15 maggio 2019 16:45

1. Paolo Sofia, Animi niri
Sotto la chitarra battente nella piazza di un paese calabrese si radunano bouzouki, mandola, mandolino, lira, marranzano, launeddas sarde, un didgeridoo australiano, tamburelli, duduk (uno strumento a fiato armeno), bansuri (un flauto nepalese), riqq (un tamburo arabo), darbuka (turco), pipita dell’Aspromonte, zampogna, flauti doppi. La strumentazione radunata dal produttore Mujura è importante; si raccontano storie dal sud arcaico e c’è ancora tanto da scoprire del suo album L’albero di more. Ma il sospetto è che si tratti di un capolavoro.

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2. Enzo Gragnaniello, Si tu me cunusciss’
Se s’imbocca la salita Trinità degli Spagnoli, nella griglia di vicoli da cui la Napoli popolare cola giù verso il centro, si rischia d’imbattersi in lui, come una folata di anima partenopea. Lo chiamavano vient’ ’e terra, recita il titolo del nuovo disco. Canta amore e delinquenza, alti e bassi napoletani, con l’autorità di una vita là in mezzo, e in giro a suonare. Con un tocco noir, senza bisogno di fare il fenomeno folk o il verso ai Napoli Centrale; sa distinguere tra le ombre. Come quell’antico vicino di casa, Caravaggio. Se vivi nei Quartieri spagnoli ti abitui così.

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3. Daniele Sepe, Canzone appassionata (feat. Hamid Drake)
Che fare di nuovo con uno standard della canzone napoletana già transitato da Claudio Villa e Roberto Murolo, Mina e Avion Travel? Se sei un sassofonista e compositore cresciuto a Napoli ti sai arrangiare. Per Sepe è una cavalcata latineggiante elettrica fusion, alla “Gato” Barbieri, sax argentino noto per i ruggiti d’ancia sulle effusioni dell’Ultimo tango a Parigi. Lo spirito di Barbieri ispira tutto l’ultimo album The cat in the hat, un bel piglio napule/porteño, applicato a tutto, le canzoni irlandesi, il tema di Spartacus, la vita.

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