07 maggio 2019 12:38

L’ultima moda nelle relazioni sentimentali, secondo il New York Times, è quella delle unimoon (luna in solitaria), coppie che si sposano e poi vanno in luna di miele separatamente. Come altre tendenze in fatto di stili di vita (qualcuno di voi è mai davvero stato alla festa in cui si rivela il sesso del nascituro?) non è chiaro se la cosa sia davvero, appunto, una tendenza diffusa.

Come ha spiegato un novello sposo: “Nessuno dei due voleva essere nello stesso posto dell’altro”. Chiunque parli onestamente della propria relazione a lungo termine ammetterebbe che, di tanto in tanto, simili pensieri si manifestano. Ma appena sposati? È difficile non chiedersi se il desiderio di andare in unimoon non sia un segno dell’opportunità di rimanere lontani dal proprio partner per un periodo anche più lungo, per esempio per sempre.

Ma esprimere simili punti di vista, al giorno d’oggi, significa rischiare di macchiarsi del moderno peccato di “giudicare le relazioni altrui”, una cosa che, articolo dopo articolo, ci ricordano severamente di non fare (nel gergo dei social media è una forma di sorveglianza poliziesca, il che è sempre negativo, a meno di non essere la persona che accusa gli altri di farlo, perché la sorveglianza della sorveglianza pare essere accettata).

Miniera preziosa
L’idea che le vite private degli altri non siano affar nostro, che spesso in passato sarebbe apparsa sconcertante, oggi è diventata un assunto quasi insindacabile. Il pensiero che io possa covare un’opinione a proposito della vostra decisione di avere o meno figli, sulla differenza d’età nella vostra relazione, o sul vostro matrimonio aperto, appare vagamente scandalosa. Il che è strano, perché la verità è che noi tutti giudichiamo costantemente le relazioni degli altri.

“Quel che dobbiamo urgentemente sapere”, come è stato scritto nel blog School of life, è: “Anche le altre persone sono nei guai come noi?”. Nessuno che provi la seppur minima insicurezza, o anche solo curiosità, può pensare che le vite degli altri non siano affar suo, poiché queste sono una miniera troppo preziosa d’informazioni sul modo in cui le persone affrontano le sfide che la vita gli impone.

E questa speculazione prende naturalmente la forma del giudizio, perché, come ha scritto il saggista Tim Kreider, misuriamo con ansia “quanto le decisioni degli altri abbiano funzionato, per rassicurarci del fatto che le nostre siano giustificate e che, in un certo senso, stiamo vincendo”.

Naturalmente sarebbe quasi sempre opportuno tenersi per sé simili giudizi. E inoltre tutta la faccenda si basa comunque su un ridicolo sistema di due pesi e due misure, poiché osserviamo le nostre relazioni, nel bene e nel male, dall’interno, il che distorce la nostra percezione. Ma al fondo del bisogno di giudicare c’è qualcosa di universale, e di molto umano: il desiderio di capire come ce la stiamo cavando, in un mondo in cui la confusione prevale nettamente sulla chiarezza.

Da leggere
L’avvincente nuovo libro di Lori Gottlieb sulla sua vita da terapeuta, Maybe you should talk to someone (Forse dovresti parlare con qualcuno), offre squarci affascinanti (e coperti dall’anonimato) sulle relazioni delle altre persone.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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