Non succede spesso che un film giapponese ottenga un riconoscimento all’estero, e proprio per questo quando accade in genere la notizia è accolta con grande entusiasmo in patria, e anche solo una candidatura a un premio è già un po’ come esserselo già aggiudicato. Per questo stupisce che la nomination agli Oscar come miglior documentario di Black Box Diaries di Shiori Ito (è la prima volta per questa categoria) sia stata accolta in modo tiepido dalla stampa giapponese. Il film, realizzato nel 2024 e acclamato in vari festival in giro per il mondo (anche a quello di Internazionale a Ferrara), non è ancora stato distribuito in Giappone e le due cose sono probabilmente sintomo dello stesso problema, che oggi si lega anche a una vicenda che ha scosso il mondo dell’intrattenimento nipponico.

Del documentario avevamo già scritto a ottobre, e la vicenda che racconta è ormai abbastanza nota. Shiori Ito, reporter e documentarista di 35 anni, dieci anni fa è stata drogata e stuprata da un influente giornalista televisivo, amico e biografo dell’allora primo ministro Shinzo Abe, ma non è riuscita a farlo processare e condannare, se non in sede civile. Invece di soffrire in silenzio e a testa china come si addice a una vittima, in particolare a una donna, nell’immaginario comune, nel 2017 Ito ha raccontato la vicenda in una conferenza stampa dall’effetto dirompente. Oltre a quello che la giornalista in quell’occasione ha detto – denunciando lo stupro e le umiliazioni subite quando è andata alla polizia, ma anche puntando il dito contro una legge vecchia e inadeguata sulla violenza sessuale –, è stato il modo in cui l’ha detto che ha spiazzato.

“Non ha seguito il rituale obbligatorio di inchini e lacrime alla conferenza stampa. Rifiutandosi di apparire debole o distrutta, ha sfidato le regole non scritte di come una ‘brava ragazza’ – e soprattutto una sopravvissuta a un presunto stupro – dovrebbe essere in Giappone”, scrive Waka Ikeda su Nikkei Asia. C’è di più. Quel giorno Ito indossava un completo giacca e pantaloni scuro, ma aveva due bottoni della camicetta slacciati. Tanto è bastato per aizzare gli hater online, che l’hanno insultata dandole della “troia” e, dato che si è presentata senza dire il suo cognome, qualcuno l’ha accusata di essere una zainichi (giapponese di origini coreane, quasi sempre usato in senso dispregiativo), oltre che una hannichi (antigiapponese).

Il suo atto di coraggio, insomma, ha risvegliato i peggiori sentimenti di una società che non perdona chi osa sfidare le sue norme. Come sottolinea Ikeda, quella conferenza stampa – a cui sono seguiti un libro e il documentario in corsa per l’Oscar – è stato il momento topico della versione giapponese del #metoo (a cui in realtà non è seguita una cascata di denunce come in altri paesi, ma una serie di modifiche importanti alla legge sulla violenza sessuale arrivate nel 2023 e a cui la vicenda di Ito ha indubbiamente contribuito).

“Ma ha anche mostrato le profonde dinamiche culturali che rendono così difficile parlare apertamente” in una società in cui la collettività conta più dei singoli e il conformismo è d’obbligo. “Il viaggio di Ito è più di un racconto personale: è un’esplorazione sfaccettata di come il silenzio sistemico perpetui l’abuso. Documentando meticolosamente la propria esperienza per otto anni, sfida il meccanismo, profondamente radicato nella cultura giapponese, che porta a sopprimere le verità scomode per mantenere la coesione sociale. Il film è una storia avvincente di una sopravvissuta alla violenza sessuale che cerca la verità come giornalista, e mostra il viaggio psicologico di una sopravvissuta nella società gerarchica giapponese”.

In tutto questo l’informazione svolge un ruolo determinante, veicolando e perpetuando giudizi e atteggiamenti. Anche se sempre meno, in Giappone i media tradizionali hanno ancora un peso nell’indirizzare l’opinione pubblica, e negli ultimi giorni hanno dato esempio della loro inadeguatezza nel riportare i casi di violenza sessuale, in particolare quando c’è il potere di mezzo.

Nelle ultime settimane il mondo dell’intrattenimento è stato sconvolto da un caso di violenza nei confronti di una giovane donna da parte di Masahiro Nakai, conduttore di punta di uno dei più grandi network televisivi giapponesi, la Fuji Tv. La vicenda, che risale al 2023 ed è stata rivelata a dicembre da un settimanale, ha generato un effetto domino che ha portato non solo al pensionamento anticipato di Nakai e al ritiro di decine di sponsor dalla Fuji Tv, ma anche alle scuse pubbliche e alle dimissioni dei vertici della rete tv, colpevoli di aver coperto la vicenda.

Come sottolinea Ito, intervistata dal Japan Times, anche se qualcosa è cambiato negli ultimi dieci anni, i mezzi d’informazione non sono ancora in grado di trattare i casi di violenza sessuale in modo appropriato. La maggior parte, a proposito del caso Nakai, ha parlato genericamente di “problema”, lasciando spazio a varie interpretazioni anche sul ruolo della donna nella vicenda.

Questo testo è tratto dalla newsletter In Asia.

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