10 gennaio 2022 16:11

Gentile bibliopatologo,
mi capita sempre più spesso di sentire l’esigenza di tornare sopra un libro subito dopo averlo terminato, come se non fossi riuscito a farlo davvero mio. Faccio all’incirca quello che fa uno studente quando si prepara per una verifica scritta o un’interrogazione: rileggo o ripasso a volo d’uccello, sottolineo, evidenzio, annoto, faccio delle sintesi, chioso. È normale che ciò accada anche quando, come nel mio caso, si legga per piacere o per interesse personale?

-Fausto

Caro Fausto,
proverò ad acciuffare la tua lettera dalla coda: il piacere e l’interesse personale. Non sarà facile. Piacere e interesse sono due parole che, quando si accenna a stringerle per depositarle a riva, sgusciano via dalle mani come anguille. Il piacere, va da sé, può essere di molte specie. Il borghese, diceva Hegel, non gode del godimento in sé, ma del rappresentare a se stesso l’immagine di quel godimento. Gode, per così dire, del possesso mentale. Il tuo timore, quando finisci un libro, di non essere riuscito a farlo davvero tuo, non sarà per caso della stessa famiglia? Il tuo piacere è nel leggere oppure nell’aver letto – in altre parole, nell’avere immagazzinato il contenuto del libro in qualche scaffalatura di un fantomatico archivio interiore?

Con l’interesse personale le cose non sono certo più semplici. Nel linguaggio comune lo usiamo all’incirca come sinonimo di passione, ma la storia intellettuale dei due termini non potrebbe essere più conflittuale – il piccolo classico di Albert O. Hirschman, Le passioni e gli interessi, lo attesta fin dal titolo. Quando il termine si fece d’uso frequente, intorno al tardo cinquecento, designava la totalità delle aspirazioni umane, ma nei secoli successivi fu infilato in una strettoia semantica che finì per associarlo prevalentemente al possesso della ricchezza e all’accrescimento dei beni materiali. L’interesse – per la sua natura tiepida di avidità temperata, di calcolo prudente – servì al capitalismo nascente per imbrigliare le passioni arroventate, generose ma potenzialmente distruttive dell’ideale aristocratico, e sostituire alla figura dell’eroe quella del mercante. Ecco di nuovo far capolino il borghese di quella celebre pagina hegeliana.

E proprio da Hegel prenderò spunto per il mio consiglio. Quando leggi, caro Fausto, esercitati a godere “come il contadino nella sua rozzezza, del suo bicchiere di birra o di vino”. Lascia che le parole ti attraversino e defluiscano chissà dove, senza impuntarti a trattenerle. La memoria, del resto, è una botte piena di buchi, e mal si presta a queste forme di accumulazione se non a prezzo di uno sforzo mentale degno di miglior causa. Non ricercare il piacere, cerca la jouissance, che si sottrae a qualunque calcolo economico. Non leggere per interesse, leggi per passione.

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