Kurt Vonnegut,Galápagos
Bompiani, 320 pagine, 13 euro
L’opera di Vonnegut, disincantata e caustica, candida e radicale nel suo divagare intorno ai temi fondamentali della condizione umana nella modernità, è uno dei più bei lasciti del novecento al secolo postmoderno. Le sue radici affondano nel settecento, in Jonathan Swift, in Lawrence Sterne e in Samuel Johnson, ma sono anche schiettamente americane; e di Mark Twain, della sua libertà e del suo humour, Vonnegut è l’erede più convinto e convincente.
Forse non è Galápagos (1985) il suo capolavoro (viene dopo Mattatoio n. 5, ovviamente, e Ghiaccio-nove, Madre notte, La colazione dei campioni…) ma sprizza intelligenza come gli altri ed è ugualmente divertente, anche se, come gli altri, per niente rassicurante. Narra di una crociera di ricchi verso le Galápagos, le isole dove Darwin trovò conferma e stimolo per le sue teorie. Nel frattempo una crisi e una pandemia bloccano nel mondo ogni possibilità di umana procreazione. Quei naufraghi sono gli ultimi uomini sulla Terra, ma dopo di loro, ci ricorda Vonnegut, la vita continuerà. Tra miliardi di anni gestirà il pianeta una specie saggia e non umana.
La causa dei nostri guai sta per Vonnegut nel sovrappeso del nostro cervello: pensiamo troppo. In definitiva Galápagos è un libro che capiamo meglio oggi di ieri, con un sorriso oggi molto più amaro di ieri.
Questa rubrica è stata pubblicata il 30 ottobre 2015 a pagina 82 di Internazionale, con il titolo “Estinguersi nelle isole di Darwin”. Compra questo numero | Abbonati
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