07 giugno 2021 15:50

Sait Faik Abasıyanık
Un uomo inutile
Adelphi, 264 pagine, 19 euro

Si esita a usare la parola capolavoro, ma forse questa raccolta di racconti di un turco morto di alcol a 48 anni nel 1954 lo è. La dobbiamo a due giovani studiosi di valore, Bellingeri e Vazzana. I testi furono scritti nel corso di più anni, avendo per sfondo quartieri, case, osterie, il giorno e la notte di Istanbul, la più bella città d’Europa, divisa a metà con l’Asia e che in questo ha il suo fascino. Hanno poca trama e deboli sviluppi ma si confrontano con una vita varia e animata e quasi sempre povera, proletaria e marginale.

Tanti fugaci incontri, tante figure vitali e per lo più poco allegre, colte nell’essenziale e presto dimenticate per far posto ad altre, in altre notti o in altri vagabondaggi: “La gente mi attira a sé con la forza di una calamita”. Operai, bambini, madri, mercanti, gente di mare, ubriachi, meretrici, sani e malati, saggi e sfasati… Sait è stato definito a ragione il “Čechov turco”, ma in questi racconti non sempre le vicende sono importanti come l’atmosfera, vivace e sospesa, sempre malinconica. Sait si era ritrovato scrittore, diceva, perché spinto dalla curiosità, ma anche da una forte solidarietà. Rivendicando il suo essere uno scrittore eminentemente meridionale. Sarebbe piaciuto a Baudelaire e a Kavafis ma anche a Camus e non soltanto a Čechov. Cercate di non perderlo, ché sono pochi i libri che possono restarci oggi nel cuore.

Questo articolo è uscito sul numero 1412 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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