22 ottobre 2019 15:43

Come esponente della generazione X, quella nata tra gli anni sessanta e gli ottanta, ovviamente traggo molta della mia autostima dal fatto di non essere né più vecchio né più giovane di quello che sono.

Da una parte, la rovina del pianeta (e del mercato immobiliare) a opera della generazione del boom demografico era già a buon punto prima ancora che io imparassi ad andare in bicicletta. Dall’altra, non essendo né un millennial né un appartenente alla generazione Z dei nati dopo il duemila, almeno ho imparato ad andare in bicicletta invece di passare l’infanzia in una stanza buia a fissare uno schermo preparandomi a scrivere articoli in cui spiego alle persone più anziane di me perché i film che piacevano a loro quando erano adolescenti erano in realtà orribilmente problematici.

Forse obietterete che sono solo sciocchezze, ma la mia difesa è invece che sia sciocco quasi tutto quello che pensiamo di sapere sulle generazioni. In parte è semplicemente perché esistono troppe differenze al loro interno per generalizzare e le separazioni che tracciamo tra loro sono arbitrarie. Ma anche perché è praticamente impossibile separare l’età dalla generazione a cui apparteniamo.

Tesi sospette
Per esempio, il cosiddetto fenomeno della reminiscence bump è la tendenza delle persone anziane ad avere ricordi più vividi, e in genere positivi, della propria giovinezza che non dell’età adulta. Perciò quando invecchiamo, e gli altri ricordi si affievoliscono, siamo portati a pensare che oggi la vita sia molto peggio che in passato, e di conseguenza che lo siano anche i giovani.

Ma la tesi tanto cara ai millennial che sia stata la generazione del boom demografico a rovinare tutto è altrettanto sospetta. Ci sono molte cose che non vanno nel mondo di oggi e, chiaramente, è colpa delle generazioni precedenti. Però, la vera prova dell’atrocità di quella generazione l’avremo tra cinquant’anni, quando vedremo se quelli che formulano questa accusa avranno fatto meno danni.

Anche se il nostro giudizio sugli altri ha qualche fondamento
non possiamo fidarci delle conclusioni che ne traiamo

Gli esempi più palesi di questa confusione sono gli insulti lanciati ai millennial e alla generazione Z dicendo che sono narcisisti oltre che convinti di avere tutti i diritti, e disimpegnati nei confronti del proprio lavoro. Non è difficile dimostrare la falsità di queste accuse ma, come spiega lo psicologo David Costanza, anche se fossero vere, sarebbero probabilmente legate all’età. I più giovani hanno sempre la tendenza a essere più narcisisti. E tutti sfruttiamo la prima parte della nostra carriera lavorativa a sperimentare, quindi non c’è da meravigliarsi se più invecchiamo e più tendiamo a essere soddisfatti del nostro lavoro.

Perciò dovremmo essere onesti con noi stessi. Anche se il nostro giudizio sugli altri ha qualche fondamento, in certe valutazioni c’è sempre una buona dose di pregiudizio – dovuto al bisogno di sentirsi superiori o di trovare qualcuno da incolpare per quello che non va – quindi non possiamo fidarci delle conclusioni che ne traiamo.

Nel mio caso, suppongo che sia una sorta di crisi della mezza età: sto cercando di prendere le distanze dalla morte contrapponendomi alla generazione precedente, e al tempo stesso difendendomi dal pericolo di essere sostituito a livello professionale da persone che hanno più energie e più vita davanti a loro di quanta ne abbia io. Il che è una vera sciocchezza. Se il mondo sta andando all’inferno, siamo tutti nella stessa barca, e forse discutere su chi è nella posizione migliore non è il modo più proficuo di usare il nostro tempo.

Consigli di lettura
Nel suo libro del 2018 The happiness curve (La curva della felicità) Jonathan Rauch raccoglie prove confortanti del fatto che la vita migliora dopo i 50 anni, indipendentemente dalla generazione alla quale si appartiene.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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