20 giugno 2018 11:25

A dirigere l’Italia ci sono ormai due forze euroscettiche: da un lato il Movimento 5 stelle, il partito antisistema guidato da Luigi De Maio e creato dal comico Beppe Grillo; dall’altro il partito xenofobo di estrema destra della Lega, diretto da Matteo Salvini. Come si è arrivati a questa situazione? Com’è possibile che uno dei sei paesi fondatori dell’Unione europea, quello del trattato di Roma del 1957 e per molto tempo il paese più eurofilo del continente, sia riuscito a dare una maggioranza a delle forze politiche così ostili all’integrazione europea?

La questione migratoria ha senza dubbio avuto un ruolo importante. L’incapacità dei paesi europei di mostrare la benché minima solidarietà nei confronti di paesi che si trovano in prima fila, come l’Italia e la Grecia, ha ovviamente alimentato l’euroscetticismo. In questo campo sia l’ex primo ministro Manuel Valls sia il presidente Emmanuel Macron hanno una pesante responsabilità a causa del loro ostinato rifiuto di impegnare la Francia ad accogliere la sua parte dei migranti provenienti dall’Italia.

Ma anche l’economia ha svolto un ruolo non trascurabile e in particolare le politiche di rigore imposte nella zona euro dopo il trattato di Maastricht del 1992.

Un malessere strutturale
Indubbiamente una parte importante delle difficoltà dell’Italia ha un’origine interna che non è certo recente, legata in particolare alla scarsa efficienza dell’apparato statale e alla corruzione di molti settori della società. Tuttavia le politiche economiche imposte in Europa, e in particolare nella zona euro, hanno impedito al paese di risolvere i suoi problemi strutturali.

Bisogna prima di tutto rendersi conto che da più di 25 anni tutti i governi italiani hanno condotto delle rigorose politiche di bilancio, più rigide ancora di quelle portate avanti dai governi tedeschi nello stesso periodo.

Possiamo rendercene conto seguendo quello che si chiama il saldo primario delle spese pubbliche, cioè la differenza tra le entrate e le spese, escluse quelle per gli interessi passivi. Ebbene, dall’inizio degli anni novanta il saldo primario italiano è stato quasi sempre positivo e a livelli elevati. Anche nel 2009, nel momento più acuto della crisi, questo saldo è stato solo leggermente negativo, mentre in tutta Europa faceva registrare una pesante flessione.

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Le gravi difficoltà degli italiani, accompagnate da un livello insostenibile di indebitamento pubblico (attualmente il 132 per cento del pil), non derivano quindi da una politica di bilancio troppo generosa. Al contrario questo rigore permanente ha frenato l’attività economica e ha ostacolato la riforma dello stato per renderlo più efficiente e produttivo a causa dell’eccessiva pressione in favore di una riduzione delle spese.

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Così la debolezza della crescita del pil combinata con un’inflazione troppo bassa in Italia, come nel resto della zona euro, non hanno permesso di ridurre il livello di indebitamento nonostante gli avanzi primari.

Inoltre, dopo la crisi del 2008-2009 gli italiani sono stati particolarmente scrupolosi nel seguire le politiche di rigore raccomandate dal 2010 da Angela Merkel e Wolfgang Schäuble. Dopo che all’inizio degli anni duemila si era assistito a un forte aumento del deficit dei conti esteri del paese (meno 3,4 punti del pil nel 2010), gli italiani hanno dovuto stringersi la cintura in modo radicale riducendo i consumi. E l’anno scorso la loro economia ha prodotto un attivo di 2,8 punti del pil, al contrario della Francia che nello stesso periodo ha fatto registrare un deficit estero di 3 punti del pil.

In Italia questa dura e prolungata politica di rigore ha impedito alla disoccupazione di ridursi in modo sensibile nonostante la diminuzione del prezzo del petrolio e la politica espansiva della Banca centrale europea. In particolare, la situazione dei giovani italiani rimane una delle più difficili in Europa e questo spiega perché abbandonino in massa il paese, impedendo così un possibile risanamento futuro per mancanza di manodopera giovane e qualificata.

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In altre parole, gli italiani – al contrario delle tante voci che circolano, in particolare in Germania – non riescono a uscire dalla crisi non perché non sono stati abbastanza rigorosi nelle loro spese, ma perché sono andati troppo lontano su questa strada. In questa situazione quindi non deve sorprendere che cerchino di liberarsi da questi vincoli che li soffocano, anche se purtroppo lo fanno facendo appello a delle forze politiche inquietanti sotto molti punti di vista per il futuro dell’Italia e dell’Europa.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

Questo articolo è stato pubblicato sul mensile Alternatives économiques e su Vox Europ. È stato prodotto in collaborazione con lo European data journalism network.

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