Gli ultimi due giorni del festival hanno visto passare un solo film di vero spessore, che pure soffre di una eccessiva tendenza a estetizzare l’immagine a scapito dell’autenticità. Si tratta di La cinquième saison dei registi belgi Peter Brosens e Jessica Woodworth.
Ambientato in una piccola comunità rurale della Vallonia, il film racconta, stagione dopo stagione, un disastro ecologico: la terra di colpo diventa sterile. Tutto comincia quando il falò della sagra locale di mezzo inverno – una specie di rito precristiano con uno “zio inverno” fatto di paglia – non si accende. Poco dopo le mucche non fanno più latte, gli alberi cascano da soli nella foresta, i fiumi sono pieni di pesci morti.
I personaggi sono pochi. C’è una ragazza contadina che all’inizio scopre il primo amore con il figlio della coppia che gestisce l’unico negozio del paese; finirà male, prostituendosi per un barattolo di zucchero. C’è un filosofo-apicoltore e il suo figlio disabile. Poi c’è la massa degli abitanti del paese che diventerà sempre più massa, e sempre più branco, man mano che la carestia si prolunga.
Questa lenta moria è documentata dai registi in una serie di sequenze lunghe, alcune di una bellezza estrema (le ispirazioni visive di Brosens e Woodworth sembrano derivare dalla fotografia anziché dalla cinematografia: alcune inquadrature mi hanno ricordato le foto di Edward Weston).
Ma la ricerca esasperata della composizione perfetta intacca la credibilità di quella che vorrebbe essere una versione contemporanea, meno spettacolare, dell’Apocalisse di Giovanni. Non dimentichiamo, neanche per un secondo, che c’è un regista (anzi, ce ne sono due) fra noi e quello che stiamo vedendo. Après ça, le déluge. O meglio, la delusione.
The company you keep, di e con Robert Redford, è un thriller non molto thrilling su un ex terrorista americano – uno dei famosi Weathermen, nati da una costola della protesta contro la guerra in Vietnam – che dopo trent’anni in cui si è fatto un’altra vita con un altro nome viene scoperto da un giornalista ambizioso (interpretato da Shia LaBeouf).
Ma almeno era più guardabile dell’ultima frittata di Brian de Palma, che è passato in concorso stamattina. Passion è il rifacimento di Crime d’amour, l’ultimo film del regista francese Alain Corneau; ed è uno di quei remake inutili, perché Crime d’amour era molto più bello. Con le suggestioni saffiche anni ottanta, i dialoghi falsi e la sceneggiatura piatta, Passion è capace perfino di far recitare male la brava attrice svedese Noomi Rapace, la Lisbeth Salander dei film tratti dalla trilogia di Stieg Larsson.
Siamo al rinoceronte, che è apparso un po’ dappertutto al festival. Protagonista della nuova sigla animata del festival, è un omaggio al film di Fellini E la nave va. Ho deciso di fare il mio video-omaggio all’omaggio nel breve filmato che segue. Ma vi prego di non interpretarlo come un’allegoria dello stato attuale del cinema italiano. Non era mia intenzione, honestly…
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