12 febbraio 2019 13:07

Non penso sia una coincidenza che i due guru degli stili di vita di maggior successo degli ultimi anni siano Jordan Peterson e Marie Kondo. I fan dell’incandescente professore canadese lo vedono come un paladino delle forze dell’ordine “maschili” contro il caos “femminile”, mentre i libri di Kondo e il suo nuovo programma su Netflix sono decisamente indirizzati a un pubblico femminile. Ma il loro consiglio più noto è esattamente lo stesso: fate pulizia.

Anche il loro ragionamento è lo stesso: non solo un ambiente ben organizzato è meglio di uno caotico, ma quell’esaltante clima di ordine e determinazione si trasmetterà a tutta la vostra vita (e, nel caso di Peterson, all’universo intero).

Il fascino che esercitano è legato alla promessa di un maggior senso di controllo in un mondo che molti si sentono scivolare tra le dita. Kondo “ci fa una proposta allettante”, hanno scritto due classiciste sul New York Times, notando alcuni paralleli tra le sue teorie e quelle del filosofo greco Senofonte: “Se organizzi i tuoi averi, il resto della tua vita tornerà magicamente a posto”.

Il paradosso del controllo
Ve ne sto parlando non per insinuare che i seguaci di Peterson e Kondo siano persone strampalate affette da profonde nevrosi. Cioè, lo sono, ma chi non lo è? (questo è fondamentalmente il motivo per cui tutti fanno tutto). E in quanto un po’ fuori di testa io stesso, capisco lo specifico piacere che può dare imporre la nostra volontà su quello che ci circonda.

Ma bisogna anche tenere conto del pericolo che si nasconde dietro il tentativo di assumere il controllo su una parte qualsiasi della nostra vita, e cioè che non ci riusciremo mai. Peggio ancora: più ci proviamo e più diventa difficile. È il cosiddetto “paradosso del controllo”, ed è il motivo per cui nessuno si dovrebbe meravigliare se rimettere ordine, nonostante tutti i suoi vantaggi, non ci dà mai la soddisfazione che speravamo.

In una casa disordinata, una maglietta piegata male non è un grosso problema

A volte il problema è che quello che stiamo cercando di controllare si ribella contro di noi: per esempio i bambini, i partner e perfino noi stessi, ogni volta che cerchiamo di imporgli nuove regole o abitudini.

Altre volte è che guardiamo solo ciò che stiamo cercando di controllare, diventiamo più esigenti e i piccoli fallimenti ci sembrano ancora più frustranti. In una casa disordinata, una maglietta piegata male non è un grosso problema, in una casa “kondificata”, è un’anomalia che ci disturba. È solo su un ripiano della cucina immacolato che una macchiolina ci colpisce.

Rabbia e insoddisfazione
Il caso estremo del paradosso del controllo, come spiega Nick Williams sul suo blog The negative psychologist, è il rapporto violento che si instaura quando una persona cerca di controllarne un’altra. Se l’altra si sottomette del tutto, di solito il violento non è soddisfatto, come potete immaginare, anzi si arrabbia.

Dopo aver completamente annientato l’altrui volontà non ha più niente da dominare, e si sente solo e insicuro come prima. Una volta che ha vinto, si rende conto che era l’ultima cosa che voleva.

Come ho detto, questo è un caso estremo. Non c’è niente di psicologicamente malsano nel desiderio di pulire e mettere ordine se lo si fa con moderazione. Ma è bene ricordare che il risultato finale non ci darà mai quella sensazione di controllo totale del caos. O di qualsiasi altra cosa. La magia che ci cambia la vita è sapere quando fermarsi.

Consigli di lettura
Nel suo libro Stuffocation, James Wallman consiglia di accumulare esperienze invece che oggetti, senza cadere nella trappola del minimalismo ossessivo.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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