Vladimir Sorokin, La tormenta
Bompiani, 198 pagine, 17 euro

Quanti viaggi in diligenza attraverso le tormente ci hanno raccontato la letteratura dell’ottocento e, dopo, il cinema western? Sorokin, bizzarro scrittore russo, torna a un modello, ma vi scava con l’immaginazione delle fiabe più gonfie o di un Terry Gilliam da “paura e delirio”, sconcertando prima, avvincendo poi (la traduzione, una gran fatica!).

Un medico deve accorrere in un villaggio, Dolgoe, dove infierisce un’epidemia e portarvi vaccini. Infuria la tormenta, e lo assiste solo un postiglione che guida “propulsomezzi” tirati da dozzine di cavalli minuscoli, piccoli come pernici. Fanno sosta da una mugnaia grande tre volte il normale che ha un marito nano, hanno incidenti d’ogni sorta, conoscono (felicemente) quattro “vitaminder” (produttori di droga: Bimbo, Ninnaò, Chilodò e Lodarò), s’imbattono nel cadavere di un gigante e del suo doppio di neve, cui tagliano il naso per necessità, e perdono la strada cento volte. Non arriveranno mai a Dolgoe (l’ovest?) ma in un paese che non c’entra niente e dove si parla cinese. E nevica, tira vento e si va fuori pista ininterrottamente.

Questo viaggio in una Russia priva di destino-destinazione, nella tormenta di una storia tornata fiaba grottesca, è angosciante e divertente e viene, senza saper bene dove andare, da una grande tradizione.

Questa rubrica è stata pubblicata il 1 luglio 2016 a pagina 72 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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