16 ottobre 2017 15:52

Alcune persone vanno in prigione, altre in clinica di riabilitazione. Harvey Weinstein, il magnate di Hollywood caduto in disgrazia dopo le accuse di molestie e stupri, probabilmente andrà in clinica. Il 10 ottobre il sito di gossip Tmz ha dichiarato che Weinstein è in procinto di andare “in una clinica di riabilitazione in Europa” per curare la sua “dipendenza dal sesso”.

“Ci è stato detto che Weinstein è ancora convinto di potersi far aiutare, tornare al lavoro e ricominciare tutto da capo”, ha riferito il sito. “Come ha detto una fonte vicina a Weinstein, ‘vuole tornare con nuove e brillanti idee’”.

Dopo decenni di comportamenti violenti e coercitivi, presunti e confessati, il sessantacinquenne Weinstein sembra alla ricerca di una seconda possibilità. Anche se non ha pubblicamente confermato i fatti di cui è accusato, vi ha alluso la scorsa settimana durante un mea culpa postmoderno, dove ha erroneamente citato Jay-Z, accusato la National rifle association e anche ammesso di sapere che “il modo in cui mi sono comportato in passato con i miei colleghi ha causato molto dolore, e chiedo sinceramente scusa per questo. Sto cercando di migliorare, ma so che ho ancora molto da fare”.

Weinstein ha presentato il problema come una sorta di malattia che può essere curata: “Mi aspetta un viaggio che mi porterà a conoscermi meglio e a dominare i miei demoni”. In questo modo è riuscito a minimizzare la sua responsabilità nell’albergare e nutrire questi demoni. Sembra aver imparato il modo di scusarsi dal personaggio di Phil Hartmas in Unfrozen caveman lawyer: “Sono cresciuto negli anni sessanta e settanta, quando le regole su come stare al mondo erano diverse”.

Il problema è l’atteggiamento legato al potere che si manifesta con un violento disprezzo degli altri

Il sottinteso è che gli standard di decenza e professionalità sono cambiati a sua insaputa e che lui è solo un ingenuo dinosauro incapace di controllare la sua passione per il sesso. La risposta, a quanto pare, è una tardiva gita in clinica per curare la sua “dipendenza dal sesso”. E poi potrà tornare al lavoro con nuove e brillanti idee.

La possibilità di poter anche solo provare a far passare per buona questa retorica è un lusso che solo gli uomini di potere possono permettersi: non sono dei delinquenti o dei criminali violenti ma, semplicemente, “non riescono a controllarsi”.

I fatti smentiscono la storia della presa di coscienza di Weinstein. Il produttore avrebbe incontrato regolarmente la resistenza delle persone da lui aggredite e da quanti erano a suo stretto contatto. Anni fa Brad Pitt e Ben Affleck lo avrebbero incontrato in privato per affrontare la questione. Spesso Weinstein ha dovuto patteggiare e pagare dei risarcimenti. È stato preso pubblicamente in giro durante le nomination ai premi Oscar e in programmi come 30 Rock ed Entourage. Il problema non era né nuovo né sconosciuto, eppure per Weinstein sono state le ultime rivelazioni a dargli “la sveglia”. Sostenere che il problema di Weinstein abbia a che fare con il sesso dimostra una mancata comprensione della vera natura delle accuse.

Il problema più evidente di questo modo di raccontare la storia è caratterizzare questi episodi come “sessuali” e insistere sulla dipendenza dal sesso. La “dipendenza da sesso” non è inclusa nel Manuale diagnostico e statistico psichiatrico, poiché la comunità psichiatrica statunitense ha deciso di considerare il sesso diverso da altri comportamenti che creano dipendenza, perlopiù perché non esistono gravi sintomi fisici in caso di astinenza. È una distinzione fondamentale. Le persone possono avere impulsi complessi legati al sesso che interferiscono con la loro vita quotidiana, ma è una cosa diversa.

Per fare un esempio, una persona che si avvicina allo stadio letale dell’astinenza da alcol potrebbe rubare una bottiglia in un negozio. Ma non sarebbe l’equivalente morale di stuprare una persona per fermare i sintomi di un attacco di astinenza da sesso.

Anche per i pochi psichiatri che considerano la dipendenza sessuale una malattia che si può diagnosticare, resta il fatto che il sesso non è il nodo della questione. Le azioni descritte da molte donne che hanno denunciato Weinstein non erano, in molti casi, solo sessuali. Sostenere che il problema di Weinstein sia legato al sesso significa non comprendere la natura delle accuse.

Si tratta di atteggiamenti legati al potere e allo status sociale che si manifestano con un violento disprezzo nei confronti degli altri: l’incapacità di ammettere l’indipendenza delle donne, la difficoltà di accettarla e la tendenza a liberarsi del problema con l’uso della forza. In casi come questi sarebbe importante ricorrere all’assistenza psicologica, alla riabilitazione, alla terapia cognitiva e all’introspezione.

Una seconda possibilità
La storia di Weinstein, tuttavia, getta luce sulle disparità d’accesso a queste soluzioni, ma anche sul fatto che per alcune persone la riabilitazione è considerata una pena sufficiente da scontare. Al contrario, i minorenni che commettono reati di vario tipo – la maggior parte dei quali è accusato di reati minori come “disturbo della quiete pubblica” e che potrebbero trarre beneficio da un approccio riabilitativo della giustizia – spesso ricevono un verdetto esclusivamente punitivo.

Questo lascia irrisolte le questioni che sono alla radice del loro comportamento: ambienti familiari pericolosi, necessità fondamentali non soddisfatte, oppure l’assenza di un modello di riferimento adulto affidabile. Una singola infrazione è seguita da una seconda, da una terza, e poi da una vita intera passata a uscire e rientrare in prigione.

Nel frattempo, chi commette una violenza e non viene punito può convincere gli altri di essere anche lui una vittima. A Weinstein e alle altre persone di potere che hanno ammesso le loro colpe viene data la possibilità di cambiare e possono farlo perché hanno i soldi per farlo. Anni di avvertimenti, patteggiamenti e minacce, ma non cambia nulla. Anche dopo che le accuse diventano pubbliche, queste persone hanno la sfrontatezza non solo di chiedere un’altra possibilità, ma di dichiararlo apertamente, appellandosi alla sensibilità dei tutti, in nome delle sofferenze di chi lotta contro una dipendenza.

In questa storia, se esiste un comportamento compulsivo che può essere diagnosticato, è l’incapacità di ammettere le proprie responsabilità. I modi per accertarle esistono.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato da The Atlantic.

This article was originally published on The Atlantic. Click here to view the original. © 2017. All rights reserved. Distributed by Tribune Content Agency.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it