26 aprile 2021 11:48

Maria Ilva Biolcati, in arte Milva, è morta a Milano il 23 aprile. Era nata a Goro, in provincia di Ferrara, nel 1939. Nella sua lunga carriera di cantante e attrice ha esplorato canzone popolare, canzone d’autore e teatro mescolando con intelligenza e grande senso della modernità alto e basso, pop e musica colta, teatro e balera.

Sanremo 1993. Quando Milva portò sul palco dell’Ariston Uomini addosso, una canzone scritta per lei da Valerio Negrini e Roby Facchinetti dei Pooh, aveva 53 anni. Sembrava la donna sbagliata nel posto sbagliato: una vecchia gloria un po’ fanée che, con movenze da sciantosa, apriva il suo pezzo sanremese con le parole: “Hai le braghe che scoppiano”. Guardava dritta nelle case degli italiani appisolati davanti al festival e cantava, con il cristallo della sua voce solo leggermente sbeccato:

Mi hai riempita di figli tuoi
Mi hai comprata nei bar
Mi hai sposata davanti a dio
Uomini addosso a questo
Corpo mio

Era il Sanremo in cui l’esordiente Laura Pausini stravinceva con La solitudine, la storia di un’innocente amore adolescenziale cantata da una ragazzina con l’ugola d’oro. Era anche il Sanremo in cui un altro esordiente, Nek, portava In te, una canzone antiabortista che con il verso: “Lui vive in te, si muove in te con mani cucciole” si lanciava a capofitto nella più bieca pornografia dei sentimenti.

Invece Milva, la vecchia pantera, portava una canzone teatrale, un po’ Kurt Weill e un po’ Astor Piazzolla, in cui descriveva il corpo delle donne come un campo di battaglia. Milva denunciava sul palco di Sanremo la cultura dello stupro e cantava le donne di tutto il mondo, divise tra sante e puttane, che possono sperare di sopravvivere solo se capaci di vendersi a un uomo.

Questa Milva così esplicita e così femminista non piacque: Uomini addosso, nonostante un’interpretazione straordinaria, fu eliminata e non arrivò neanche alla serata finale. Fu scritto che era troppo vecchia per parlare di sesso, fu anche suggerito tra le righe che era un po’ patetica, eppure su quel palco c’era una Milva geniale che era riuscita a rileggere il suo passato d’interprete brechtiana in chiave pop; una Milva matura ma tutt’altro che appannata.

In questo lungo viaggio nell’autodeterminazione femminile che è Uomini addosso c’è anche una canzone che potrebbe addirittura essere definita transfemminista

L’lp Uomini addosso, uscito con poco clamore sulla scia dell’insuccesso sanremese, è una specie di concept album squisitamente pop sull’autodeterminazione, con canzoni già note e inedite scritte, tra gli altri, da Pooh, Paolo Conte, Carlo Marrale dei Matia Bazar e Cristiano Malgioglio, scelte con grande attenzione. La foto di copertina, scattata da Guido Harari, mostra Milva in body nero e calze autoreggenti, coperta solo da un trench in vinile semiaperto, in quella che nell’immaginario comune è l’uniforme della prostituta. Anzi, della puttana. Ma lo scatto di Harari è un’immagine spavalda e gioiosa, e soprattutto è il ritratto di una donna adulta, consapevole e indipendente.

Non ce l’ho con te (sempre scritta dalla coppia Negrini-Facchinetti) è un sequel ideale della sanremese Uomini addosso: la donna che ha ceduto all’inganno di un amore monogamo non se la prende con il suo ometto mediocre ma soprattutto con se stessa per essersi arresa:

Non ce l’ho con te, ce l’ho con me e basta
Che mi faccio truffare da un cervello da mulo
E mi lascio incantare dalla tua faccia da culo

In Una giornata al mare di Paolo Conte, Milva è da sola al mare con in tasca mille lire e si guarda intorno, attacca bottone con un tizio seduto in una macchina sportiva, gli racconta due balle e rivendica per sé l’ultimo dei lussi per una donna rimasta sola: quello di godersi in santa pace la propria libertà e se necessario di crogiolarsi nella propria malinconia.

In questo lungo viaggio nell’autodeterminazione femminile che è Uomini addosso c’è anche una canzone che con il lessico di oggi potrebbe addirittura essere definita transfemminista. Pierre è un vecchio pezzo del 1976 dei Pooh, una canzone gay, sicuramente coraggiosa per i tempi, che ricorda certe vecchie chanson francesi in cui la vita dei maschi omosessuali, o di travestiti e trans, è descritta con toni malinconici e vagamente pittoreschi. Canzoni come Comme ils disent di Charles Aznavour (1972) o Un garçon pas comme les autres (Ziggy), un pezzo del 1978 reso molto famoso da Céline Dion negli anni novanta. In Pierre un uomo incontra un vecchio compagno di scuola di cui ricorda le movenze effeminate (e naturalmente lo sguardo triste) e scopre che ora è donna. Lei abbassa lo sguardo perché si vergogna di essere stata riconosciuta come Pierre e lui, bontà sua, dice tra sé e sé che rispetta la sua scelta e tira dritto per la sua strada.

Milva è un’interprete troppo intelligente per fermarsi alla superficie di una canzonetta che trattava un tema per l’epoca nuovo e un po’ tabù; spoglia Pierre da qualunque intento patetico o paternalistico e riesce a darci l’idea di una persona che è nata donna e che con empatia e senza giudizi si specchia nello sguardo di un’altra persona che donna ha scelto di diventarlo. E ci riesce senza cambiare una virgola di un testo scritto nel 1976.

Milva
Uomini addosso
Ricordi, 1993

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