02 novembre 2006 13:02

Prima o poi doveva succedere. Il sentimentalismo non poteva contenere all’infinito l’avidità delle grandi aziende. A gennaio la Nikon, uno dei marchi più noti del settore, ha annunciato che presto interromperà la produzione di macchine fotografiche che usano la pellicola, salvando solo qualche modello ancora in uso tra i professionisti.

In Gran Bretagna il 95 per cento del volume d’affari del gigante nipponico ormai è legato alla fotografia digitale. L’azienda ha deciso di puntare esclusivamente su questa nuova tecnologia, che in meno di dieci anni ha superato di gran lunga il successo ottenuto in oltre un secolo dalle tradizionali macchine analogiche.

“Era ora!”, hanno esultato alcuni ecologisti, che da tempo denunciano i danni ambientali legati alla produzione e allo sviluppo delle pellicole fotografiche. La Kodak, per far fronte a questo cambiamento, sta cercando di migliorare la propria immagine di azienda rispettosa dell’ambiente.

Nel 2000 i dati elaborati dal governo statunitense dopo il censimento sullo stato dell’ambiente indicavano che le nove aree dello stato di New York con il maggior grado di inquinamento atmosferico di origine industriale si trovavano a meno di tre chilometri da alcuni enormi impianti della Kodak.

A causare i danni più gravi alla salute dei cittadini erano le emissioni di cloruro di metilene, un solvente usato nella produzione delle pellicole. L’azienda, da parte sua, assicura che tra il 1987 e il 2005 queste emissioni sono scese da 3.900 a 272 tonnellate.

Ci sono altre ragioni per salutare con gioia il rapido declino delle pellicole. Le mucche, tanto per cominciare, potranno tirare un sospiro di sollievo: non sarà più necessario scuoiarne e disossarne così tante per ricavare la gelatina che lega i cristalli di alogenuro d’argento sospesi nell’emulsione fotosensibile della pellicola.

Ma il motivo principale per cui rallegrarsi riguarda l’argento, che viene scaricato nelle reti fognarie urbane da chiunque usi le pellicole fotografiche, che siano i piccoli laboratori fotografici artigianali o le unità radiologiche ospedaliere. L’anno scorso il ministero dell’ambiente svedese ha dichiarato che per gli organismi acquatici gli ioni dell’argento possono essere più tossici del mercurio.

Secondo l’Ente per la gestione delle risorse idriche di Stoccolma, nel giro di cinque anni la concentrazione d’argento negli scarichi fognari della città si è dimezzata proprio grazie alla crescente diffusione delle fotocamere digitali.

Dobbiamo quindi festeggiare la fine imminente della fotografia analogica? In linea generale sì, ma con qualche riserva. Proprio come è successo con i cd e i dvd, appena le fotocamere digitali hanno invaso il mercato abbiamo chiuso nel cassetto i vecchi apparecchi e ci siamo precipitati a comprare quelli nuovi.

Per poter guardare le foto digitali serve un computer con una memoria molto capiente, e magari anche una bella stampante a colori. Al posto delle tradizionali scatole di cartone piene di vecchi scatti ora abbiamo hard disk stracolmi di file pesantissimi.

Ma chi ci dice che in futuro non saremo costretti a risalvare e riformattare tutto il nostro archivio a intervalli regolari, reinvestendo continuamente in nuove apparecchiature? Se volete informazioni più precise al riguardo visitate il sito www.openraw.org.

Le macchine fotografiche digitali consumano molta più energia di quelle tradizionali, anche senza contare l’energia consumata dai loro inseparabili computer. Per questo è meglio procurarsi un apparecchio che funzioni con batterie ricaricabili, in particolare con quelle ibride al nichel-metallo (NiMH), le meno dannose per l’ambiente in termini di ciclo produttivo e smaltimento. Tra l’altro le batterie al nichel durano più a lungo se le conservate nel freezer.

Per lanciare un nuovo modello, molto spesso i produttori di fotocamere digitali puntano su un unico argomento: i megapixel. Vorrebbero farci credere che non sono mai abbastanza. Ma secondo Dan Chung, un fotografo del Guardian, sei megapixel sono più che sufficienti per un non professionista. Quel che conta è la capacità della fotocamera di riprodurre i colori.

Chung mi ha spiegato che per verificare questo parametro, un buon metodo consiste nel fotografare un commesso del negozio dove state per comprare l’apparecchio e valutare il grado di precisione con cui viene resa la tonalità della carnagione. Invece di comprare un apparecchio all’anno, infine, perché non provare i software che permettono di migliorare la qualità di una foto digitale?

Ma c’è anche un’altra soluzione: gli apparecchi di seconda mano. Nel caso di una reflex a lente singola, Chung raccomanda la Nikon D70 o la Canon 300D, mentre per le compatte consiglia la Canon della serie G (G3, 5 o 6).

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