19 ottobre 2016 16:03

Gentile bibliopatologo,
c’è un’immagine che mi turba e mi tortura. Si tratta della scena della biblioteca in La bella e la bestia. Sono stata una bambina disadattata, allevata al maoismo nella Milano di Giochi preziosi e della Fetta al latte. Per superare il trauma mi ero convinta che i libri, solo bene di cui potevo disporre a volontà, mi rendessero speciale. Naturalmente i cartoni Disney erano proibitissimi, ma un caso fortuito volle che in prima elementare vedessi al cinema La bella e la bestia. Capirà che la matrice disneyana rende questa mia fantasia ancora più peccaminosa; forse per questo ne sono rimasta segnata? Per me l’amore è il momento in cui la Bestia tutta gobba e pelosa e minacciosa (“devo farti vedere una cosa”) apre i battenti della biblioteca e le dice di chiudere gli occhi. Pensa che sia eccessivo legare a questo imprinting infantile la mia passione per uomini perentori e amanti dei libri, il mio lieve masochismo intellettuale e non ultima la mia indifferenza per i fusti levigati, come quello in cui, con mia cocente delusione, si trasforma la Bestia?

—sapiosexual86

Cara sapiosexual86,
c’erano ancora maoisti a Milano nei primi anni novanta? La cosa mi rassicura, perché mi chiedevo dove avesse potuto rintanarsi il settarismo gonzo prima dell’apertura della sede di Scientology in viale Fulvio Testi o (è lo stesso) del meetup degli Amici di Beppe Grillo di Milano. Peraltro, nel mondo già variopinto dei marxisti immaginari italiani, il maoismo è la cosa più simile a Disneyland che si possa trovare.

Ma veniamo alla tua bibliopatologia, la passione per “uomini perentori e amanti dei libri”. Ebbene, ti dico subito che mi rifiuto di curarla, come un medico obiettore, per una elementare preoccupazione demografica: se non ci fossero donne che preferiscono i bibliomani gobbi ai fusti levigati, e che cedono languidamente alla sollecitazione “sali a vedere la mia collezione di libri rari”, la mia specie sarebbe del tutto estinta.

La bella e la bestia, 1991.

Fortuna vuole che lo spirito dei tempi, da qualche lustro, si stia intonando alla tua patologia. Quando, nel 1984, uscì Revenge of the nerds, in cui la confraternita degli occhialuti Lambda-lambda-lambda ha la meglio sui muscolosi giocatori di football degli Alpha-beta, si trattava ancora di una fantasia di consolazione o, se preferisci tenerla sul piano clinico, di un delirio compensatorio. Oggi, giunti alla decima stagione di The big bang theory, possiamo rivedere quel film come una profezia dei tempi messianici in cui i potenti sarebbero stati rovesciati dai troni e i secchioni innalzati.

Neppure mi preoccupa troppo il tuo masochismo intellettuale, perché lo associo a uno dei momenti migliori di Woody Allen. Ricorderai la scena di Io e Annie in cui il balbettante Alvy Singer seduce una studentessa che sta facendo una tesi sull’impegno politico nella letteratura del novecento con questo monologo a ruota libera: “Quindi sei il tipo di New York, ebrea, di sinistra, liberal, intellettuale, di Central park west, Brandeis university, campi estivi socialisti, il padre con i disegni di Ben Shahn, simpatizzante degli scioperi, educata al marxismo fin da neonata…”. Davanti allo scioglilingua lei non può che capitolare: “È stato fantastico. Adoro essere ridotta a uno stereotipo culturale”.

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L’unico attributo che mi dà un po’ da pensare è quel “perentori”. Ebbene, la bestia di Disney ha il piglio sicuro del galantuomo, la sprezzatura cavalleresca, ma non la perentorietà spaccona del maschio alfa. Ti consiglio di rileggere una pagina molto misogina di Eros e Priapo di Gadda:

In genere talune femine sono molto grate al maschio narcissico o esibitor di sé, oltreché al furfantello e al paino: e dispregiano in sommo grado il timido, il pavido, il pensoso, il delicato, l’inclinato, lo inchiostrato, il letterato, l’occhialuto, il balbo, l’incerto. Esse ringraziano l’uomo di essere un tacchino: desiderano che l’uomo loro sia, soprattutto, un tacchino, (…) deve fare la sua ruota con della roba ch’elle sentono chiamare poesia o con dell’altra che sentono chiamare avvocatura o marineria.

Ecco, io capisco bene il fascino del maschio alfa tradizionale – il condottiero, l’imprenditore, la rockstar, il bagnino, l’istruttore di sci – ma nulla mi pare meno attraente dell’intellettuale alfa, del “maschio narcissico o esibitor di sé” che si sceglie come palco la cosa che per comodità chiamiamo cultura. Quello che dà mostra tacchinesca di sé con formulazioni apodittiche, oracolari e un po’ terroristiche; che si riveste di un gergo incantatorio e sfoggia i suoi neologismi con la stessa vanità di uno zerbinotto che lustri i suoi bottoni d’oro; che si getta a spada sguainata in tutti i dibattiti, anche quelli in cui non ha un accidente da dire, purché ci sia occasione di radunare una claque o mettersi in testa a un corteo; che trova il modo di aggirare ogni vera discussione delle sue idee che rischierebbe di insidiare la sua postura di maschio alfa; che avanza circondato dalla sua piccola guardia pretoriana di fan, di bravi e di scherani.

La Francia ha foggiato, tra gli anni sessanta e gli anni ottanta, i modelli più nobili dell’intellettuale perentorio; poi, di scimmiottatura in scimmiottatura, è stato tutto un dirazzare e un degenerare, fino a certi esiti parodistici di oggi. Fai un giro sulla pagina Facebook di qualche celebrity intellettuale, osserva la commedia umana che gli si svolge attorno: come per una magia disneyana, cadrà il mascheramento fiabesco e i tuoi occhi riconosceranno, sotto il filosofo, il tacchino.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it

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