05 luglio 2017 16:15

1. Jeff Tweedy, I am trying to break your heart
Yankee Hotel foxtrot è il migliore album dei Wilco. Doveva uscire l’11 settembre 2001. Fu bloccato da baruffe discografiche ma fatto circolare online e quando uscì nel 2002 era già di culto. Pietra miliare di quell’alt rock statunitense pronto per il mainstream, un Born to run per gli anni duemila. E adesso Tweedy, cervellone e caro leader della band, si concede Together at last, un album “io nudo con la chitarra, quanto sono bravo”. Non rimpiazza il gin tonic da hotel, ma questa ballata un po’ da stalker vive bene anche così.

2. NicoNote, Youkali
Da Marie Galante, musical flop che Kurt Weill firmò negli anni trenta durante l’esilio francese, un lento tango del rimpianto per un’isola immaginaria, ma entrata nella geografia di jazzisti, soprano, Ute Lemper, Goran Bregović. E rivisitata ora da NicoNote alias Nicoletta Magalotti, italoaustriaca di Rimini con trascorsi tra new wave e teatro, che nel suo Emotional cabaret, raccolta di brani per maturità italiane e tedesche, Hölderlin e Schumann, punk e Monk, si esercita su questo languore habanero registrato in Messico da Enrico Gabrielli.

3. Adam Carpet, Hardcore problem solver
Immaginarsi dei Depeche Mode da Black mirror, costretti a pedalare tipo Foodora per generare abbastanza energia, cuori e like per un voucher di accesso ad altre arene. Farebbero musica così: non più inni da stadio come Master and servant, ma surrogati capaci di evocarne il sapore postindustriale, dark, severo anche sensuale. Canzone che dà il titolo al nuovo ep della band di mutanti milanesi: una di quattro, diversissime tra loro, accomunate da rara finezza di dettagli e citazioni. L’eccitazione di una Get lucky è la sola cosa che manca.

Questa rubrica è stata pubblicata il 30 giugno 2017 a pagina 90 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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