30 gennaio 2018 17:18

La campagna elettorale, a tratti, si spaccia ancora per un paesaggio campestre con pastori e pastorelle che zufolano per richiamare il gregge all’ovile giusto. Nei fatti però, come al solito, è una campagna di quelle militari, coi generali che mandano i bassi ranghi al macello promettendo che, dopo botte da orbi, tutto verdeggerà, scorreranno fiumi di latte e dovunque stillerà il miele.

La novità è che l’ennesima età dell’oro è annunciata più a vecchi canuti o di vituperosa tintura che a ragazzi di alito fresco. Questo perché i vecchi abbondano e il loro peso elettorale è tale che l’ultima generazione di politici d’alto rango ha smesso cautamente di definirsi giovane. Niente più orazioni come: noi ragazzi, noi ragazze intendiamo prendere sulle nostre spalle il greve paese che ci è toccato in sorte e portarlo verso magnifiche sorti. Molti anzi, di sicuro giovani, fanno finta di non esserlo più e al massimo mettono un po’ di foga quando commemorano le allegre rottamazioni di una volta, l’equiparazione dei parlamenti alle scatolette di tonno.

Tutti gli schieramenti invece, Pd in testa, hanno riportato in auge il tratto che in passato si attribuiva a persone con un po’ d’anni sulle spalle: una ricca esperienza di competente governo e sottogoverno. Anche perché, se si vuole condurre vittoriosamente la campagna, coi vecchi babbioni bisognerà allearsi almeno per finta.

Questa rubrica è stata pubblicata il 26 gennaio 2018 a pagina 14 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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