1. Il teatro degli orrori, Skopje

Al minuto 1:53 di questa canzone parte un basso che somiglia a quello di Profondo rosso, ed è un’altra storia quotidiana (un lavoratore separato dalla famiglia vaga per il nordest italiano) che affonda nell’angoscia e si strappa i capelli. Architetture del disagio, cronache a denti digrignati dalla miseria; distorsioni e macerie ovunque, nel panorama di questa band di Marghera che urla tipo Munch nello scoprire Il mondo nuovo (l’album). Musica da ascensore per il patibolo, con l’inverno nel cuore e un senso istrionico che si alimenta di rabbia potente.

2. Wendy?!, How do you sleep at night?

“Wendy?! Luce della mia vita??!”. È il Jack Torrance di Shining, mentre terrorizza la povera moglie, a fornire il nome a questa neoformazione romana in cui confluiscono militanti di varie band (Bloody Riot, Destir, Elettrojoyce) in un amalgama al sapor di vintage chitarristico. Dove si canta in inglese convinto e si suona un road rock non adulterato, con canzoni che hanno una struttura e anche una grinta garbata. Nonostante il titolo della canzone (e dell’album), non è musica da insonnia, ma un modo di liberare nelle note le tensioni del giorno.

3. Intercity, Terrore esotico

“Sere con poesie di Keats e Hesse”? “Lussuria e altro”? “Rossetto allucinato?” Pianola elettrica, gentile e attenta ad assecondare il mood sognante, e voce di Fabio Campetti che fa lalalala; c’è un’idea del terrore che confina con la beatitudine in questa traccia di Yuhu, l’album degli Intercity, band nata dall’incontro di alcuni ex Edwood con la cantautrice Anna Viganò. Un insieme da olimpiade onirica che accarezza i peluzzi delle orecchie e lascia vagheggiare una nuvoletta di suono rotondo, echi di Baustelle, innamoramenti possibili, carte da rileggersi.

Internazionale, numero 935, 10 febbraio 2012

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