06 febbraio 2018 15:36

L’obsolescenza programmata – formula di discreta divulgazione grazie ai discussi iPhone Apple – è per gli anziani una piccola vittoria. Ora figli, nipoti, pronipoti non si possono più permettere di provare fastidio, quando si sentono dire con voce cavernosa: oggi non funziona niente, ai tempi miei il mondo sì che girava bene.

Forse non è vero che girava bene, forse non è vero che una lavatrice, un frigo, un’automobile duravano tutta la vita, forse l’obsolescenza programmata c’era già. Però di sicuro un oggetto ci metteva come minimo un paio di decenni a finire fuori uso e nei cataloghi del modernariato. Adesso i tempi sono sempre più stretti (dieci anni, cinque, tre, due) e non solo per gli oggetti.

In politica, nelle arti, in televisione, nell’editoria, in tutti i luoghi di lavoro, l’obsolescenza programmata delle singole persone rischia di affermarsi più di quella degli oggetti. A una capillare campagna promozionale in cui si dice che sei il migliore in un determinato settore segue presto, sempre più presto, una campagna promozionale che, rivisti i parametri, ti abbandona al tuo destino e sostiene che il migliore è un altro. Una volta i vecchi ci deprimevano dicendoci che non c’è niente di più transitorio del successo e della gloria. In futuro successo e gloria transiteranno con una tale ossessiva frequenza che nemmeno riusciremo a goderne e già saranno passati.

Questa rubrica è stata pubblicata il 2 febbraio 2018 a pagina 12 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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