18 luglio 2018 13:26

In una settimana all’insegna di un comportamento particolarmente distruttivo, Donald Trump ha gettato scompiglio nel vertice Nato di Bruxelles, definito un nemico l’Unione europea, fiaccato i tentativi di Theresa May di ottenere una Brexit morbida per il Regno Unito, fatto il leccapiedi con i russi e tradito i suoi stessi servizi d’intelligence. Ma le sue azioni hanno chiarito che l’alleanza con la Nato è d’importanza limitata e che un nuovo scontro militare con Mosca sarebbe una follia insensata.

In realtà non ha detto nessuna di queste cose la scorsa settimana (pur avendole sostenute entrambe in passato). Ma nonostante la consueta tempesta di affermazioni trumpiane contraddittorie e improvvisate, sono emerse un paio di evidenti verità.

Una è che Trump è l’uomo della Russia alla Casa Bianca. Non è chiaro che genere di controllo Mosca abbia su di lui, ma è chiaro che ce l’ha. L’altro è che non esiste praticamente alcuna dimensione militare nella “minaccia russa” all’Europa, e quindi la Nato non ha bisogno di spendere altri soldi.

Putin ha ammesso una ragione per cui la Russia potrebbe aver interferito con le elezioni statunitensi: voleva che Trump vincesse

A Trump piace fare la voce grossa. “Russia preparati perché (i missili americani) arriveranno, belli, nuovi di zecca e intelligenti!”, ha twittato nel corso di una crisi passeggera in Siria lo scorso aprile. Dopo il vertice Nato della scorsa settimana ha affermato di aver convinto con la forza gli europei ad aumentare le spese per la difesa (contro la minaccia russa, naturalmente).

Ma non ha mai lanciato quei missili, nonostante i russi non abbiano ceduto. E la scorsa settimana non ha davvero ottenuto alcuna promessa di maggiori spese per la Nato da parte degli europei. Inoltre quando domenica scorsa ha incontrato Vladimir Putin a Helsinki, ha dichiarato che i responsabili delle cattive relazioni tra Russia e Stati Uniti sono proprio questi ultimi.

“Il nostro rapporto con la Russia non è MAI stato peggiore a causa di molti anni di follia e stupidità degli Stati Uniti e ora arriva questa disonesta caccia alle streghe!”, ha twittato Trump. Tre ore dopo il ministro degli esteri russo ha replicato: “Siamo d’accordo”. Ed è tutto vero, a parte il passaggio sulla “caccia alle streghe”.

Dopo un incontro di due ore con Putin, cui erano presenti solo gli interpreti, Trump ha annunciato di aver accettato la smentita del presidente russo a proposito dei tentativi del suo paese di usare i social network per influenzare le elezioni del 2016 negli Stati Uniti. “(I servizi d’intelligence statunitensi) credono sia stata la Russia”, ha dichiarato Trump. “Il presidente Putin ha detto che non è stata la Russia. Non vedo alcuna ragione per cui dovrebbe essere stata lei”.

A dire il vero lo stesso Putin ha ammesso, durante quella stessa conferenza stampa, una possibile ragione per cui la Russia potrebbe aver interferito con le elezioni statunitensi: voleva che Trump vincesse le elezioni. Ma in tutti gli Stati Uniti si è levato lo sdegno per il modo in cui Trump ha “buttato gli Stati Uniti sotto un bus” (cioè li ha traditi), come ha detto un giornalista della Fox.

Lasciamo per un attimo stare la cosa e cerchiamo di capirci qualcosa. Il tradimento dei servizi segreti statunitensi da parte di Trump è stata parte naturale e necessaria del suo tentativo di screditarli, poiché teme che essi abbiano o che scoprano prove dei suoi legami con l’intervento russo nelle elezioni del 2016.

Ci sono state reazioni sdegnate negli Stati Uniti, poiché persino i sostenitori di Trump non hanno apprezzato il fatto che egli dia più valore alle parole del dittatore russo che a quelle dei professionisti dell’intelligence statunitense. Nel giro di un giorno Trump è stato costretto ad ammettere, per la prima volta, che effettivamente la Russia si era intromessa nel processo elettorale statunitense.

Ha dovuto anche smentire la sua affermazione secondo la quale gli Stati Uniti sono i responsabili dell’aumento delle tensioni con la Russia, twittando “la colpa è di tutti” e dichiarando che riteneva “entrambi i paesi responsabili”. Ma in realtà era vera la sua prima affermazione.

Minacce
Se gli Stati Uniti avessero trattato meno brutalmente la Russia postsovietica, in grandi difficoltà dagli anni novanta, sostenendo la fragile nuova democrazia russa invece di accettare tutti i paesi dell’est Europa nella Nato, espandendo la frontiera militare dell’alleanza verso nord, fino all’ex confine sovietico, forse in Russia non ci sarebbe mai stato alcun sostegno per un nazionalista ferito come Putin.

Oggi è troppo tardi per rimediare, ma la Russia non è ancora una minaccia militare di peso. Possiede un sacco di missili e carri armati moderni, perché è così che fanno i leader nazionalisti, ma la sua economia non è superiore a quella dell’Italia e non potrebbe sostenere un prolungato scontro militare con la Nato. È per questo che Putin si concentra su iniziative non militari come la sua interferenza nelle elezioni statunitensi del 2016 (e, sembra, anche nel referendum sulla Brexit del 2017).

È quindi assolutamente logico che i membri europei della Nato spendano il 2 per cento o meno delle proprie risorse per la difesa. L’obiettivo della Nato è difendere l’Europa, e l’Europa non ha un eccessivo bisogno di essere difesa.

È vero, come Trump ripete spesso, che Washington spende il 4 per cento del proprio pil per la difesa, ma questo accade perché è impegnata militarmente in tutto il mondo. In realtà è probabile che meno del 2 per cento delle risorse degli Stati Uniti sia davvero consacrato alle armi, al personale e alle operazioni militari strettamente legati alla Nato.

La buona notizia è che nonostante populisti e ultranazionalisti siano in ascesa in occidente (Russia compresa), la forza militare bruta continua ad avere un ruolo limitato nelle relazioni tra grandi potenze. Gli hacker e altre oscure arti digitali hanno un ruolo molto maggiore, e sembra difficile tenerli sotto controllo. Ma quale dei due preferite?

(Traduzione di Federico Ferrone)

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