07 febbraio 2017 19:00

1. Flo Morrissey & Matthew E. White, Govindam
Chi pratica lo yoga con animo sincero dovrebbe fare qualcosa per liberarlo dall’inquinamento acustico fatto di arpe celtiche, risacca e didgeridoo che lo circonda. Per esempio, con questo pezzo di easy listening trascendentale: una preghiera in sanscrito, già tramandata intorno al 1970 da George Harrison, e rielaborata con un bel loop e crescendo di psichedelia light. Nell’album Gentlewoman, ruby man, in cui White e la sua musa britannica rivisitano di tutto in un’eccellente collezione haute pop, senza tempo e senza nostalgie.

2. Sergio Berardo e Madaski, Joan Cavalier
Cavalcata folktronica in fluente occitano: più immediato di quel che sembra. Gran Bal Dub è l’operazione che vede uniti Berardo, capobanda dei Lou Dalfin e la sua ghironda (come una Stratocaster medievale), e Madaski, creatore di elettronica ormai storicamente futuribile. Un nuovo ciclo cavalleresco piemontese da cui sgorgano suoni di fisarmonica e violino subito compressi, dilatati, perturbati da bordate di beat. Una contaminazione a tratti gioiosa e rinfrancante, anche se poi, alla lunga, sempre quello resta.

3. Massaroni Pianoforti, Non mi basto più
Giro di blues intorno al proprio ombelico. Non inganni l’uso della ragione sociale di famiglia come nome d’arte: Massaroni Pianoforti è autoriferito viscerale come pochi. Pazienza per il titolo avvilente del suo nuovo album (Giu – I cantautori mi stracciano i coglioni), o per Incontro tra un uomo e una donna, omaggio alla maniera di Ivanone Fossati, che si fa diss track, o almeno reductio ad absurdum crozziana. Merita l’ascolto questo Rino Gaetano di Voghera, più nordico e ombroso, ma con quel guizzo lì, da scatto di nervi che diventa canzone.

Questa rubrica è stata pubblicata il 3 febbraio 2017 a pagina 78 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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