07 febbraio 2022 16:24

Strade deserte anche per via del freddo e del capodanno cinese, la Pechino che sabato 5 febbraio ha assistito alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi sembrava poco interessata: tutt’altro clima rispetto alle Olimpiadi del 2008, in ogni senso. All’epoca la Cina accoglieva il mondo: Beijing huanyin nin (Pechino ti dà il benvenuto) era la frase ricorrente. Al tempo stesso, voleva far sapere a tutti di essere tornata sulla scena globale dopo 150 anni di colonizzazione, oblio e marginalità trascorsi da “grande malato dell’Asia”. Si era prima rimessa in piedi con Mao Zedong e poi, in trent’anni di riforme e apertura, si era adeguata all’ordine mondiale disegnato da altri cominciando ad accumulare ricchezza. Era guardata con curiosità, speranza e quasi simpatia dal resto del mondo. Lo slogan di quelle Olimpiadi era “un mondo, un sogno”.

Oggi Pechino vuole invece sancire il suo ruolo di grande potenza ormai affermata e – nelle parole dei suoi leader – “responsabile”. Ma negli ultimi quattordici anni il mondo è cambiato: da un lato la Cina è diventata pervasiva nell’immaginario collettivo, se ne parla fin troppo; dall’altro sono cresciute le tensioni internazionali, c’è una pandemia e gli Stati Uniti chiamano all’appello gli alleati proprio in funzione anticinese. Alla luce di tutto ciò, lo slogan dei giochi invernali 2022 suona quindi come una specie d’invocazione ecumenica non si sa quanto plausibile: “Insieme per un futuro condiviso”.

In realtà, il concetto di futuro o destino condiviso è una vera e propria dottrina di stato. Evocato per la prima volta nel 2007 dal predecessore di Xi Jinping, Hu Jintao, viene continuamente ripetuto dall’attuale leader, che nel 2017 ha tenuto alla Nazioni Unite il discorso “Lavorare insieme per costruire una comunità dal futuro condiviso per l’umanità”. Al di là della ridondanza e al netto dell’astrattezza, lo slogan significa multilateralismo (non più una sola nazione egemone) per affrontare i problemi economici, politici, di sicurezza, umanitari e sanitari a livello globale.

In realtà negli ultimi giorni il pubblico è preso più dall’ennesima figuraccia della nazionale di calcio, che ha fallito la qualificazione ai Mondiali

Il museo del cinema alla periferia nordorientale di Pechino ci era stato indicato come il luogo dove sarebbe stato allestito un megaschermo per seguire la cerimonia d’apertura dei giochi e le gare dei giorni successivi. Poi si è scoperto che chiudeva alle otto di sera, proprio quando l’inaugurazione avrebbe dovuto cominciare. In realtà negli ultimi giorni il pubblico è preso più dall’ennesima figuraccia della nazionale di calcio, che ha fallito ancora una volta la qualificazione ai Mondiali con una mortificante sconfitta per 3-1 contro il Vietnam. Sui social network si sprecano gli insulti e le prese in giro, ed effettivamente non si percepisce un’analoga partecipazione emotiva per le Olimpiadi. Vado quindi a vedere la cerimonia a casa di tre amiche cinesi, tre professioniste, insieme a una quindicina di persone. Pizza da asporto e alcol quanto basta.

A causa dei protocolli di sicurezza per il covid il numero degli artisti e delle comparse è drasticamente ridotto: solo tremila rispetto ai 15mila coinvolti nella cerimonia del 2008. Inoltre l’evento è durato circa due ore, contro le quattro ore e mezza di tredici anni e mezzo fa. Non è momento di grandeur, ma piuttosto di sobrietà. E infatti, in questi giorni si mette l’accento soprattutto sulle Olimpiadi “sicure”: tutto deve filare liscio.

Durante la cerimonia di apertura, 4 febbraio 2022. (Thomas Peter, Reuters/Contrasto)

Nel grande rituale non sono mancati gli spunti politici. Prima del via ai giochi, Xi Jinping e Vladimir Putin si sono incontrati dal vivo per la prima volta dall’inizio della pandemia. I due leader hanno ribadito che Cina e Russia si oppongono a qualsiasi ulteriore espansione della Nato, che l’amicizia tra i due paesi è “senza precedenti nonché un esempio di relazioni basate sulla dignità” (Putin), che la cooperazione “è in tutti i campi” (Xi), quindi su un ventaglio di temi dall’economia alla politica internazionale. Poi i due presidenti sono andati all’inaugurazione.

Guardando la cerimonia in tv, si è notato un fatto curioso. Mentre allo sfilare di ogni rappresentativa nazionale le telecamere della tv di stato inquadravano il rispettivo accompagnatore “politico”, quando è stata la volta della squadra russa Putin non si è visto (in rete circolava una foto che lo ritraeva da solo sugli spalti, semiassopito). Probabilmente è stata un’accortezza nei suoi confronti: fino al dicembre del 2022 la Russia è esclusa dalle competizioni sportive internazionali per violazione delle regole antidoping e a Pechino gli atleti hanno sfilato sotto l’egida del proprio comitato olimpico (Roc), senza bandiera nazionale. Associare l’immagine di Putin alla rappresentativa “in punizione” sarebbe stato forse poco opportuno. O forse semplicemente il presidente russo si era addormentato, chissà.

Offensiva diplomatica
In barba al boicottaggio diplomatico invocato dagli Stati Uniti, nei due giorni successivi Xi Jinping ha incontrato il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, il presidente argentino Alberto Fernández e quello polacco Andrzej Duda, mentre il ministro degli esteri Wang Yi riceveva il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus. In ogni incontro Xi ha ribadito il concetto di “costruire una comunità dal futuro condiviso per l’umanità”, e con Guterres ha addirittura parlato di “arca di Noè della nuova era” su cui bisogna salire tutti per affrontare le sfide globali. Apocalittico ma evocativo, l’offensiva diplomatica è partita.

Durante la cerimonia l’ultima tedofora è stata Dinigeer Yilamujiang, una fondista uigura ventenne che con il coetaneo di etnia han (quella maggioritaria), Zhao Jiawen, ha acceso il braciere olimpico. “Insieme per un futuro condiviso”, appunto. A molti in occidente è parsa una provocazione, ma c’è da dire che la presenza di uiguri durante eventi di massa trasmessi in tv non è una novità. Uno dei presentatori di più lungo corso del gran galà del capodanno cinese che si è svolto pochi giorni prima della cerimonia olimpica, per esempio, è Nëghmet Raxman, nato e cresciuto a Ürümqi, in Xinjiang. Insomma, la celebrazione di una presunta unità tra etnie e l’esibizione di uiguri “armonizzati” mi sono parse prima di tutto un messaggio rivolto all’interno, più che una “provocazione” per l’occidente.

Un coro di bambini partecipa alla cerimonia di apertura, 4 febbraio 2022. (Marko Djurica, Reuters/Contrasto)

L’elemento politico predominante della cerimonia è stato invece la costante presenza di bambini: li abbiamo visti cantare, liberare colombe nell’aria, cimentarsi con mini-sci o mini-pattini da ghiaccio. L’infanzia era ovunque. In genere nelle cerimonie di qualunque tipo i bambini sono una presenza che infonde freschezza, ottimismo e allegria, ma una simile insistenza sul tema sembrava eccessiva. Dalle reazioni tra l’entusiasta e l’intenerito delle amiche con cui stavo guardando lo spettacolo, è probabile che il messaggio fosse rivolto soprattutto a loro: fate figli.

Secondo i dati diffusi a gennaio dall’ufficio nazionale di statistica, nel 2021 la popolazione cinese è cresciuta solo di 480mila persone e sono nati solo 10,6 milioni di bambini, contro i 12 milioni del 2020. I cinesi fanno sempre meno figli e la popolazione invecchia, nonostante gli sforzi del governo per incentivare le nascite. Questa è la grande bomba a orologeria economica, sociale e politica per un paese che ha basato il suo boom del passato proprio sulla rendita demografica. Come sostenere creatività e innovazione senza giovani? E pagare le pensioni, la sanità, il welfare? È curioso che la cerimonia d’apertura sia stata affidata a Zhang Yimou, il grande regista che aveva già curato quella del 2008 e che negli ultimi anni si è specializzato in kolossal, anche cinematografici. Nel 2013 Zhang fu accusato di avere violato la politica del figlio unico allora in vigore, avendo fatto sette figli con quattro donne diverse. Nel 2014 pare abbia pagato una multa di circa un milione di euro. I tempi cambiano.

Oggi il partito governa una società dove anche i seicento milioni di ex poveri devono tendere verso il modello piccolo borghese del telespettatore intrattenuto e acquiescente

Complessivamente, la cerimonia olimpica è stata un rituale riservato agli addetti ai lavori da cui le “masse” sono state escluse e a cui il nuovo ceto medio cinese ha assistito privatamente, raccogliendosi intorno alla tv. Così, come nell’era post-maoista le mobilitazioni si erano trasformate in campagne per funzionari e professionisti (guai dare il via libera alle masse), oggi l’evento eccezionale dev’essere soprattutto uno spettacolo ordinato e addomesticato. Non c’è differenza tra una manifestazione sportiva che deve rafforzare l’identità nazionale e un’emergenza come un terremoto o un’epidemia. Ma se le masse si mobilitano davvero, non si sa dove si va a finire.

Chi era a Pechino quando il 7 maggio 1999 gli aerei Nato bombardarono l’ambasciata cinese a Belgrado, provocando tre morti e venti feriti, ricorda la manifestazione spontanea capeggiata dagli studenti universitari che arrivavano soprattutto dalla Beida, l’università di Pechino. La folla furiosa confluì verso il quartiere delle ambasciate per assediare quella statunitense e quella britannica. L’ambasciatore di Washington rimase intrappolato per qualche giorno dentro la sua legazione presa a sassate dalla folla. Si sa benissimo che fu il governo cinese a organizzare il trasporto in camion di centinaia di studenti fino alle ambasciate (Hu Jintao appoggiò pubblicamente le proteste), salvo poi riportarli nei campus qualche giorno dopo per paura che la rabbia si estendesse a recriminazioni interne e sull’onda della mobilitazione di massa nascesse una rivolta.

Corsi e ricorsi: nel maggio di dieci anni prima c’erano state le proteste degli studenti in piazza Tiananmen e ottant’anni prima, il 4 maggio 1919, gli studenti pechinesi nella stessa piazza avevano protestato contro il trattato di Versailles che assegnava al Giappone i territori tedeschi dello Shandong: quella rabbia dilagò fino a ritorcersi contro lo stesso governo cinese e l’intera società. Sembrava allora che il confucianesimo fosse stato definitivamente relegato in soffitta. Da quel momento fondativo sarebbe nato il Partito comunista cinese.

Oggi il Partito ha rispolverato Confucio e governa una società del “benessere moderato” (xiokang shehui), dove anche i seicento milioni di persone da poco sollevate oltre la soglia della povertà devono tendere verso il modello piccolo borghese del telespettatore intrattenuto e acquiescente. Del resto, per chiudere il cerchio, non vanno cercati proprio in quel ceto di riferimento anche i 300 milioni di consumatori che Xi Jinping ha promesso di portare in dote alle industrie dello sport invernale quando si è fatto assegnare queste Olimpiadi?

Sulla parete del salotto dove seguo la cerimonia, il videoproiettore trasmette l’immagine di Xi Jinping: ha la mascherina e l’aria un po’ sbattuta, l’incontro con Putin dev’essere stato impegnativo. Le ragazze applaudono il presidente, quasi con la stessa intensità con cui prima avevano applaudito i bambini. Il consenso sembra stabile.

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