29 giugno 2016 09:07

Se volete provare a capire perché il Regno Unito ha deciso di lasciare l’Unione europea, forse non sarebbe una cattiva idea partire dal periodo in cui, circa 8.500 anni fa, i ghiacci polari si sciolsero, il livello degli oceani salì e la bassa striscia di terra che collegava l’Inghilterra al continente sparì sotto il mare. Così cominciò il rapporto a debita distanza tra i britanni e l’Europa e l’evoluzione della mentalità scettica, a volte ostile, che lo accompagna. Se le si guarda dal punto di vista storico, quindi, le anomale relazioni dell’isola con il continente non sono tanto il risultato del referendum della settimana scorsa, quanto di 44 anni di appartenenza poco convinta all’Europa unita.

Può sembrare frutto della tipica riservatezza inglese, ma questa idea di mantenere le distanze (rafforzata da quei profondi fossati che sono il mare del Nord e la Manica) è al centro di tutta la storia inglese e, più che la sua forza militare, è il motivo principale per cui in 950 anni non siamo mai stati invasi. La mentalità che si è sviluppata dietro quelle pareti di mare, quei forti lungo la costa e quelle alte scogliere di gesso è spesso scontrosa, a volte truculenta, un po’ cinica e dotata di un senso dell’ironia che le rende difficile prendere sul serio le ideologie totalitarie e i grandiosi progetti politici.

È per questo che anche i più accesi sostenitori dell’Unione durante la campagna referendaria hanno parlato solo di quello che avrebbe significato uscirne dal punto di vista degli standard di vita, dei posti di lavoro, delle pensioni e del prezzo delle case, e non hanno mai tentato – al suono della Nona di Beethoven – di invocare l’ideale di un unico stato europeo totalmente integrato.

Molti volevano che il paese ripristinasse quel mare del Nord politico che ci separava dagli eurocrati

Al di fuori di alcuni ristretti circoli metropolitani (la Bbc, quotidiani come il Guardian eccetera), questo sogno erotico degli eurofili non seduce nessuno, e lo sfasamento tra questa visione (che molti britannici sospettano sia stata inesorabilmente imposta dai burocrati dell’Ue) e il puro e semplice accordo commerciale che il Regno Unito firmò nel 1972 lasciava perplesse le persone che hanno votato per uscire. Molti volevano che il paese riprendesse il controllo e ripristinasse, se vogliamo, quel mare del Nord politico che un tempo ci separava dagli eurocrati e da tutte le loro attività.

Ma niente di tutto questo sarebbe successo se non fosse stato per due cose: la decisione di Gordon Brown di tenere il Regno Unito fuori della zona euro (non era possibile indire un referendum sulla moneta comune) e i problemi interni del Partito conservatore di David Cameron.

C’è stata, e c’è, una componente euroscettica, rafforzata circa un anno fa dal successo ottenuto nei sondaggi dell’antieuropeo Ukip (United Kindom independence party) di Nigel Farage. Per risolvere questi due problemi in un colpo solo, Cameron si è impegnato a indire un referendum e – con grande fanfara – è andato a negoziare un accordo migliore con l’Unione. Quello che ha ottenuto è stato molto poco ed è tornato da Bruxelles come un padre di famiglia che aveva promesso di andare a comprare da mangiare per una settimana ed era tornato con un pacchetto di patatine. Le sue trionfali dichiarazioni sono state accolte da un coro di risate.

Agli elettori non piace essere presi per scemi. E non gli è piaciuto neanche sentirsi dire da lui che, se avessero votato per uscire, avrebbero provocato una serie di catastrofi, compreso il rischio di una guerra.

Fin dall’inizio della crisi finanziaria del 2008, la gente moriva dalla voglia di veder puniti banchieri e finanzieri

In questi avvertimenti su possibili disastri economici e piaghe bibliche si sono unite a lui le banche e le grandi industrie. Non è stata una buona tattica. Fin dall’inizio della crisi finanziaria del 2008, qui (e sospetto anche altrove) la gente moriva dalla voglia di veder puniti in qualche modo banchieri, finanzieri e manager delle grandi aziende (disgustosamente strapagati, protetti dalle conseguenze della loro incompetenza e che avevano beneficiato dell’abbassamento dei salari dovuto all’immigrazione). Le normali elezioni, in cui si contrapponevano due partiti entrambi restii a fare qualcosa di così volgare, negavano alla gente questa possibilità. Ma il referendum offriva l’opportunità di dare un calcio nel sedere a quei ricconi. E la gente l’ha colta al volo.

La questione dell’immigrazione

L’appartenenza del Regno Unito all’Unione europea sarebbe anche sopravvissuta a tutto quello che ho detto finora, se non ci fosse stato il problema dell’immigrazione. Il paese ha una lunga tradizione di accoglienza e di capacità di integrare milioni di cittadini del Commonwealth e di vittime delle persecuzioni religiose e politiche. Ma da qualche decina di anni stanno arrivando troppe persone (la cifra ufficiale è di cinque milioni dal 1997, ma quasi sicuramente sono molte di più), e in un lasso di tempo troppo breve per consentire l’assimilazione, o per permettere ai servizi pubblici di adeguarsi.

La preoccupazione per questo e per le conseguenze che ha avuto sulla disponibilità di assistenza medica, alloggi e posti nelle scuole, è stata non solo ignorata dai mezzi d’informazione, ma spesso liquidata come una forma di razzismo.

Dato che i due principali partiti politici erano, almeno fino a poco tempo fa, poco propensi ad affrontare il problema, e meno che mai pronti a fare qualcosa per risolverlo, per le persone colpite da questi profondi cambiamenti non c’era nessuna possibilità di sfogo elettorale. E quindi la diga ha ceduto al momento del referendum. A torto o a ragione, l’Ue era vista da milioni di persone come in parte responsabile dell’immigrazione incontrollata, della quale, dati i progetti di espansione di Bruxelles, non si vedeva la fine. Finalmente la gente aveva modo di esprimere i suoi sentimenti in una cabina elettorale. Nelle zone a più alto tasso di immigrazione, tre persone su quattro hanno votato per uscire.

È stata – che vi piaccia o no – la rivolta democratica di 17 milioni di persone della classe operaia e della classe media contro un’élite protetta che non le rappresentava e che da troppo tempo continuava a ignorarne le preoccupazioni, considerandole frutto dell’ignoranza e insistendo nel sostenere di essere la sola a sapere quello che era meglio per loro.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

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