La frenetica attività parlamentare in vista delle vacanze conferma pienamente il caotico stile usato per approvare le leggi che caratterizza la politica italiana. Slitta a settembre il voto sulle liberalizzazioni, in parlamento da cinque mesi.
La legge, già cambiata sotto la pressione delle solite lobby come farmacisti e notai, si è arenata in una pioggia di emendamenti del Movimento 5 stelle. Sui tagli alla sanità, inseriti in un decreto legge sugli enti locali, il governo si vede costretto all’ennesima fiducia.
Sul nuovo consiglio di amministrazione della Rai Matteo Renzi ha cercato un accordo pasticciato con Silvio Berlusconi. Il risultato è deludente e lontanissimo dal modello Bbc sventolato dal premier. Nella lista, stilata con il manuale Cencelli, spicca un unico esperto di televisione: Carlo Freccero, nominato dall’M5s.
Gli altri, come il presidente del parco del Gran Sasso, Arturo Diaconale, non hanno esperienze televisive. Una valanga di emendamenti ha rallentato anche la legge delega sulla pubblica amministrazione, varata finalmente martedì. La norma prevede la digitalizzazione obbligatoria degli uffici pubblici, più trasparenza e una stretta sulle migliaia di aziende pubbliche.
La partita decisiva
Anche se Renzi saluta la legge “con un abbraccio agli amici gufi”, conviene attendere il testo definitivo. Ma già si preannuncia un autunno caldo dopo la minaccia della minoranza Partito democratico di voler bloccare le leggi di Renzi con un “Vietnam parlamentare”. Primo assaggio: venti emendamenti per stravolgere la legge costituzionale sulla riforma del senato. La situazione di Renzi non è per nulla invidiabile. Gli sgambetti della minoranza del Pd, che per il consiglio di amministrazione della Rai ha votato De Bortoli, sono ormai quotidiani e la maggioranza al senato è risicata.
La partita decisiva sarà senz’altro la riforma costituzionale, dove Renzi potrebbe essere costretto a puntare sui voti del nuovo gruppo dei fuoriusciti di Forza Italia, guidati da Denis Verdini, facendo infuriare ulteriormente la sinistra.
Ma la guerriglia annunciata dai dissidenti è l’ennesimo segno tangibile dello stato pietoso in cui versa il Partito democratico, ridotto allo stato gassoso. “È incredibile minacciare un Vietnam parlamentare contro il nostro governo”, s’indigna il presidente del Pd Matteo Orfini. La bagarre è quotidiana.
Luigi Bersani mette il dito nella piaga: “Il Pd ha un problema politico profondo. Ormai è emerso che tra i militanti c’è un distacco. Tra la nostra gente infuria la domanda: ‘Chi siamo, con chi andiamo ?’”. A questa domanda Matteo Renzi tra sondaggi calanti, ironie sui gufi e difficoltà crescenti deve trovare una risposta credibile. Altrimenti la ripresa dei lavori parlamentari a settembre potrebbe essere traumatica.
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