27 luglio 2017 17:12

Borges lo disse meglio di chiunque altro: “A me sa di menzogna l’inizio di Buenos Aires: la giudico tanto eterna quanto l’acqua e l’aria”. Buenos Aires, in questo caso, è interscambiabile: quello che importa è parlare delle cose che non si sa quando abbiano avuto un inizio. Cose banali, cose che sono ovunque, cose che sembrano esserci sempre state. E invece no: tutto ha un inizio, e spesso quell’inizio è più vicino di quanto ci sembri.

Viviamo in un tempo che si misura: tutto può essere tradotto in cifre, in ordini di grandezza. Ci sono sempre più giga, sempre meno euro, più o meno calorie: il calcolo delle calorie è uno dei grandi temi della nostra epoca. Eppure cent’anni fa nessuno ne aveva mai sentito parlare.

Le avevano inventate nell’ottocento alcuni scienziati per calcolare nei loro laboratori il potere energetico del cibo, ma furono rese popolari da un’americana che nel 1918, come tante altre, approfittò del fatto che gli uomini fossero andati a uccidersi sul fronte francese. Le guerre sono utili per certe cose.

In un mondo in cui mangiare era una fortuna, essere grasso equivaleva a essere una persona di successo

Lulu Hunt Peters era una delle mille donne che all’epoca negli Stati Uniti svolgevano la professione di medico (meno del 3 per cento del totale) e che cercava di guadagnarsi un suo spazio. Viveva e lavorava a Los Angeles, in California, in un’atmosfera di prosperità ancora nuova. Fino ad allora, in un mondo in cui mangiare era una fortuna, mangiare molto era una grandissima fortuna, ed essere grasso equivaleva a essere una persona di successo.

Ma gli Stati Uniti cambiarono le cose: a quel tempo nel paese mangiare non era più un miracolo, ma un’abitudine, e ingrassare divenne una minaccia. La moda confermò quella tesi: le donne adesso dovevano essere magre, agili, leggere.

Peters pesava novanta chili quando decise di applicare a se stessa la logica imparata nei laboratori: non dare al corpo più di quanto non potesse consumare. In pochi mesi perse trenta chili e si lanciò a diffondere la buona novella: teneva discorsi nei club femminili e pubblicava articoli sui giornali in cui trasformava il complesso metabolismo umano in qualcosa di comprensibile per tutti e, soprattutto, per tutte. Il corpo è un bruciagrassi, diceva: il trucco consisteva nel non mangiare più di quanto non si potesse consumare, e per questo bisognava misurare ciò che si mangiava.

Fu allora che l’unità “caloria” divenne indispensabile. “Invece di dire una fetta di pane o di torta, direte cento calorie di pane, 350 calorie di torta”, scrisse all’epoca. La parola era così nuova che Peters spiegava come pronunciarla. “Mangerete calorie: dovrete usare la parola caloria con la stessa frequenza con cui usate iarda, piede, gallone”.

Mantenersi magra non era solo bello, spiegava Peters. Evitava anche molte malattie, e in quei giorni di guerra era un dovere patriottico: i nostri ragazzi al fronte avevano bisogno di cibo. Essere grassa, diceva, era sospetto: dimostrava la mancanza di una morale, l’incapacità di controllarsi.

Peters riunì i suoi articoli in un libro, Diet and health, che vendette due milioni di copie e fu la prima grande dieta di massa. La sua predizione cominciava ad avverarsi: milioni di donne (e di uomini) pensavano alla loro alimentazione in base a quell’unità di misura che fino a poco tempo prima nessuno conosceva.

Adesso, un secolo dopo, molti medici dicono che misurare le calorie non basta, che ogni corpo le assorbe a modo suo, che alimenti con una stessa quantità di calorie producono effetti molto diversi, ma nessuno ha ancora proposto niente di più comodo di questo metodo che ci fa credere di avere il controllo di quello che mangiamo e quindi dei nostri corpi. Le calorie, tenaci, continuano a essere presenti nelle nostre vite e sembra, chiaramente, che ci siano sempre state.

(Traduzione di Francesca Rossetti)

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano spagnolo El País.

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