principale app di incontri per omosessuali) è tutto molto più facile”.

All’inizio della nostra conversazione, Haddad ha evidenziato la necessità di moltiplicare le voci per non ridurre i corpi a cliché. Il suo libro e tutte le voci sparse che cominciano a parlare per sé in Medio Oriente potrebbero effettivamente realizzare nella regione una rivoluzione culturale e sociale silenziosa ma non meno importante di quella per i diritti civili.

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